Congar e la chiesa itinerante
di Giovanni Tangorra
C’è il rischio che la chiesa si ripieghi su se stessa soffermandosi nella contemplazione del suo mistero anziché protendersi verso gli altri. Occorre riscoprire il soggetto e farlo entrare nella chiesa, personalizzando la fede. Altro rischio da evitare è il fariseismo. Perché le situazioni sfavorevoli sono maggiormente vantaggiose per la chiesa.
(...)
Una chiesa di uomini
Dopo gli anni dedicati ad analizzare l'identità della chiesa, Congar sente l'esigenza di esaminare il contatto fra questa identità e le principali realtà che costituiscono la dimensione dell'uomo: la persona, il tempo, il mondo. Lo stesso termine «itinerario» fa uscire da una prospettiva in cui la chiesa rischia di ripiegarsi su se stessa, soffermandosi nella contemplazione del suo mistero e afferma che è invece necessario che si riscopra protesa verso gli altri. In poche parole, occorre abbandonare la tentazione del narcisismo ecclesiale perché c'è una strada da percorrere, uomini da incontrare, un tempo da subire e un mondo da abbracciare.
Questo è il segno autentico che esigono i tempi, così come l’autore francese afferma in questa citazione: «Il riconoscimento della situazione reale vuole che la chiesa non esista solamente in se stessa, ma in un certo modo al di fuori di se stessa, al di là dei suoi quadri sacrali, nelle strutture stesse del mondo». (1)
Il passaggio da operare è quindi quello da una chiesa statica a una dinamica, da una chiesa introversa, ferma nella difesa del suo apparato a un'altra che decide di impegnare se stessa lungo l’itinerario degli uomini.
Mentre fino alla rivoluzione francese la società viveva ovattata in uno schema istituzionale che concedeva ben poco alla persona e dove l'autorità pensava a tutto, successivamente c’è stata un'autentica presa di coscienza da parte del soggetto che ha riscoperto il suo spazio personale. Si è così entrati in uno schema che privilegia la dignità dell'uomo a partire dall'uomo stesso, quindi con la sua capacità di essere vero responsabile degli atti che costruiscono la sua esistenza e non strumento o preteso fine di preconcette ideologie.
Di fronte a questo movimento la chiesa ha assunto diverse posizioni che vanno dalla condanna esplicita all'attesa di tempi migliori. Secondo Congar non è possibile mettersi a guardare, occorre accogliere queste nuove idee che devono addirittura diventare motivo di riespressione del cristianesimo. La soluzione proposta non è quindi quella della condanna o della chiusura in se stessi rinforzando le proprie difese, ma quella dell'accettazione.
Nasce proprio qui l’intima esigenza riformista dell’autore, dalla considerazione, cioè, di un mondo diventato adulto che egli caratterizza in questi termini: «passaggio da un mondo oggettivo, a un mondo soggettivo, da un mondo dell’ordine, della gerarchia e della tradizione ad un mondo della coscienza personale». (2)
Il tema, che occupa molte pagine delle opere congariane, si riduce a una sola conclusione: occorre riscoprire il soggetto e farlo entrare nella chiesa. È come un leit-motif di tipo programmatico: nel messaggio cristiano sono importanti le persone e dunque la chiesa è una realtà che deve essere fatta dagli uomini, negli uomini per cui non bisogna schermirsi di fronte al principio personale, perché «sempre la fede personalizza». (3)
Questa personalizzazione va operata a due livelli: nella fede e nella considerazione della chiesa stessa.
Personalizzare la fede
Il primo passo e quello di una coerente autocritica, che deve portare a una revisione dello stesso concetto di «chiesa».
Troppo spesso questo è stato inteso più nel senso dell'apparato che in quello degli uomini. «Abbiamo elaborato - scrive Congar - una teologia. e talvolta pure praticato una pastorale. del sacramentum, dei mezzi di grazia quali esistono in se stessi allo stato di istituzioni, di istanze amministrative, di formule. di riti: li abbiamo messi troppo poco in relazione con un soggetto religioso di cui possono essere e sono effettivamente la cosa (res) e soprattutto con un soggetto religioso collettivo, con una comunità». (4)
L'autocritica riceve nuovi argomenti dalla considerazione del reale. Riferendosi ad alcune indagini, Congar mette in evidenza, in un suo studio, che se un protestante e un cattolico abbandonano entrambi la pratica religiosa, l'abbandono si fa più radicale nel cattolico e questo perché, mentre il cattolicesimo pratica una fede ancorata all'istituzione, il protestante, per l'assenza di strutture, è obbligato a fare atti religiosi personali e quindi ha una maggior possibilità di restare in una dimensione di fede, nonostante l'eventuale abbandono della pratica. Il cattolico, invece, abbandonata la struttura, sembra che abbandoni anche ogni movimento interiore.
rimedio non è quindi quello di rafforzare la dimensione istituzionale della fede, ma quello di sottoporla a un’attenta verifica, soprattutto nelle sue conseguenze più negative, come l'oggettivismo, il legalismo e il giuridismo. Tutte si riducono a una matrice comune: confusione dei mezzi col fine e materializzazione del rapporto religioso. L'oggettivismo infatti scambia la grazia coi suoi strumenti, il legalismo sostituisce l’amore con la legge e il giuridismo confonde la validità canonica con la dimensione di Dio. che Dio, in quanto soggetto primo, crea soggetti, rispettati nella loro coscienza e libertà.La sua volontà di dialogo con la cultura contemporanea porta quindi Congar a condividere l'odierno disagio istituzionale e, soprattutto per ciò che riguarda il mondo della fede, lo giudica positivamente, sostenendo che il futuro della chiesa dipende proprio dall'accoglienza o meno di questo principio, ossia da «una personalizzazione molto più grande delle convinzioni e dei comportamenti». (5)
Personalizzare la chiesa
Tre concetti congariani aiutano a comprendere questo tema e a chiarire meglio le idee finora esposte. Essi sono legati ad altrettanti termini specifici, che approfondirò singolarmente: qualcuno / interiore /reale.
1. Il primo si oppone a «qualcosa», un termine che in Congar esprime il rischio di una cosificazione della grazia, con un'accentuazione esagerata del «mezzo» e delle regole per attuarlo. L'autore si serve della dialettica qualcosa/qualcuno per indicare che tutto ciò che ha a che fare con la vita della chiesa non è solo gesto di «qualcosa», ma è atto di «qualcuno», sentito e ricercato in modo personale, con sincerità e autenticità. Si tratta di operare un passaggio dalla cosa in sé, alla cosa in qualcuno, dal primato delle cose a quello delle persone.
Molte sono le applicazioni di questo principio, non solo al livello di ritualismo religioso, ma anche nelle discussioni dottrinali dove si è spesso più preoccupati dell’esattezza dell’enunciato che del suo contenuto di verità.
2. «Interiore»per Congar è un termine che esprime l'indole del progetto divino. Questo si sviluppa attraverso un movimento di interiorizzazione per cui procede dall’esteriorità delle figure e dei riferimenti all’interiorità del cuore umano. È la dinamica della presenza divina che dalle pietre delle stele e dei templi, dalle tavole della legge, avanza per interiorità fino a diventare una presenza dello Spirito all’interno del cuore stesso del discepolo. (6) Il cammino non si fermerà che in cielo, sinonimo di interiorità assoluta. (7)
Se questo progetto prosegue dalle forme verso il cuore, dalle pietre verso l’interiorità, non bisogna allora avere paura del principio personale, ma favorirlo in tutti i modi.
3. «Reale» sta invece per vero e nel nostro caso indica una cosa che è vera perché diventata atto soggettivato. Sotto questo aspetto un rapporto religioso si dice «reale» nella misura in cui è gesto che parte da un soggetto. Congar si spiega ricorrendo al concetto scolastico della res. Per gli scolastici la res è ciò che di fronte al sacramentum (il mezzo) e alla res et sacramentum (l’effetto), costituisce il sacrificio spirituale dell’uomo e quindi produce l’effetto di grazia. (8) Unendo queste tre dimensioni si deve allora sostenere che il sacramento non è completo finché non raggiunge un grado di interiorità, finché, in sostanza, non è il gesto di «qualcuno».
Non sono però solo gli atti a beneficiare della visione personalista introdotta all’interno della fede. È il mistero della chiesa che deve diventare «reale» nel soggetto umano. «La chiesa stessa che è come un grande sacramento – scrive l’autore – deve avere il suo compimento e la sua verità nell’uomo stesso. Essere reale, potremmo dire, è affermare la sua realtà, raggiungere la sua verità». (9) Dunque la chiesa non è reale o vera finché non raggiunge la sua res nel cuore dell’uomo, finché non diventa vita stessa della persona. La chiesa deve essere gesto di qualcuno e non qualcosa; deve vivere nell’uomo e non nelle cose, siano esse riti, verità, leggi, gerarchie.
La denuncia implicita è quindi contro una specie di materialismo ecclesiologico: la chiesa raggiunge la sua integrità non solo nell'applicazione oggettiva dei suoi contenuti e delle sue regole, bensì diventando contemporaneamente una realtà generata nelle coscienze, nei cuori dagli uomini, rinnovandosi come atto esistenzializzato.
Da queste poche note si comprende come Congar abbia quasi preparato, con molto anticipo, le problematiche principali che hanno coinvolto la chiesa europea degli anni settanta-ottanta, a noi note col titolo di Evangelizzazione e sacramenti, nonché un tema ecclesiologico di grande attualità, strettamente collegato allo dimensione antropologica: quello della chiesa come «noi».
Il fatto che questi argomenti fanno parte del passato non vuol dire che sono superati, anzi credo che oggi stiano ridiventando di profonda attualità, in un periodo in cui il cosiddetto ritorno religioso rischia di confondersi con un tentativo di restaurazione, e quindi con un'isolata conferma dell'elemento istituzionale, oppure con una sorta di atteggiamenti magico-sacrali che al fondo costituiscono proprio il massimo livello dell'umiliazione della persona.
La tentazione ecclesiale
Per Congar intraprendere un cammino contrario rispetto a quanto esposto finora equivale a cadere nella prima delle due grandi tentazioni ecclesiali: quella del fariseismo. (10)
Questo coincide con la tentazione di sostituire il fine ai mezzi lasciando prevalere la forma sullo spirito. I farisei. almeno quelli dei vangeli, avevano per fine la legge e non l'uomo, piegando la sua dignità al dettato scritto. La chiesa cade in questa tentazione tutte le volte che lascia prevalere l'elemento istituzionale-organizzativo su quella personale-spontaneo, tutte le volte che la struttura soffoca i carismi e l'unità elimina la diversità. «Il pericolo insomma – scrive il teologo francese – è che ciò che è principio e fine non venga ricoperto, offuscato e alla fine rimpiazzato da ciò che doveva restare mezzo». (15) L'orientamento farisaico umilia l'uomo in quanto misura la sua fede non tanto dalla sincerità dei gesti, quanto dall'aderenza delle cose. Il rapporto religioso perde così la sua purezza e il volto di Dio diventa estraneo e irraggiungibile perché gli viene sostituita un’idea e un’immagine di tipo autoritario. Il vangelo autentico è invece grande antagonista del fariseismo, basta pensare al ricorrente e lapidario principio del «sabato per l’uomo e non l’uomo per il sabato» (Mc 2,27).
Congar non è il tipo di contrasti e quindi non li crea lì dove per principio non esistono. Così la dialettica spirito/forma non è vista come un conflitto ineluttabile, per cui la strada più giusta da seguire deve essere la complementarietà dei principi.
Tuttavia, se si deve scegliere, Congar non ha dubbi, al punto che egli augura alla chiesa di trovarsi sempre in una situazione sfavorevole anziché di successo rispetto alle istituzioni civili, perché le considerazioni ufficiali favoriscono la chiusura, l’arroccamento, il conformismo, e il cristianesimo diventa un dato biografico, più che una scelta. (12)
Il messaggio conclusivo è molto semplice: gli uomini non si utilizzano, si servono. La chiesa non deve allora scambiarsi per un partito che cerca consensi, ma si ritroverà ogni volta che si perderà.
Note
1) «Structures essentielles pour l’Eglise de demain», in Concilium, suppl.to 60/1970, p. 153 (tr. it. «Strutture essenziali per la chiesa di domani», in Il Regno, ott. 1970, pp. 517-519.
2) Vraie e fausse Réforme dans l’Eglise, Cerf, Paris 19692, p. 36 ; cf. soprattutto le pp. 49-52 : «Religion et institution», in Théologie d’aujourd’hui et de demain, Cerf, Paris 1967, pp. 81-97 ; «Renouvellement de l’Esprit et réforme de l’institution», in Concilium, 73 (1972), pp. 37-45.
3) Questo motivo percorre tutte le pagine del libro sulla Riforma, ancora oggi uno dei saggi più discussi di Congar, quello che gli valse addirittura l’accusa di sospetto modernismo, cf. Vraie e fausse Réforme dans l’Eglise, o. c. pp. 127-131; anche Sainte Eglise, Cerf, Paris 1963, pp. 43-68, 89-97.
4) Jalons pour une théologie du laicat, Cerf, Paris 1953, p. 81.
5) «L’Avenir de l’Eglise», in L’Avenir, atti della settimana degli intellettuali cattolici, Cerf, Paris 1964, p. 212.
6) Su questo tempo soprattutto Le mystère du temple (tr. it. Il mistero del tempio, Borla, Torino 1963).
7) Cf. «Le ciel, buisson ardent du monde», in Vie spirituelle, 618 (gennaio 1976), pp. 69-79.
8) Cf. «Pour une liturgie et une prédication réelle» in La maison Dieu, 16 (1948), pp. 75-87 ; ripreso in Sacerdoce et Laïcat devant leur tâches d’évangélisation et de civilisation, Cerf, Paris 1962, pp. 161-173.
9) Ivi, p. 165.
10) Cf. Vraie e fausse Réforme dans l’Eglise, o. c. pp. 143-157.
11) Ivi, p. 145.
12) Sempre attento alle parole, in un altro studio Congar propone un’interessante verifica dell’azione pastorale e alle missioni, applicando queste idee alla distinzione fra discepolato e proselitismo. La prima è un’azione motivata dal bene dell’uomo visto come soggetto, il proselitismo è, invece un rivolgersi agli uomini come strumenti per il trionfo della propria organizzazione: cf. «Réflexions sur prosélytisme et évangélisation» in Rythme du Mond, 2 (1946), pp. 58-68, ripreso in Sacerdoce et Laïcat devant leur tâches d’évangélisation et de civilisation o. c. pp. 51-64.