Formazione Religiosa

Martedì, 21 Ottobre 2008 01:59

Il sacramento dell'unzione degli infermi

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La difficile situazione della malattia, che prostra il corpo e l’anima dell’uomo può essere qui presupposta come conosciuta. La malattia rende l’uomo cosciente del suo limite e della sua dipendenza, e ricorda energicamente la legge del dover morire, spesso dimenticata.

Ancora più opprimente risulta l’interpretazione della malattia, diffusa in molte religioni, come pena per una colpa personale o per quella di un’intera stirpe e perfino degli antenati, un’interpretazione che poté condurre anche a una perdita dell’onore agli occhi degli altri.


1. Fondamenti biblici, comprensione e sviluppo storico

Gesù di Nazareth ha respinto questa interpretazione (cfr. Gv 9,1-3), mostrando che la malattia può avere anche un senso che si riferisce al futuro. Oltre a ciò la fede cristiana fa della passione e risurrezione di Gesù il fondamento di una nuova comprensione della sofferenza e della morte del cristiano (cfr. Rm 8,17 s.). La malattia può e deve essere vista come partecipazione al mistero pasquale di Cristo, anche nel senso che la sofferenza del cristiano diventa fruttuosa per la comunità dei credenti (Col 1,24).

In molti luoghi i vangeli riferiscono che Gesù si dedicava in particolare ai malati e risanò molti di essi nel corpo e nell’anima. Come ha fatto con altri bisognosi così ha solidarizzato anche con i malati, anzi si è identificato con essi.

Inoltre egli ha dato ai suoi discepoli l’incarico e il potere di imporre le mani ai malati (Mc 16,18), di ungerli con olio (Mc 6,13) e di guarirli (ivi e Lc 9,1 s.) Gli Atti degli apostoli narrano che gli apostoli anche dopo la morte e la risurrezione di Gesù guarirono malati nel nome e con il potere di Gesù (cfr. At 3,1 e 5,15s.).

Particolarmente significativa quanto al servizio dei malati della comunità apostolica è la direttiva della Lettera di Giacomo 5,14 s. Essa mostra infatti che questo servizio di guarigione era già istituzionalizzato. «Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati».

Ciò che la comunità, o la chiesa, deve fare non è che la logica continuazione del compito di Gesù ai suoi discepoli. La “preghiera della fede” accompagnata e illustrata dall’unzione dell’olio (e dall’imposizione delle mani, che taluni vedono indicata nell’espressione greca ep’autòn) opera salvezza corporale e spirituale, sollievo e eventualmente anche perdono dei peccati. Occorre inoltre notare che non si tratta qui di morenti, ma in genere di malati; ad essi deve essere prestato un servizio di vita e di guarigione. È importante anche il fatto che essi vengono indirizzati ai “presbiteri”, quindi ai responsabili della comunità e non a dei carismatici qualunque. Il servizio biblico dei malati è un’attività ufficiale della chiesa.

Dall’indagine biblica risultano due conclusioni importanti: quando la chiesa nel nome e nella potenza del suo Signore glorificato opera con segni visibili per la salvezza dei credenti, noi parliamo di un sacramento. Ora poiché il servizio biblico dei malati descritto nella Lettera di Giacomo corrisponde chiaramente all’intenzione di Cristo e, in connessione con la “preghiera della fede” e il segno visibile, comporta la promessa di effetti soprannaturali di salvezza, esso è una attività sacramentale della chiesa, è un sacramento. Questo però significa, come anche nel caso degli altri sacramenti, che l’unzione degli infermi è in definitiva un intervento a pro del malato da parte del Cristo glorificato, il quale per così dire utilizza il sacerdote solo come uno strumento nelle sue mani. È lui che nella preghiera e nel segno dell’unzione degli infermi continua per l’uomo dei nostri giorni il suo servizio di amore e di aiuto, iniziato un tempo in Palestina.

Si piega su di essi pieno di misericordia e li solleva; egli dà loro nuova forza, speranza e perdono delle colpe se sono in peccato; egli diventa il buon Samaritano, che si prende a cuore il malato che giace a terra. L’unzione è un intervento salvifico del Signore per l’uomo bisognoso di salvezza.

Un’altra importante osservazione riguarda la comprensione dell’unzione degli infermi. Poiché essa è la continuazione del servizio biblico di Gesù e degli apostoli verso i malati, essa non può essere vista come «sacramento della consacrazione della morte», o come una sorta di suggello ufficiale dell’imminente arrivo della morte. Essa è piuttosto un sacramento di sollievo corporale e spirituale del malato, un sacramento di aiuto e di guarigione.

Tale è stata la comprensione della chiesa antica, in Oriente e in Occidente; ne danno testimonianza innanzitutto i testi di benedizione dell’olio degli infermi dagli inizi a oggi. In essi si dice, come ad es. nell’Eucologio (= raccolta di preghiere) del vescovo egiziano Serapione di Tmuis (sec. IV): «Noi preghiamo te, che hai ogni forza e potenza, salvatore di tutti gli uomini.., te ne supplichiamo, dal cielo del tuo Figlio unico si spanda su quest’olio potere di guarigione, affinché per coloro che riceveranno l’unzione.., queste tue creature distruggano ogni male e ogni infermità.., rechino la grazia e la remissione dei peccati, il rimedio della vita e della salvezza, la salute e l’integrità dell’anima, del corpo e della mente, e la pienezza della forza»

Queste idee si sono mantenute nella preghiera di benedizione dell’olio degli infermi, che il vescovo consacra il Giovedì santo. Anche nelle preghiere che hanno accompagnato e fatto seguito all’unzione degli infermi nel rito fin qui in uso, il sollievo corporale e spirituale e la guarigione hanno un ruolo essenziale.

Purtroppo erano sorte a partire dal primo Medioevo una falsa accentuazione e una pratica dubbia. Poiché allora si rimandava il sacramento della penitenza possibilmente fino al punto di morte per evitare le dure pratiche penitenziali imposte (“penitenza dei malati”), il sacramento dell’unzione degli infermi venne a trovarsi sempre più in prossimità della morte, in quanto si credeva di poterlo amministrare solo dopo la confessione. Così l’accento venne posto meno sulla funzione di guarigione e di sollievo di questo sacramento e più sulla promessa del perdono dei peccati, benché il vero sacramento della riconciliazione precedesse immediatamente. Il nome emergente nel sec. XII di “estrema unzione” fece il resto per dare all’unzione degli infermi il senso nuovo di sacramento dei morenti. Originariamente questa espressione significava che l’unzione degli infermi nel seguito cronologico era l’ultima unzione dopo quelle del battesimo, della confermazione e dell’ordine. Così il sacramento divenne più temuto che amato.

Solo il movimento di rinnovamento liturgico e pastorale degli ultimi decenni portò a un ripensamento. Il Vaticano II rileva favorevolmente tale cambiamento notando: «L’estrema unzione, che può essere chiamata anche, e meglio, “unzione degli infermi”, non è il sacramento di coloro soltanto che sono in fin di vita» (SC 73).

Certo non entra nell’intento e nella funzione di questo sacramento di rendere superflui gli sforzi della medicina per il malato, e per così dire «operare guarigioni con la preghiera» come si dice di talune sette. I sacramenti non invalidano le leggi naturali e non compiono prodigi spettacolari a ripetizione, essi non sono automatismi di guarigione.

Ricapitolando: quanto alla comprensione dell’”unzione degli infermi” si può dire che essa, secondo i risultati della ricerca biblica e le testimonianze della tradizione, non è un sacramento di «consacrazione della morte», ma vuoi servire al sollievo del corpo e dell’anima. Essa, come ogni sacramento, pone l’uomo in rapporto con il Signore e gli assicura il suo amore soccorrevole. Così essa lo solleva nella fede e nella speranza e gli dà la forza di vedere e di sopportare la sua infermità come disposizione di un Dio Padre amoroso. Essa lo salva dalla mancanza di coraggio e dalla disperazione e gli dà tranquillità e pace.


2. Il nuovo ordinamento dell’unzione degli infermi

Il Vaticano II aveva ordinato di comporre un nuovo rito di questo sacramento (SC 74) e aveva espressamente preso in considerazione il numero delle unzioni e le preghiere del rito. Il nuovo rito venne pubblicato dalla Congregazione per il culto divino il 7 dicembre 1972 con il titolo Ordo unctionis infirmorum eorumque pastoralis curae (Rito dell’unzione degli infermi e della pastorale dei malati). Esso contiene la Costituzione apostolica di approvazione di Paolo VI del 30 novembre 1972. L’edizione italiana apparve il 23 maggio 1974 con il titolo Sacramento dell’unzione e cura pastorale degli infermi e contiene oltre la citata Costituzione apostolica, l’ampia “Introduzione”, la visita e comunione agli infermi, il rito dell’unzione degli infermi nella forma ordinaria con disposizioni supplementari per la celebrazione durante la messa e per la celebrazione in una grande assemblea di fedeli con l’unzione di più malati, il viatico, il rito per conferire i sacramenti a un infermo in pericolo di morte, già richiesto da SC 74, la confermazione in pericolo di morte, la raccomandazione dei moribondi, e infine il Lezionario con un’ampia raccolta di testi. Ci occuperemo qui di seguito essenzialmente della forma ordinaria e del relativo rito. Il rito per conferire i sacramenti.., in pericolo di morte viene descritto nel capitolo sulla liturgia della morte e delle esequie.

La rinnovata comprensione dell’unzione degli infermi tocca innanzitutto la questione del soggetto. Già il Vaticano II aveva stabilito che questo sacramento può essere celebrato non solo in estremo pericolo di vita, ma già «quando il fedele, per malattia o vecchiaia, incomincia ad essere in pericolo di morte» (SC 73). Le premesse parlano di coloro «il cui stato di salute risulta seriamente compromesso per malattia o vecchiaia» (così è reso con un giro di parole il latino periculose aegrotant =sono pericolosamente malati, del nr. 8). Nella valutazione della malattia si devono evitare «inutili ansietà; si può eventualmente consultare un medico» (ivi). Occorre tuttavia bandire un certo zelo eccessivo, che già nelle più piccole malattie o in generale a una certa età vorrebbe procedere alla celebrazione.

Una ripetizione è possibile «qualora il malato guarisca dalla malattia nella quale ha ricevuto l’unzione o se nel corso della medesima malattia subisce un aggravamento». Anche prima di un intervento chirurgico il sacramento può essere ricevuto «quando motivo dell’operazione è un male pericoloso».

«Quanto ai malati che abbiano eventualmente perduto l’uso di ragione o si trovino in stato di incoscienza, se c’è motivo di ritenere che nel possesso delle loro facoltà essi stessi, come credenti, avrebbero chiesto l’unzione, si può senza difficoltà conferire loro il sacramento». Ai morti non deve essere amministrato, salvo nel dubbio che il malato sia veramente morto. In questo caso è prevista una amministrazione sotto condizione (15 e 204).

Il nuovo rituale condanna espressamente l’abuso di rinviare il sacramento perché allora ci sarebbe il pericolo che il malato non possa unire la propria fede e le proprie preghiere alla preghiera della chiesa, il che entra in una celebrazione piena del sacramento. «Se poi il male si aggrava tocca... ai loro [familiari e addetti alla cura dei malati] avvertire il parroco, e con delicatezza e prudenza preparare il malato a ricevere tempestivamente i sacramenti».

Come tutte le azioni liturgiche anche l’unzione dei malati ha carattere comunitario, che emerge soprattutto quando essa è celebrata nell’ambito di una celebrazione eucaristica (dopo il vangelo), il che può avvenire sia nella forma di una “messa domestica” nella camera del malato sia anche in una celebrazione con più malati (giornate dei malati in parrocchia, pellegrinaggi di malati, ospedale, casa di riposo) in una chiesa o in una cappella Tuttavia anche per la celebrazione fuori della messa dovrebbe radunarsi secondo la possibilità una sia pur piccola assemblea non solo per accompagnare, ma per prender parte al sacro rito con la propria fede e la propria preghiera.

Quanto al ministro dell’unzione degli infermi le premesse, richiamandosi al concilio di Trento, citano come ministro “proprio” solo il sacerdote, indicando «i vescovi, i parroci e i loro cooperatori, i cappellani di ospedali o di case di riposo e i superiori delle comunità religiose clericali» come coloro che esercitano «in via ordinaria» questo ministero.

L’olio per l’unzione deve essere olio d’oliva o un altro olio vegetale, appositamente benedetto dal vescovo, di norma nella “Missa chrismatis” del Giovedì santo. Però in caso di necessità può benedire l’olio qualsiasi sacerdote.

 

Il nuovo rito dell’unzione degli infermi

Quanto alla struttura del rito ordinario, essa trova facilmente riscontro in quella simile della messa e degli altri sacramenti: riti iniziali e di conclusione, lettura biblica e preghiera litanica come liturgia della Parola e il nucleo essenziale vero e proprio del sacramento con imposizione delle mani, benedizione dell’olio (o rendimento di grazie sull’olio già benedetto) e l’unione con la corrispondente formula.

All’inizio il sacerdote saluta il malato e tutti i presenti con possibilità di usare una delle due formule indicate o di farlo in forma personale libera. In generale il ministro nell’insieme dell’azione liturgica «tenute presenti le circostanze concrete e altre necessità, come pure le eventuali richieste dei malati e di altri fedeli, si serva volentieri delle varie possibilità proposte dal rito»

La successiva aspersione del malato (e della camera) con l’acqua benedetta (secondo l’opportunità) appartiene alle azioni simboliche più primitive di molte religioni. L’acqua è un elemento che non solo purifica, ma anche rinfresca e dà vita. Per il cristiano essa è nello stesso tempo un ricordo del battesimo. In tal modo si ha qui un collegamento tra la situazione di malattia e il momento in cui si è divenuti cristiani col battesimo, ed è stato posto il fondamento della speranza escatologica. Al battesimo accenna anche la preghiera che accompagna l’aspersione.

La monizione introduttiva (ispirata a Mt 18,20; Gc 5,14 s.) rappresenta solo un modello.

In tutti i sacramenti è importante la buona disposizione del ricevente. Perciò segue, se necessaria, la confessione sacramentale, se essa (lodevolmente) non ha avuto luogo prima; oppure si ha l’atto penitenziale nella forma del Confiteor o altre due forme di confessione generale, con la preghiera di assoluzione del sacerdote. Qui terminano i riti iniziali.

La liturgia della Parola inizia con una lettura biblica. Mentre l’antico rituale romano non la conosceva, essa nel nuovo rituale è obbligatoria. È riportata nel rito la pericope di Mt 8,5-10.13. Oltre a essa, nel lezionario in appendice si trovano altre 33 letture e 36 pericopi evangeliche, delle quali alcune sono indicate come particolarmente adatte per i moribondi. Così il nuovo rituale risponde a una richiesta del Vaticano II di disporre nelle nelle sacre celebrazioni una lettura della sacra scrittura e secondo l’opportunità, si può fare una breve spiegazione del brano letto» (74).

La successiva preghiera litanica è proposta come un testo che il sacerdote secondo le circostanze può adattare e abbreviare. Essa può aver luogo a questo punto o dopo l’unzione oppure in tutti e due i momenti.

Terminata la liturgia della Parola iniziano i riti essenziali, indicati espressamente come tali nelle premesse nr. 5. In primo luogo si ha l’imposizione delle mani, che il sacerdote compie senza nulla dire. Questo gesto testimoniato spesso nella sacra Scrittura simbolizza tra l’altro il dono traboccante della forza, della potenza, della grazia, dello Spirito, dell’aiuto, della guarigione e del perdono. L’imposizione delle mani nell’unzione degli infermi ha il suo modello in Gesù e negli apostoli, che a loro volta l’hanno trovato come gesto di guarigione nel popolo ebraico. La sua forza simbolica psicologica consiste nel fatto che essa è espressione immediata della comunione, dell’essere accolto e protetto, è un conforto senza parole, un «gesto primordiale del servizio di guarigione della chiesa» (B. Fischer), un segno che può essere facilmente recepito e compreso dai malati. Poiché un tale gesto avviene nel nome e sull’esempio di Gesù, e il sacerdote che impone le mani rappresenta la persona di Gesù Cristo e agisce per mezzo di lui, esso può suscitare nel malato una fiduciosa confidenza in Gesù.

Segue la benedizione dell’olio, se il sacerdote non dispone di olio benedetto dal vescovo. Può essere utilizzato qualunque olio ottenuto da piante o da frutti e quindi non più il solo olio di oliva . L’olio ha nel mondo antico un ruolo importante come commestibile, mezzo curativo e cosmetico (anche prima e dopo il bagno), elemento per ungere i lottatori e come combustibile per le lampade. Se il sacerdote utilizza l’olio benedetto dal vescovo, prima dell’unzione recita un rendimento di grazie sull’olio già benedetto, del tipo della Beraka ebraica. Dopo l’esaltazione delle tre persone divine si domanda che il malato possa trovare nell’unzione dell’olio sollievo nei dolori e conforto nelle sofferenze.

Secondo il nuovo rito l’unzione avviene sulla fronte e sulle mani. Esse, come «zone espressive centrali» rappresentano l’intero uomo, il suo spirito e il suo corpo, i suoi pensieri e le sue opere, l’«uomo nella sua totalità come persona che pensa e opera». In futuro tenuto conto delle tradizioni e del carattere particolare delle popolazioni si potrà aumentare il numero delle unzioni e se ne potrà cambiate il luogo (24). In caso di necessità è sufficiente però anche una sola unzione o sulla fronte o in un altro luogo (se ad es. la fronte non può essere unta per una eventuale fasciatura).

Durante l’unzione della fronte e delle mani il sacerdote recita la formula dell’unzione, i cui due membri devono essere ripartiti secondo le due unzioni. In italiano essa suona: «Per questa santa unzione e la sua piissima misericordia ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito santo. Amen. E, liberandoti dai peccati, ti salvi e nella sua bontà ti sollevi. Amen». Nuova in questa formula è la messa in risalto dello Spirito santo, come avviene anche nella benedizione dell’olio degli infermi. In effetti egli, soprattutto nella teologia orientale, appare come il “dito di Dio”, che porta a compimento le opere di Cristo, la vera causa efficiente di tutte le azioni salvifiche. Gli effetti citati nella formula essenziale del sacramento si rifanno chiaramente alle affermazioni della Lettera di Giacomo 5,14 s.: salvezza, salute e sollievo del malato, ed eventualmente anche perdono dei peccati. Così è superata quella sottolineatura piuttosto unilaterale del perdono dei peccati nella precedente formula, in cui si diceva: «Per questa santa unzione e la sua piissima misericordia ti perdoni il Signore tutti i peccati commessi con la vista».

Il duplice Amen mette in luce che anche il malato e i presenti prendono parte alla “preghiera della fede” e che anche questo sacramento è cosa dell’intero popolo di Dio.

L’orazione che segue immediatamente l’unzione e non fa ancora parte dei riti di conclusione riassume ancora una volta gli effetti richiesti, nel senso del sollievo corporale e spirituale, e della guarigione del corpo e dell’anima grazie alla forza dello Spirito santo; in tal modo essa sottolinea l’efficacia essenziale di questo sacramento. Con riguardo alle diverse possibili situazioni il rito, oltre alle due formule a scelta, ne riporta altre tre per particolari situazioni: per una persona anziana, per un infermo in grave pericolo, per un agonizzante.

I riti di conclusione della “forma ordinaria” consistono nella Preghiera del Signore e in due formule di benedizione a scelta, ciascuna a quattro membri.

Per l’unzione degli infermi durante la messa si prende il formulario della “messa per gli infermi”; in questo caso non si usano i riti iniziali, i riti di conclusione e la liturgia della Parola previsti nella forma ordinaria. L’amministrazione del sacramento segue il vangelo.

In una celebrazione comunitaria per un gran numero di malati, per la quale occorre il consenso dell’Ordinario del luogo, si deve far attenzione a fare «su ognuno di essi l’imposizione delle mani e l’unzione con la formula sacramentale; tutte le altre preghiere si dicono una sola volta al plurale» (69).

Letto 9453 volte Ultima modifica il Venerdì, 30 Marzo 2012 13:49
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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