Formazione Religiosa

Venerdì, 04 Aprile 2008 21:45

Anania e Saffira (At 5,1-11) (Renzo Infante)

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Anania e Saffira (At 5,1-11)

di Renzo Infante


Il racconto della punizione di Anania e Saffira è stato da sempre considerato uno dei più difficili del NT e in qualche modo fuori luogo, in un'opera, come quella lucana, da cui emerge un Gesù sempre pieno di misericordia e pronto al perdono. Prima di considerarlo, merita attenzione il contesto nel quale è in­serito.

Importanza del contesto

Diversi segnali nel testo indicano che il brano di At 5,1-11 non può essere iso­lato dal contesto più ampio in cui è inserito. La particella greca dé, in 5,1, che generalmente equivale ad una congiunzione, qui ha valore avversativo e con­trappone ciò che segue a quanto è stato in precedenza narrato. Nel sommario di 4,32-35, infatti, si presenta la profonda unità che caratterizza la Chiesa nascente i cui membri tutto dividono e mettono in comune; esempio ne è la ge­nerosità di Barnaba raccontata nei vv. 36-37. In contrasto si pone la pericope della frode di Anania e di sua moglie Saffira (5,1-11), che segue subito dopo.

L'espressione «vendere, portare l'importo e deporlo ai piedi degli apostoli» ripetuta tre volte - al termine del sommario (4,34-35), nell'esempio di Bar­naba (4,37) e all'inizio del secondo esempio (5,1-2) - dà origine ad una stret­ta correlazione tra i brani.

L'episodio di Anania e Saffira, inoltre, trova un certo seguito nell'altro som­mario sulla vita della comunità (5,12-16), nel quale si sottolinea lo stare in­sieme basato, non tanto sulla condivisione dei beni, quanto sul «timore» per i numerosi miracoli e prodigi compiuti dagli Apostoli. In questo sommario, il terzo, emerge la figura di Pietro con il suo potere taumaturgico. La constata­zione letteraria che sia il sommario sia il nostro brano hanno in comune il ri­chiamo al «timore» e al ruolo di Pietro, permette di creare un ponte tra i due passi. Quindi, l'esatto significato della pericope emergerà meglio se conside­rata come parte integrante di un'unità narrativa piuttosto compatta che inizia in 4,32 e termina in 5,16.

Infine, alla luce del costante parallelismo lucano tra le vicende di Gesù (Van­gelo) e quelle della Chiesa (Atti), l'episodio di Anania e Saffira fa da riscon­tro alla storia di Giuda, anch'egli divenuto strumento di Satana (Lc 22,3), re­so consapevole da Gesù stesso della sua colpa (Lc 22,21-22), e finito tragica­mente (At 1,18). (1)

Struttura e commento

In 5,l-2a vengono presentati Anania e Saffira come autori di un'azione in net­to contrasto con quanto appena narrato in 4,32-37. Il protagonista principale è però Pietro che appare nelle vesti di rappresentante e portavoce degli apo­stoli, ai cui piedi i credenti ponevano il ricavato dei beni venduti. La vicenda dei due coniugi protagonisti si sviluppa in momenti successivi: insieme nella complicità del loro misfatto (5,1-2a), si ritroveranno insieme solo nella tomba (5,10). Lo smascheramento e la punizione si svolgono in due scene indipen­denti, ma costruite in maniera parallela: quella di Anania nei vv. 5,2b-6e quella di Saffira in 5,7-10. Il v. 11, in cui si sottolinea l'eco profonda suscitata dalla notizia della sorte dei due coniugi, funge da conclusione.

a loro completa e totale disposizione, in quanto legittimi pro­prietari. Il verbo enosphisato («tenere per sé una parte») ha l'accezione peg­giorativa di «trattenere con frode», «sottrarre», «frodare». Quindi la loro col­pa consiste «nel presentare come totale ed incondizionata un'offerta che è in­vece solo parziale ed interessata». (2) L'espressione «deporre ai piedi degli apo­stoli» equivale a mettere i propri beni o se stessi a disposizione degli aposto­li e dell'intera comunità (cf Lc 8,35). La frode di Anania e Saffira è perciò da considerarsi come un attentato che rischia di spaccare la comunione e l'unità della chiesa «che era "un cuore solo ed un'anima sola" (4,32) e di screditar­ne la "testimonianza" (4,33)». (3)

Nei vv. 3-4 prende la parola Pietro che svolge il ruolo che noi oggi, nel nostro linguaggio giuridico, chiamiamo di «pubblico ministero». Egli è l'antagonista di Anania, ne smaschera la frode ed impedisce che questo attentato alla co­munione ecclesiale abbia effetti devastanti. Segue a raffica una serie di do­mande retoriche che non abbisognano di risposta: Pietro, come Gesù, legge nei cuori e ne svela i più reconditi segreti (cf Mc 2,8; Lc 6,8; 7,39; 22,2ls).

L'azione di Anania viene ricondotta alla radice di ogni malvagità, a Satana che si è impossessato del suo cuore. Invece di far posto allo Spirito, Anania ha aperto il suo intimo a Satana, al padre di ogni menzogna e di ogni sorta di inganno, ed ha mentito allo Spirito Santo (cf Gv 8,44). L'inganno e la frode sono direttamente contro lo Spirito che in Atti è considerato il fondamento dell'unità della chiesa raccolta attorno agli Apostoli (2,14-48; 4,31). Nello scontro in atto tra Pietro ed Anania si confrontano, in realtà, lo Spirito e Sa­tana. Mentre il cuore indiviso era il centro della comunità di coloro che veni­vano alla fede (4,32), Anania ha fatto sempre più spazio nel suo intimo a Sa­tana (5,3.4), padre del sospetto e della divisione.

Anania riteneva di imbrogliare solo gli uomini e invece mentiva a Dio stesso. Questa è l'unica affermazione dopo tante domande retoriche. Ne viene subi­to la condanna, non pronunciata direttamente, ma implicita nella affermazio­ne della menzogna a Dio. Anania è dunque il solo responsabile della sua tri­ste sorte, come ricorda la tradizione sapienziale: «Una lingua bugiarda odia la verità, una bocca adulatrice produce rovina» (Prv 26,28). Chi interviene ad eseguire la sentenza è solo Dio.

Il «timore grande» è la tipica conclusione lucana dei racconti di miracolo e di altri brani in cui si narra di un'epifania divina o angelica. Esso sorge quando un evento ultraterreno irrompe all'improvviso e misteriosamente nel mondo degli uomini, ponendoli a diretto contatto con il fascinoso e tremendo miste­ro di Dio (cf Lc 1,12.65; 2,9; 5,26; 7,16; At 2,43; 5,5.11; 19,17).

Dopo la tragica conclusione del destino di Anania, fanno la loro comparsa i più giovani dell'assemblea di fronte alla quale si è svolto l'accaduto, i quali intervengono a sgomberare la scena dal cadavere di Anania e prepararla per l'episodio successivo (v. 6).

I vv. 7-10 descrivono, in perfetto parallelismo, la sorte di Saffira, che non vie­ne menzionata col nome proprio, ma con l'appellativo di moglie che vive e muore all'ombra del marito, con il quale rimane complice fino in fondo. Saf­fira in accordo con Anania nel «tentare lo Spirito del Signore», subisce la sua stessa sorte e si ricongiunge a lui nella tomba. È interessante la duplice men­zione del «cadere ai piedi» nel v.10 (cf anche «i piedi» del v. 9), che richiama il «deporre ai piedi» l'importo di 4,35.37; 5,2. Il cadere di Saffira ai piedi di Pietro sembra ristabilire l'autorità degli Apostoli, che i due coniugi avevano tentato di misconoscere e ridicolizzare con la loro frode meschina. (4)

Il v. 11, in parte parallelo al v. 5b, funge da conclusione di tutto l'episodio. Il «grande timore», circoscritto in 5,5b alla sola assemblea, coinvolge adesso tutti coloro che vengono a conoscere l'accaduto. È la prima volta che in Atti l'assemblea dei credenti viene denominata ekklésia, nome che diverrà abitua­le nel seguito dell'opera per indicare l'essere insieme dei credenti (21 ricor­renze). La Chiesa è qui l'assemblea formata dagli spettatori attenti e silenzio­si del giudizio di Dio su Anania e Saffira.

Un po' di luce dal genere letterario

La punizione dei due coniugi ha per noi qualcosa di ripugnante e di estraneo allo spirito di Gesù, soprattutto perché non lascia spazio alcuno alla possibi­lità di pentimento in vista del perdono. Tutto sembra finalizzato a mettere in risalto il potere sovrano dell'apostolo Pietro nel giudicare ed infliggere anche una punizione mortale. Ad attenuare questa ripugnanza non serve molto nean­che rammentare quanto Gesù dice sul peccato contro lo Spirito (Lc 12,10) o a riguardo dei peccatori impenitenti (Lc 13,3.5). (5)

Per quanto strano l'episodio possa apparire, esso non è unico nel libro di At­ti (cf 13,4-12; 19,13-17, due brani sostanzialmente identici al nostro), né tan­tomeno nella letteratura biblica ed extrabiblica, dove possiamo trovare un am­pio repertorio. (6)

Questi racconti si possono inquadrare in un sotto gruppo del genere letterario delle narrazioni di miracolo, denominato comunemente come «miracoli di punizione» o «giudizio di Dio». (7) Sono brani che si compongono dei seguenti elementi narrativi: trasgressione, intervento verbale da parte dell'offeso o di un suo rappresentante, punizione del trasgressore, appello, mitigazione della pena. Nel nostro brano mancano i due ultimi elementi. Il nucleo di questi te­sti è costituito dal «superamento immediato e decisivo di un pericoloso attentato ai valori riconosciuti della comunità culturale e cultuale a cui il testo ap­partiene». (8)

Frequentemente questo genere letterario ha come suo Sitz-im-Leben (contesto sociale che dà origine ad una specifica forma espressiva) il sorgere e lo svi­lupparsi di nuovi culti o movimenti religiosi ed ha come scopo la polemica e la lotta all'ateismo, l'empietà o lo scetticismo. La colpa viene avvertita come un fattore che disturba ed infrange l'ordine costituito, disgrega le strutture e le certezze su cui è fondata la vita stessa della comunità. La punizione dura, ap­parentemente sproporzionata e perfino ingiusta, serve a ristabilire l'ordine violato, riaffermando i valori su cui si basa la vita della comunità.

Il nostro testo sottolinea, da un lato la trasgressione che ha qualcosa di radi­cale, perché tocca l'essenza del bene e del male, dall'altro lato l'estrema fa­cilità con cui l'ostacolo e l'attentato vengono superati ed annientati. Se l'at­tentato ha qualcosa di satanico, il suo superamento ha qualcosa di divino.

Un ruolo rilevante è ricoperto dall'intervento verbale dell'offeso o del suo rappresentante umano, che di solito assume una forma processuale, con la convocazione e l'interrogatorio dei colpevoli teso a far luce sulla trasgres­sione e sui moventi. Il nostro testo appartiene con certezza a questo genere, perché in esso viene presentato uno scontro frontale tra oppositori di Dio e Dio stesso.

Significato di At 5,1-11 nel contesto dell'opera

Ci si interroga, infine, sul senso di questo episodio all'interno del piano nar­rativo dell'opera lucana, teso a descrivere l'attuarsi inarrestabile del progetto salvifico di Dio che affonda le sue radici nella storia d'Israele ed ha il suo centro nell'evento Cristo, proclamato dagli Apostoli a tutte le genti.

Nella prima parte del Libro degli Atti (1,12-8,4) l'attenzione è puntata alter­nativamente sui rapporti esterni e su quelli interni alla primitiva comunità. I rapporti esterni sono caratterizzati costantemente dalla persecuzione, quelli interni invece sono connotati dai conflitti. (9) «At 5,1-11 è parte integrante di que­sta strategia compositiva: attraverso Pietro, Dio compie "segni e prodigi" (4,20.23; 5,12.15) per bloccare le tendenze disgreganti e perseverare l'unità della comunità/Israele credente (4,24.32 e 5,11.12) assicurando il "timore" di tutti (5,5.11.13) e la crescita costante dei credenti». (10)

Dietro la frode di Anania e Saffira è in azione Satana che è l'oppositore per eccellenza del piano salvifico di Dio. La sconfitta senza possibilità di rivinci­ta di Satana e dei sui agenti umani indica che non ci si può opporre al piano di Dio che agisce mediante lo Spirito nella storia degli uomini (cf l'espres­sione di Gamaliele in 5,38-39).

La vita della comunità, al di là delle idealizzazioni, è segnata dal pericolo di particolarismi e di egoismi. La storia di Anania e Saffira è uno splendido esempio di come Dio vigili affinché la comunità resti unita e non si scoraggi di fronte all'esperienza quotidiana di infedeltà e di tensione al proprio interno. Pietro assume in questo racconto il ruolo «antipatico» di ministro del giudizio divino e, grazie al prestigio di cui gode, è il sicuro punto di riferimento per la comunità minacciata dagli attacchi interni ed esterni.

Note

1) Cf G. STÀHLIN, Gli Atti degli Apostoli, Paideia, Brescia 1973, p. 155.
2) L. Tosco, Pietro e Paolo ministri del giudizio di Dio, EDB, Bologna 1989, p. 23.

3) J R. PESCH, Atti degli Apostoli, Cittadella, Assisi 1992, p. 255.

4) Cf L. Tosco, Pietro e Paolo, cit., p. 37.

5) Cf G. STÀHLIN, Gli Atti, cit., p. 159.

6) Cf Gn 19; Lv 10,1-5; Nm 11,1-3; 12,1-16; 14,1-12; 16,1-35; 21,4-9; Gs 7,1-8,29; 2 Sam 6,3-10; l Re 12,33-13,34; 2 Re 1,2-17; 2,23-24; Dn 13,52-59; ERODOTO, Hist. II, 111.

7) Cf L. Tosco, Pietro e Paolo, cit., p. 112.

8) Cf L. Tosco, Pietro e Paolo, cit., p. 119.

9) Cf G. BETORI, Perseguitati a causa del Nome, Roma 1981, pp. 20-50. IO L. Tosco, Pietro e Paolo, cit., p. 208.

10) Cf L. Tosco, Pietro e Paolo, cit., p. 208.

(da Parole di vita, 2, 1998)
Letto 8583 volte Ultima modifica il Sabato, 10 Maggio 2008 21:23
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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