Formazione Religiosa

Mercoledì, 18 Agosto 2004 21:06

Che cosa è "natura" (Enrico Chiavacci)

Vota questo articolo
(1 Vota)

La natura in etica ha sempre avuto una funzione importante: sia nella filosofia greca ben prima dell'avvento di Cristo, sia in tutte le filosofie e religioni nate fuori dell'area culturale dell'Occidente e del cristianesimo, sia infine in tutta la filosofia morale occidentale.

Quando, per qualunque motivo, si parla o si scrive di bioetica si chiama sempre in causa - anche se non ce se ne accorge - l'idea di "natura". Qui intendiamo per natura tutto ciò che esiste fisicamente, che esiste nel sistema spazio-tempo. E in primo luogo l'essere umano nella sua corporeità, ma anche - per ragioni diverse - ogni essere vivente e ogni cosa che in qualunque modo sussista fisicamente (un sasso, una galassia, un campo gravitazionale).
La corporeità umana è sempre legata alle funzioni superiori dell'essere umano (memoria, conoscenza, sentimenti etc.), in senso bidirezionale e cioè: una parola, un gesto, un sorriso sono eventi corporei prodotti da una funzione superiore come una scelta della volontà o un sentimento, ma tale funzione superiore sarebbe impossibile senza il cervello con tutti i suoi complessi meccanismi biochimici. Ogni evento "spirituale" umano ha sempre un versante biochimico: in parole povere, nessuna attività umana potrebbe sussistere senza una componente corporea.
Si badi bene: questo non vuol dire affatto che ogni attività superiore è predeterminata dalla condizione del cervello, così che la libertà sia un'illusione. Vuol dire invece che senza l'attività cerebrale non esisterebbe neppure la capacità di scegliere liberamente. Oggetto proprio della bioetica è dunque l'uomo nella sua corporeità, nel suo essere sussistente e operante nel sistema spazio-tempo.

La natura nella riflessione etica cristiana

La natura in etica ha sempre avuto una funzione importante: sia nella filosofia greca ben prima dell'avvento di Cristo, sia in tutte le filosofie e religioni nate fuori dell'area culturale dell'Occidente e del cristianesimo, sia infine in tutta la filosofia morale occidentale. Nella riflessione morale cristiana il legame stretto fra natura e morale deriva dalla filosofia post-aristotelica che offriva due principi etici: primo, se vuoi vivere bene ed esser felice (quello che si dice eudemonismo) devi agire secondo natura, compiendo con scelta razionale ciò che gli altri animali compiono per istinto; secondo, se esiste un demiurgo o un creatore o un qualche dio, le leggi che trovi nella natura vi sono poste dal creatore e devono essere osservate.
La riflessione etica cristiana, fin dai primi grandi Padri (ma già anche in san Paolo), riconobbe nella conoscenza della natura dell'organismo umano (e del cosmo in genere) la possibilità di comprendere la volontà e il progetto di Dio per le sue creature: organi e funzioni che si scoprono negli esseri viventi - e in specie animali e esseri umani (ricordiamo che l'uomo era ed è ancora considerato un animale razionale, e cioè una specie del genere "animale") - permettono di ricostruire le leggi che per volere di Dio regolano il mondo dei viventi. Si tratta di leggi naturali nel senso "scientifico" e cioè di strutture e regolarità di comportamento che noi leggiamo nella natura, ma divengono per l'uomo leggi "morali" in quanto poste nella natura dei vari esseri dal Creatore stesso. E questo il significato più diffuso in teologia morale del termine "legge naturale".
Ma lo stesso termine indica anche un'altra cosa. Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza, munito di ragione e di volontà: la ragione umana è una partecipazione - sempre limitata - della ragione divina. L'uomo perciò con la sua ragione può comprendere in qualche modo se stesso e il disegno di Dio su di lui: egli porta nella sua coscienza i principi a cui deve ispirarsi nella propria condotta. Già san Paolo l'aveva detto nel secondo capitolo della lettera ai Romani, i Padri della Chiesa parlano dei semina Verbi (i germi del Verbo creatore); Giovanni XXIII menziona quest'impronta del Creatore nella più perfetta delle creature, l'uomo; e la Gaudium et spes riprende la stessa terminologia dei Padri. Ciò è vero - si badi bene - per ogni essere umano, e non solo per il cristiano o il credente.

Il ruolo della ragione

La prima vera sistemazione dell'idea di legge naturale nel quadro della riflessione teologica sulla morale si ha in san Tommaso. Nell'espressione "legge naturale" l'aggettivo "naturale" ha due diversi significati, fra loro complementari.
Il primo significato è quello di legge che l'uomo conosce con le forze della propria natura: "naturale" indica così "non soprannaturale" (quello che l'uomo conosce per divina rivelazione, che è dono soprannaturale di Dio). "Legge naturale" indica perciò la legge morale che l'uomo è in grado di scoprire con la ragione: è, come dice san Tommaso, la partecipazione della legge eterna nella creatura razionale.
Il secondo significato è quello di legge che l'uomo può conoscere leggendo la natura propria e di ciò che lo circonda e cercandovi la volontà e il disegno di Dio per lui. "Legge naturale" indica perciò la legge morale che l'uomo è in grado di scoprire nella natura. Ma in ogni caso è sempre la ragione umana che è l'elemento determinante: leggere la natura e scoprirvi il progetto di Dio è pur opera della ragione.
Avvertiamo il lettore che l'idea di legge naturale ha una storia e una bibliografia sterminate: il dibattito fra studiosi dura da millenni. Qui ci interessa solo un punto: la legge naturale in quanto rispecchia la legge eterna, la volontà di Dio, è ovviamente immutabile, ma la sua ricerca è sempre frutto della ragione umana, e perciò mentre alcuni principi generali sono iscritti da Dio nella coscienza di ogni uomo, la loro applicazione a situazioni concrete è sempre determinata da un processo raziocinante umano. Il risultato del processo raziocinante potrà perciò variare. Variano infatti le condizioni oggettive esterne in cui l'uomo è chiamato a decidere (p. es. I 'avvento delle armi nucleari ha contribuito ad abbandonare il concetto classico di guerra giusta, come in Gaudium et spes nn. 80-81), ma varia anche - e in continuazione - la capacità dell'uomo di conoscere e interpretare se stesso e il mondo che lo circonda.
Il costante sforzo della filosofia morale di sempre meglio comprende re che cosa sia l'uomo e a che cosa sia chiamato è importante per la teologia morale per meglio comprendere la natura stessa dell'uomo, come dice la Gaudium et spes al n. 44, e perfino per meglio comprendere la Verità rivelata. In questo testo conciliare - troppo spesso ignorato - si ha un elemento dottrinale del tutto nuovo: legge soprannaturale (la verità rivelata) e legge naturale (la fatica della ragione) devono operare congiunte, cosicché l'una serve a comprendere meglio l'altra in una specie di aiuto reciproco (p. es. la medicina e la psicologia hanno portato a una più profonda comprensione del significato della sessualità nella Scrittura, mentre l'ecologia ha fatto scoprire nella Scrittura elementi che erano stati praticamente ignorati).

Modificare la natura è compito dell'uomo

E qui è il punto che interessa la bioetica. Oggi, a partire dalla fine del secolo scorso, le conoscenze scientifiche hanno condotto a un'idea di natura radicalmente diversa da quella tipica della tradizione scientifica e filosofica occidentale. Per motivi che qui non è possibile spiegare, oggi non si può pensare alla natura sussistente nello spazio-tempo - al cosmo - come a una somma di enti e di specie dati una volta per tutte, conoscibili e descrivibili una volta per tutte, regolati da leggi fisse (e esprimibili matematicamente). Questa bella certezza nel medioevo era radicata nella teologia: la maggior parte degli argomenti pro o contro la spedizione di Colombo erano di carattere biblico-filosofico. Con Galileo e Newton si trovarono sperimentalmente leggi naturali esprimibili in equazioni, mentre Cartesio proponeva la descrivibilità in formule matematiche di tutto ciò che avviene nello spazio: veniva così offerta una certezza più o meno "matematica" della conoscenza della natura.
Oggi è crollata l'idea di un tempo assoluto, è crollata la possibilità di descrivere matematicamente il moto di particelle abbastanza piccole, è crollata la fede nel principio di causalità (data questa causa, l'effetto è questo), si è avuta una vera rivoluzione nella biochimica. Ma si è anche consapevoli dell'incertezza della "ragione scientifica" e della stessa matematica (il celebre teorema di Gödel). Tutto ciò, e molte altre cose ancora, portano a considerare il cosmo come un unico sistema di elementi continuamente modificantisi e interagenti fra loro. La natura non è un insieme di dati fissi e scrivibili una volta per tutte. Neppure il cervello umano lo è: esso si è evoluto per centinaia di migliaia di anni, e con esso si è man mano modificata la capacità delle funzioni superiori dell'uomo. E l'evoluzione continuerà, per quanto è ragionevolmente prevedibile. Ma l'uomo, con la sua capacità di intendere e di volere - e cioè di proporsi dei fini e di trovare i mezzi per perseguirli modificando se stesso e il proprio ambiente - è anch'esso parte della natura. Anche l'uomo è parte integrante di questo continuo processo interattivo che è il "sistema natura": lo è sempre stato senza rendersene pienamente conto.
A partire dalla metà del nostro secolo da un lato si è raggiunta una migliore conoscenza di questa nostra interattività, dall'altro sono cresciute rapidamente le capacità di interazione e le possibilità di valutarne le conseguenze. Si pensi all'inquinamento atmosferico o a quello radioattivo o alla deforestazione e riforestazione o alle migliaia di oggetti che stiamo inviando nel cosmo: solo mandando l'uomo sulla luna o una sonda su Marte noi modifichiamo in modo irreversibile, e con conseguenze imprevedibili, il cosmo. Ma si pensi anche a quello che quotidianamente l'uomo opera sul proprio organismo: ogni trattamento medico - nel senso più generale che abbiamo visto nel precedente capitolo - è modificazione dell'organismo umano. Occorre appena ricordare quanto l'uomo incide sul futuro della specie umana attraverso l'inquinamento di aria, acque, terre, e attraverso le vie, ormai aperte, delle biotecnologie (la decodidicazione del DNA umano è ormai, in linea teorica, un'acquisizione irreversibile). È gravissimo dovere del cristiano ricordare sempre che tali nuovissime conoscenze e capacità, nella visione di fede, divengono nuove possibilità di adempiere il progetto di Dio sul creato.

Liceità e limiti delle biotecnologie

Se dunque è parte della natura voluta da Dio anche la capacità umana di incidere sul cosmo e su se stesso, allora la legge naturale intesa come dovere morale di non violare la natura non è più sostenibile. Il problema morale in bioetica (e anche in ecologia) non è quello di non modificare la natura che ci troviamo di fronte, ma piuttosto quello di discernere finalità, limiti e mezzi per interagire con la natura, ivi compresa la natura biologica dell'uomo stesso.
Di fronte alla nostra ragione sta un cosmo creato da Dio - appunto la natura - e il vero problema per l'annuncio morale cristiano e per la teologia morale è quello di individuare al meglio delle nostre conoscenze e capacità il progetto di Dio per il cosmo, un progetto in cui ogni essere umano è inserito e voluto da Dio come parte attiva. Come è chiaro - almeno spero - la grande idea originaria di legge naturale come parte della morale cristiana resta immutata, e anzi profondamente rafforzata. Ciò che è mutato è la nostra capacità di leggere la natura e di interagire coscientemente con essa. Tale rispetto e tale ricerca del progetto di Dio per le sue creature deve essere oggi alla base della riflessione bioetica.

Enrico Chiavacci

(testo tratto dal libro di Enrico Chiavacci  LEZIONI BREVI DI BIOETICA)

Si ringrazia Cittadella Editrice www.cittadellaeditrice.com per la gentile concessione della pubblicazione di questo testo di Enrico Chiavacci.

 

Letto 2658 volte Ultima modifica il Lunedì, 02 Febbraio 2015 09:21
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search