Formazione Religiosa

Mercoledì, 19 Marzo 2008 00:39

L’origine della pasqua (Giuseppe Dell’Orto)

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La Pasqua, festa centrale per Israele, ha un divenire storico assai complesso e in vari punti ancora oscuro. Ciò è dovuto alle varie santificazioni che si sono sovrapposte lungo i secoli.

Il termine «Pasqua»

La Pasqua, festa centrale per Israele, ha un divenire storico assai complesso e in vari punti ancora oscuro. Ciò è dovuto alle varie santificazioni che si sono sovrapposte lungo i secoli. Vogliamo qui ripercorrere brevemente l'origine, a cominciare dal nome «Pasqua».

Il termine deriva dalla parola ebraica pesah (da cui Pascha-Pasqua), la cui radice corrispondente è psh che compare in tre passi fondamentali dell'Esodo: 12,13 (P); 12,23.27 (J). Oltre a questi testi «classici» troviamo la medesima radice in Is 31,5, dove, secondo il contesto, sembra avere il significato di «risparmiare», e anche in I Re 18,21.26 nel significato di «saltellare, zoppicare».

Allo stato attuale della ricerca non si è ancora trovata una spiegazione etimologica che metta d'accordo gli studiosi. E così si è pensato di trovare una relazione del verbo psh con il verbo assiro-babilonese pasahu che significa «riconciliare (la divinità), renderla propizia». In questo caso la festa di Pasqua sarebbe la festa della riconciliazione per eccellenza. «Ma la Pasqua israelitica non ha carattere espiatorio».

Più recentemente si è fatto ricorso all ' ambiente linguistico egiziano: si farebbe risalire pesah a p-sh che significa «il colpo»: il nome della festa di Pasqua ricorderebbe così «il colpo del Signore» (la decima piaga), che nella prima notte pasquale aveva colpito l'Egitto e i suoi primogeniti. Questo substrato egiziano del nome di Pasqua, se fosse sostenibile da un punto di vista fisiologico, dimostrerebbe la grande antichità della festa, che anche in base alla sua denominazione si dovrebbe far risalire al tempo di Mosè.

Tale ipotesi, come sostiene il de Vaux, è suggestiva ma non convincente «perché, se si può ammettere un nome egiziano per un costume acquisito dall’Egitto da parte degli Israeliti, è difficile pensare che questi abbiano dato un nome egiziano ad un uso loro proprio, istituito per di più, nell'ipotesi, contro gli Egiziani; d'altra parte tale spiegazione mette origine e significato della Pasqua in relazione alla piaga dei primogeniti d'Egitto che costituisce un tratto secondario».

Forse conviene rimanere nell'ambito biblico. Possiamo supporre che, a partire dal significato originario del verbo psh, ossia «zoppicare», sia scaturita una serie di immagini: «saltellare, saltare oltre, risparmiare» che poi sarebbe stata addotta come spiegazione etimologica popolare del sostantivo pesah. Oppure, è plausibile anche l'opposto, ossia che all'origine psh significasse la danza zoppicante caratteristica della celebrazione pasquale arcaica, da cui poi sarebbe derivato il nome proprio di pesah.

Qualunque sia, comunque, la sua origine etimologica, è fuori dubbio che la Bibbia collega la festa con il verbo pasah che ha come soggetto JHWH. Egli, passando nella notte esodale per l'Egitto, avrebbe «saltato» le case degli Ebrei. Dal significato materiale, il verbo assume un valore metaforico e cioè «risparmiare, proteggere, salvare». Chi salta una cosa, non la conta, la mette da parte, la risparmia e, in certi casi, la salva. JHWH nel passaggio avrebbe «risparmiato, protetto, salvato» Israele e i suoi primogeniti.

L'origine della festa di Pasqua

Circa l'origine della festa l'accordo tra gli studiosi è maggiore. Sempre più la critica si va orientando verso un' epoca nomadica o comunque pre-esodale. Ne fanno fede alcuni indizi del testo biblico.

La descrizione della Pasqua secondo la tradizione jahvista è uno dei testi biblici più antichi che ricordano tale festa. Leggiamo in Es 12,21-23: «Mosè convocò tutti gli anziani d'Israele e disse loro: "Andate a procurarvi un capo di bestiame minuto per ogni vostra famiglia e immolate la pasqua. prenderete un fascio di issòpo, lo intingerete nel sangue che sarà nel catino e spruzzerete l'architrave e gli stipiti con il sangue del catino. Nessuno di voi uscirà dalla porta della sua casa fino al mattino. Il Signore passerà per colpire l'Egitto, vedrà il sangue sull'architrave e sugli stipiti: allora il Signore passerà oltre la porta e non permetterà allo sterminatore di entrare nella vostra casa per colpire"». Come si noterà, l'ordine di Mosè di «immolare la Pasqua» è dato senza alcuna spiegazione; ciò lascia supporre che era una celebrazione consueta in Israele. Se, infatti, fosse stata una festa che si introduceva per la prima volta, l'ordine avrebbe avuto un tenore diverso o, quanto meno, sarebbe stato motivato.

Gli Ebrei d'Egitto, dunque, la celebravano già prima dell'esodo; una conferma ulteriore viene data da un altro testo, della stessa tradizione, in cui si riporta il comando di Dio al faraone: «Lascia andare il mio popolo perché mi celebri una festa (hag) nel deserto» (Es 5,1). Soprattutto il passo di Es 8,21-248 indica che le tribù israelitiche si sentivano obbligate a celebrare un rito che destava negli Egiziani una vera ripugnanza ed era addirittura considerato come un sacrilegio. L' ariete, che veniva immolato nel pesah, era per gli Egiziani un animale sacro, a cui si attribuiva la fecondità dei greggi e perfino quella delle donne.

Le caratteristiche corrispondono a quelle di una tipica festa pastorale: se, da un lato, la menzione della «casa», degli «stipiti» e il «frontone» potrebbero riferirsi a un modo di vivere posteriore, dall' altro il racconto è chiaramente nomadico. Si tratta di una festa di primavera, una festa di famiglia presieduta dal capo di casa, una festa che ha per sacrificio l'immolazione dei nati dell'anno.

I riti più importanti, connessi con il sacrificio del primogenito del bestiame, erano l'impiego del sangue per l'unzione degli stipiti e dell'architrave della porta di casa, l'impiego delle carni per un pasto sacro. Un giovane animale veniva offerto alla divinità per ottenere la fecondità e la prosperità dell'armento: proseguivano poi con un pasto che si prolungava tutta la notte; con ciò si suppone che i commensali si stringessero uno accanto all'altro nel banchetto sacrificale, in modo da rinsaldare i vincoli e formare una comunità sacrificale.

L'aspetto nomadico della festa emerge anche dall'attenzione ai «particolari»: naturalmente non esistevano gli utensili di cucina, pertanto l'agnello veniva arrostito in modo rudimentale sul fuoco improvvisato. Il pane si faceva lì per lì, con la farina impastata con l'acqua e cotta sulla brace o su una piastra calda. Non si usava lievito perché non c'era tempo per la lievitazione della pasta. Il sale era sostituito dalle erbe amare che, oltre a costituire il «contorno» servivano per aromatizzare il pasto. Anche gli indumenti sono tipicamente pastorali: i sandali ai piedi, la veste succinta con una cintura ai fianchi per appendervi oggetti vari, bastone in mano per la guida del gregge.

Di particolare importanza era il rito del sangue cosparso sugli stipiti delle porte (all'inizio, sui sostegni della tenda). Esso svolgeva, alla vigilia della transumanza, una grande funzione apotropaica (da: apotrepein, stornare, allontanare, proteggere): allontanava, cioè, dal gregge le potenze malefiche che potevano insidiare il cammino.

È a questo aspetto che allude la tradizione jahvista quando parla dello «sterminatore» o del «distruttore»: il mashit (Es 12,23). Questi non era altro che la potenza demoniaca da propiziare perche non arrecasse danno alle persone e agli animali; per questo i nomadi solevano aspergere l' ingresso della tenda con il sangue della vittima.

Quanto alla data della celebrazione, i testi sacerdotali la collocano al 14/15 Nisan, e dunque al plenilunio del primo mese. Essendo una festa notturna nel deserto, si celebrava al plenilunio non necessariamente perché si riallacciasse a un culto astrale, Il ma per la massima chiarezza della notte stessa e per l'importanza che la luna ha nei costumi nomadici come regolatrice di tutta la vita.

L’origine della festa degli Azzimi

Gli Azzimi (ebr. massot) sono pani senza lievito. La festa delle massot segna l'inizio della mietitura dell'orzo, che è la prima; e a partire da lì, «a partire cioè dal momento in cui la falce avrà cominciato a tagliare le spighe» ( cf Dt 16,9) si contano le sette settimane sino alla festa della «mietitura» o festa delle Settimane. Durante questi sette giorni si mangia solo pane fatto con l'orzo nuovo, senza l'impiego del lievito, cioè senza nulla che provenga dal vecchio raccolto: è un nuovo inizio.

Stando a Es 23,15 alla prescrizione degli Azzimi è aggiunta quella di «non presentarsi a mani vuote davanti a JHWH»; dunque, la festa si caratterizza per la prima offerta delle primizie, meglio descritta dal rituale di Lv 23,9-14.13 Se si tiene conto che la vera festa delle primizie è la festa delle Settimane, che cade al termine della mietitura del grano, gli Azzimi ne sono la preparazione. Le due feste aprono e chiudono il tempo delle messi.

Da questo si comprende come la festa degli Azzimi fosse una festa agricola che si era incominciato a celebrare dopo l'ingresso di Israele nella terra di Canaan: «Parla agli Israeliti e ordina loro: Quando sarete entrati nel paese che io vi do e ne mieterete la messe, porterete al sacerdote un covone, come primizia del vostro raccolto» (Lv 23,10).

È quindi molto probabile che Israele l'avesse derivata o assimilata dai Cananei; tuttavia, acquistò ben presto una caratteristica tipicamente israelitica con il collegamento alla settimana e al sabato, istituzioni prettamente ebraiche. Essendo festa agricola, dipendeva dalla maturazione del raccolto, per cui non aveva una data precisa, se non quella del «mese di abib», cioè «il mese delle spighe».

Quando la festa di Pasqua diventò una festa di pellegrinaggio (e siamo al tempo della riforma di Giosia), ad essa venne unita anche quella degli Azzimi; oltre al fatto che le due feste cadevano nello stesso periodo, l'elemento che ne favorì la fusione dovette essere l'uso di mangiare pane azzimo nel rito pasquale, forse anche sotto l'influenza di riti locali come quelli del santuario di Gilgal (Gs 5,10-12).

Così, la data della Pasqua rimase inalterata - cioè il plenilunio -, e ad essa fu connessa la festa degli Azzimi che si protraeva per sette giorni (cioè dal 14 Nisan al 21).

È così che le due feste, originariamente indipendenti, vennero successivamente fuse insieme, dal momento che cadevano nello stesso periodo primaverile: il pesah e le massot formarono un'unica festa celebrata contemporaneamente sia con l'agnello (il simbolo dei pastori), che con il pane non lievitato (simbolo degli agricoltori).

La storicizzazione

Qui tocchiamo il livello più importante e specifico della religiosità di Israele. Varrà la pena ricordare che la religione di Israele non è una religione «naturale», bensì una religione rivelata, storica e che la sua fede è fondata sugli interventi di Dio nella storia del popolo.

A differenza della concezione originaria preisraelitica di queste feste, come celebrazioni cosmico-cicliche e mitiche, tutte le tradizioni di feste in Israele sono collegate con l'esodo e celebrano l'intervento potente di Dio liberatore. Questa concezione della salvezza che avviene nella storia costituisce l'originalità della fede di Israele.

Emigrati in terra d'Egitto a causa di una carestia (Gn 42,1-5) e divenuti schiavi del Faraone (Es 1,8), gli Israeliti furono liberati nel sec. XIII a.C. La Pasqua, con i riti dell'agnello e della pasta non lievitata, viene storicizzata: assume cioè il significato di festa di liberazione di Israele dalla schiavitù dell'Egitto, da parte di Dio.

Così spiega de Vaux: «Vi era una festa di Pasqua probabilmente preisraelitica; vi fu, acquisita forse da Canaan ma divenuta israelitica, una festa degli Azzimi: due feste celebrate a primavera. Vi era stato in una certa primavera uno splendido intervento di Dio, la liberazione dall'Egitto, la quale aveva segnato l' inizio della storia di Israele come popolo, e popolo eletto di Dio, e si era conclusa con l'installazione nella Terra Promessa. Le feste della Pasqua e degli Azzimi sono servite a commemorare tale avvenimento dominante della storia della salvezza».

Il racconto di Es 11-12, come lo possediamo ora, ha combinato insieme due temi, per se indipendenti: la decima piaga che permette agli Israeliti di uscire dall'Egitto e la Pasqua quale circostanza storica di questa uscita. In una determinata primavera, nel momento in cui si celebrava la festa per la prosperità del gregge, prima di partire per i pascoli estivi, nell' occasione di un flagello che devastò gli Egiziani, gli Israeliti uscirono dall'Egitto guidati da Mosè in nome del loro Dio JHWH.

La contemporaneità dei due fatti, uscita e celebrazione, servì in seguito a rapportarli tra di loro, e allo stesso tempo modificò il senso degli antichi riti di questa festa di pastori: il termine pesah fu interpretato in maniera da indicare l'azione di JHWH che «salta, passa oltre risparmiando, protegge» le case degli Israeliti segnate dal sangue della vittima pasquale. Il «distruttore» (mashit) è divenuto di conseguenza l' esecutore della decima piaga; l'equipaggiamento dei pastori è diventato quello di gente pronta a partire; il pane senza lievito è diventato il segno della fretta con la quale si è costretti a partire.

Il fatto che già nella protostoria di Israele, tanto la celebrazione della Pasqua quanto la festa degli Azzimi avevano assunto il medesimo contenuto e significato, e d'altra parte il loro coincidere nel tempo- nel primo mese di primavera - portarono necessariamente ad una progressiva concrescita di ambedue le celebrazioni culturali, pur differenti nella loro origine. Se è incerto il momento in cui si conclude questo processo di fusione, è certo però al tempo dell'esilio ambedue le celebrazioni sembrano già fortemente legate l'una all'altra. Nel periodo postesilico si giunse infine ad usare i termini pesah e massot senza distinzione, per un 'unica e medesima celebrazione; cosicché il termina «Pasqua» fu usato per indicare l'intera celebrazione che durava sette giorni.

All' epoca del Nuovo Testamento, Pasqua e Azzimi hanno dunque il valore di un'unica istituzione che viene indicata ora con un nome, ora con l'altro.

Giuseppe Dell’Orto

(da Parole di Vita)

 

Letto 5852 volte Ultima modifica il Sabato, 19 Aprile 2014 09:10
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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