Le grandi incertezze nella Chiesa attuale
(prima parte)
di José Comblin
Sommario: La Chiesa ancora non ha preso conoscenza della grande rivoluzione degli anni ‘70. Non ha capito la grande aspirazione alla libertà e i passi fatti. Questa rivoluzione include la critica di tutte le istituzioni perché sono repressive e sono di ostacolo alla libertà. La critica delle istituzioni tocca anche la Chiesa e sta alla base delle crisi interne della Chiesa fin dagli anni ‘70. D’ora in avanti la distinzione tra Chiesa e l’istituzione è inevitabile. L’istituzione è tutto quello che è stato aggiunto al messaggio di Gesù. Essa varia e ancora può e deve variare. La nuova situazione provocata dalla conquista del mondo da parte del sistema capitalistico mondiale, obbliga a cambiare l’atteggiamento davanti al mondo. La Chiesa pare muta e disorientata. Il Papa potrà dare segni profetici chiari in questo mondo neoliberale? Continuerà a pensare che la funzione della Chiesa è di offrire una dottrina sociale?
1. Il fatto fondamentale
Il fatto fondamentale è che la Chiesa ancora non si è accorta o non ha riconosciuto o non ha voluto accettare la grande rivoluzione della società occidentale che si è manifestata negli anni ‘70 del secolo passato e si è estesa rapidamente al mondo intero. Quello che succede attualmente in Cina e nei paesi detti “tigri asiatiche” è altamente significativo. Popoli che avevano una lunga tradizione di civiltà adottano con entusiasmo e quasi con furia la nuova società occidentale nata dalla rivoluzione degli anni ‘70.
La Chiesa vive ancora nell’illusione del mondo del tempo del Vaticano II, come se non ci fosse stata una rivoluzione così radicale quanto la rivoluzione francese, subito dopo il concilio. Chi oggigiorno legge certi testi conciliari, per esempio la Gaudium et spes, non può non rimanere impressionato dall’ingenuità della concezione del mondo che si aveva in quel tempo. Il Vaticano II ha parlato per un mondo che oggi non esiste più. E’ entrato nella storia, ma non fornisce orientamento per il mondo di oggi.
A partire dagli anni ‘70 è cominciata la frana della cristianità. Ai tempi del Vaticano II, alcuni frettolosi avevano proclamato la fine della cristianità. Ma non era ancora la fine. Al contrario, il concilio visse in un ambiente di neo-cristianità. Pochi anni dopo, cominciò la grande rivoluzione della società occidentale che si ripercosse anche dentro la Chiesa come un uragano. Molti cattolici si allontanarono dall’istituzione e anche molti sacerdoti e molti religiosi. I conservatori intransigenti attribuirono questo fatto al concilio, ma il concilio non aveva niente a che vedere con questo. Quello che era avvenuto era una grande rivoluzione totale della società occidentale: rivoluzione nella scienza, nell’economia, nella politica, nella cultura; rivoluzione totale e profonda con conseguenze di una rivoluzione nell’etica e nella religione.
Questa rivoluzione scosse tutte le istituzioni: la famiglia, l’impresa, la scuola, l’università, lo Stato e, naturalmente, le istituzioni religiose. Scomparvero antichi poteri e apparvero nuovi poteri. Ora sì, stiamo arrivando alla fine della cristianità. Ma ancora non è la fine della coscienza della cristianità all’interno della Chiesa. Al contrario, tutta l’istituzione continua a funzionare come se niente fosse cambiato e come se la Chiesa avesse ancora lo stesso potere sociale di sempre. Ci sono movimenti potenti che pensano che possono rifare di nuovo una neo-cristianità come era avvenuto dopo la rivoluzione francese. Pura illusione. Mancano gli elementi sociali per ricominciare questa operazione.
Tuttavia questa coscienza di cristianità in una situazione di svuotamento della stessa cristianità, genera un sentimento abbastanza generalizzato di malessere. Provate a paragonare la psicologia dei cattolici e perfino del clero con la psicologia degli evangelici! Tra gli evangelici prevale un sentimento di euforia, di fiducia, di vittoria. Gli evangelici si sentono vincitori e i cattolici hanno la coscienza degli sconfitti che cercano di coltivare il passato senza molta convinzione.
Ora, la fine della cristianità significa che l’evangelizzazione e la pastorale non possono essere fatte a partire da una posizione di potere.
Dai tempi di Costantino, la pastorale si è fatta partire da posizione di potere dei vescovi e del clero. Loro insegnano, amministrano i sacramenti, governano le comunità. Ogni parroco è papa nella sua parrocchia: lui è infallibile, con piena giurisdizione. I laici sono oggetto di obblighi: i laici devono frequentare la parrocchia, devono ubbidire e, soprattutto, sostenere finanziariamente una istituzione in cui non hanno nessun potere. E il potere del clero appare come se fosse il potere di Dio. La parrocchia è l’immagine del potere. Il parroco è inviato dal vescovo senza chiedere nessun parere ai laici. Lui comanda, non perché riconosciuto dal suo popolo come la persona più capace, ma semplicemente per imposizione del vescovo. All’improvviso, arriva e può comandare in tutto. L’unico limite al suo potere è la resistenza del popolo, l’indifferenza della maggioranza e un’attitudine di difesa così frequente tra i cattolici che fa sì che soltanto una piccola minoranza partecipi della parrocchia.
Quanto all’evangelizzazione del mondo, essa si fa quasi sempre per imposizione. L’evangelizzazione è andata di pari passo con le conquiste delle potenze della cristianità dell’Occidente, attraverso guerre di religione o conquiste di colonizzazione. L’America Latina è l’esempio più completo di quest’evangelizzazione attraverso conquiste e conversioni forzate. Ci sono state eccezioni. Ci sono stati missionari che hanno protestato contro la conquista. Essi però non ebbero nessuna influenza. Il loro scritti non furono pubblicati prima del secolo XIX quando gli imperi di Spagna e Portogallo erano già scomparsi. I popoli conquistati ricevettero il cristianesimo attraverso la pressione del potere politico militare associato alla missione.
Oggigiorno, la Chiesa non ha più potere oppure solamente mantiene alcune illusioni di potere. Ma già fin d’ora non può evangelizzare a partire dal potere. Questo lascia la Chiesa sconcertata, con un sentimento di impotenza. Io stesso ho sentito un Nunzio affermare che senza l’appoggio del potere civile la Chiesa non riesce a evangelizzare. Coloro che stanno attaccati alla tradizione restano sconcertati. Abituati all’idea che il prete è una persona di potere, improvvisamente restano disorientati, quando percepiscono che nessuno più accetta il loro potere, salvo alcune pie donne che si prendono cura della chiesa parrocchiale. Mons. Expedito, di São Paulo do Potengi, raccontava le parole del Vescovo di Natal che lo aveva nominato parroco. Diceva il vescovo: “Expedito, non dimenticare mai che tu sei un’autorità. Cerca di avere buone relazioni col Prefetto, col Delegato di polizia, e con il giudice. Quanto al resto fa quello che puoi”.
Il problema tra tutti i problemi e che sta alla base di tutti è la necessità di evangelizzare senza potere, a partire da una relazione di uguaglianza: un essere umano davanti a un altro essere umano, come modo di relazionarsi fra persone uguali e non in un relazionarsi da superiore a inferiore.
E’ il dramma di molti giovani sacerdoti che sono stati formati per il potere in un ambiente di potere e scoprono all'improvviso che non esiste più questo potere. Ma non sono stati preparati per un relazionarsi da persona a persona come fratelli uguali.
Nel linguaggio del Vaticano II, i laici sono stati promossi. Da allora sono stati pubblicati molti documenti eccezionali sui laici nella Chiesa. I documenti della CNBB sono particolarmente eccellenti e mostrano la qualità dei consiglieri che assistono i vescovi. Tuttavia nella pratica non è cambiato niente. I laici non hanno più potere, più autonomia di quello che avevano prima. Tutto è rimasto nelle parole, perché niente è cambiato nell’istituzione. Durante il precedente pontificato è stato pubblicato un catechismo cattolico. Qual è stata la partecipazione del popolo di Dio nella preparazione di questo catechismo? Zero. Nemmeno si sapeva chi erano le persone che stavano elaborando questo catechismo. E’ stato pubblicato un nuovo codice di Diritto Canonico. Qual è stata la partecipazione del popolo cristiano nella redazione di questo codice? Zero. I laici non valgono niente; in pratica, non hanno lo Spirito Santo. Essi sono ignoranti e come ignoranti devono accettare tutto senza reclamare. Prima di questo c’erano state riforme liturgiche. Il popolo cristiano era stato consultato? No. Il popolo è ignorante, i laici sono ignoranti. Tutto questo come se lo Spirito di Dio stesse soltanto nella gerarchia. Quello che dicono i documenti resta pura parola. In pratica, tutto continua come al solito, come sempre: un relazionarsi di poteri e una pastorale di potere. E’ questo che deve cambiare, se vogliamo evangelizzare questo mondo nuovo nel quale ora siamo immersi.
Perché nel mondo nuovo ci stiamo già. La grande maggioranza dei battezzati ormai non conosce neanche il Padrenostro e ignora tutto della Chiesa. La vita e un corri corri, passando da un’attività all'altra, per sopravvivere. La disorganizzazione sociale è tale che le persone vivono come individui solitari, isolati, senza fiducia gli uni negli altri, senza relazione umana di stabile: a volte, nemmeno tra si. La cristianità tradizionale, con il suo stile di vita, sopravvive in alcune tradizionali famiglie di tipo “mineiro” (da Minas, uno Stato del Brasile, n.d.t.). Sempre ci sarà qualche rappresentante del passato. Tuttavia, questi non hanno più influenza nella società e costituiscono rifugi ecclesiastici. Per i 5 milioni di abitanti dei condomini di San Paolo che cosa significa la Chiesa? Per i 3 milioni di abitanti delle “favelas” che cosa significa la Chiesa? Qual è il suo potere? Quel che vale sono i missionari che sono riusciti a formare piccole comunità vive, partendo da una relazione di fratelli, relazione di uguaglianza, senza invocare nessun potere ecclesiastico.
Questa è la sfida pratica ancora non assunta collettivamente dalla Chiesa: riconoscere che non si può più evangelizzare a partire da una posizione di potere, ma solo in una relazione di esseri umani con esseri umani uguali. In teoria, nessuno contesta, ma in pratica, tutto continua come se la chiesa ancora avesse nella società i poteri che aveva fino agli anni ‘70 del secolo XX.
2. Grande rivoluzione culturale
Esiste un’abbondante ed eccellente letteratura sulla rivoluzione dell’economia e della politica dopo gli anni ‘70. C’è stato un trasferimento di poteri con ripercussioni immense nella vita di tutti i giorni della gente come pure nella vita sociale. Volevo soltanto qui riproporre all’attenzione la rivoluzione culturale o, per meglio dire, uno dei suoi aspetti.
Un elemento importante di questa rivoluzione è stato, e ancora è, la critica sistematica di tutte le istituzioni, denunciate come macchine di potere e di repressione della libertà e della personalità individuali. La prima istituzione criticata è stata la famiglia, ed è chiaro che la famiglia tradizionale si disintegra. Perfino negli Stati Uniti dove l’ortodossia capitalista aveva sempre postulato che le relazioni di competitività e di ricerca del maggiore vantaggio nella vita pubblica non avrebbero toccato la vita privata delle famiglie, i più conservatori, come Francis Fukuyama, devono riconoscere che la famiglia è in piena crisi. Chi provoca la crisi sono i giovani che si sentono oppressi dalla cultura antiquata dei loro genitori, i cui i valori essi ormai non riconoscono.
La seconda crisi ha per oggetto tutto il sistema di educazione, dall’università fino alla scuola elementare. Il sistema è stato denunciato come oppressivo, sia per la maniera di imporre ed esercitare l’autorità sui giovani, quanto per il vuoto di contenuto che vuole imporre loro, senza prepararli alla vita reale. Questa critica ha provocato, di fatto, un indebolimento del sistema scolare ed educativo nel mondo intero. In tutti i paesi si riconosce una diminuzione dei risultati del sistema scolare, sempre più improduttivo, in modo che la scuola appare come scuola di analfabetismo. Le statistiche ufficiali sono ingannevoli, perché forniscono indici elevati di alfabetizzazione, ma non riferiscono il numero degli analfabeti funzionali che sono incapaci di leggere un testo e di capirne il contenuto.
La crisi dello Stato è generale. Essa provoca una disistima crescente della democrazia e l’indifferenza politica dei giovani, in modo generale. La crisi politica è oggetto di continui commenti, fin dagli anni ‘70. In America Latina, la lotta contro le dittature militari ha messo in sordina quello che stava succedendo nei paesi dominanti dell’Occidente: la disistima crescente dello Stato. Quando si ritornò al regime democratico, molti ebbero illusioni, perché non sapevano quello che stava succedendo alla democrazia.
Tutte le altre istituzioni sono state vittime della stessa critica e sono rimaste senza prestigio: decadenza dei partiti politici, dei sindacati, delle associazioni di quartiere e di quasi tutti i tipi di associazione. Molti sono entrati nel cammino della corruzione fino al punto che la corruzione ha raggiunto perfino i club del calcio e tutto il sistema imprenditoriale. Manca la repressione della corruzione, che è diventata la nuova istituzione sociale.
La critica a tutte le istituzioni ha aperto la porta a una nuova istituzionalizzazione. Ha aperto la porta alle entità economiche e alla priorità dell’economia nella società. Oggigiorno, sempre di più, il potere appartiene alle multinazionali, che si concentrano sempre più e a acquisiscono sempre più potere. In nome della libertà del mercato, acquisiscono sempre più potere, costituendo una piccola rete di megaimprese che impongono le loro leggi. Riescono a mettere al loro proprio servizio lo Stato, il sistema di educazione (a cominciare dalle università), il lavoro scientifico, e a corrompere, comprare o mettere al proprio servizio, sempre più tutta la rete delle istituzioni private. Dirigono tutto il sistema di informazione e di comunicazione, tutto il sistema di pubblicazione e di trasmissione dei messaggi. Trasformano la cultura in commercio, cioè, in una fonte di capitale. Tutto questo è stato molto bene analizzato. Approfittano del vuoto delle istituzioni forti e si trasformano in un solo potere totale, che riesce a dominare la vita, senza che la maggioranza degli abitanti se ne rendano conto. Grazie alla manipolazione dei media riescono a fare sì che i cittadini si trasformino in consumatori, aumentando così il loro potere.
Succede qualcosa di simile a quello che era successo alla rivoluzione francese. Questa soppresse tutti i sistemi di obbligazione del commercio e della circolazione delle mercanzie ed aprì il cammino al capitalismo. La rivoluzione culturale dell’attualità ha aperto il cammino una nuova forma di capitalismo molto più potente, perché invade tutti i settori della vita e può contare con un immenso progresso tecnologico e scientifico. Come lottare contro gli abusi di questo nuovo potere? Ci vorranno cento anni.
3. La Chiesa davanti alla rivoluzione culturale
Globalmente, durante il pontificato di Giovanni Paolo II, possiamo dire che la Chiesa ha preso un atteggiamento negativo in relazione alla rivoluzione culturale. Così era successo anche dopo la rivoluzione francese. Sia ben chiaro che ci sono aspetti negativi nella nuova cultura: essa distrugge valori che avevano molta importanza in passato, che erano parte del patrimonio della cristianità.
Tuttavia, ci sono anche valori positivi, e soprattutto, valori definitivi contro i quali è vano lottare. Senza dubbio, c’è, dagli anni ‘70, un risvegliarsi della libertà personale, della volontà di conquistare più libertà, una denuncia e un rifiuto di tutte le forme di repressione. Mettiamo pure che appaiano nuove forme di dipendenza, ma la coscienza non è più la stessa.
Questa coscienza di libertà si è svegliata, soprattutto, nelle donne. Quello che più è cambiato è stata giustamente la coscienza delle donne, che vogliono essere riconosciute come esseri umani completi e autentici, con lo stesso valore degli uomini. Per la prima volta una rivoluzione diretta dalle donne per l'emancipazione delle donne. Ma, c’è pure un risvegliarsi di coscienza di libertà nei giovani. C’è voglia di vivere pienamente la vita, anche se questa voglia possa essere contaminata dal consumismo.
C’è una voglia di vivere pienamente la vita con lo sviluppo massimo di tutte le capacità. Per molti, il cristianesimo ha perso valore perché insegna una maniera penitenziale di vivere la vita. Il cristianesimo ha fama di essere una forza di repressione di tutti i movimenti vitali, un freno alla liberazione umana.
Bisogna riconoscere che, nella cristianità, il clero insegnava ai cristiani che la vita cristiana era una vita di sacrifici, che era necessario non solo accettare le mortificazioni che Dio mandava, ma anche aggiungerne delle altre, facoltative, per aumentare i meriti. C’era quello che Jean Delumeau ha chiamato “la pastorale della paura”, che consisteva nel mantenere vivo un sentimento permanente di peccato, accompagnato dalla paura della condanna finale e, per questo, dalla necessità di opere di espiazione. Le donne vestivano di nero e coprivano l’intero corpo. La rivoluzione culturale ha liberato da queste cose che non appartengono al Vangelo, ma sono state introdotte nella cristianità durante il Medio Evo.
Dopo la rivoluzione culturale, milioni di uomini e, soprattutto, di donne sono usciti dalla Chiesa, non per motivi di dottrina o di fede, ma perché non accettavano più lo stile penitenziale della spiritualità che si insegnava. Hanno smesso di aver paura dell’inferno e dei castighi di Dio. Quello che rifiutano nella Chiesa non sono i dogmi, e meno ancora il Vangelo, ma l’austerità della vita, la preoccupazione costante per il peccato e la paura che si infondeva nella coscienza del peccatore. I giovani fuggono da questo come dalla peste. Non ne vogliono proprio sapere. I movimenti integralisti, come l’Opus Dei o i Legionari di Cristo devono praticare un lavaggio cerebrale radicale perché i loro membri accettino questo ritorno al passato.
Cristo non è venuto a creare un movimento penitenziale, ma ad annunciare la gioia dell’arrivo del regno di Dio. Il centro del cristianesimo è la proclamazione della resurrezione, che è promessa di vita e di vita abbondante.
Dobbiamo cambiare l’asse fondamentale della spiritualità. Durante il periodo della cristianità occidentale l’asse è stato il venerdì santo, la maggior festa celebrata dal popolo. La spiritualità era concentrata intorno all’espiazione dei peccati. La stessa eucaristia era stata intesa per tutta questa epoca come una preghiera di suffragio per le anime del Purgatorio. Al centro della figura di Gesù stavano la passione e la croce, a quel tempo i grandi simboli della cristianità. Questo è penetrato profondamente nella mente e nel cuore del popolo cattolico e le chiese della riforma lo accentuarono ancora di più.
D’ora in avanti, l’asse della spiritualità dovrà essere la resurrezione, ossia, la vittoria della vita, nonostante la morte e il peccato. Ancora non sappiamo quale sarà l’asse della spiritualità del nuovo papa. Non sappiamo se entrerà nella mentalità della nuova cultura o se cercherà di restaurare la spiritualità medievale.
D’altra parte, in relazione alla nascita di un nuovo potere, il potere economico delle multinazionali, il sistema finanziario mondiale e la formazione di una nuova borghesia, il magistero si è mostrato abbastanza timido e riservato. Nessuno si è sentito toccato dalle sue condanne molto vaghe. C’è stata, e ancora c’è, l'impressione che la Chiesa non voglia entrare in conflitto con i nuovi poteri e preferisce un’alleanza con essi, anche se in maniera discreta per non scandalizzare i fedeli. Pensa che potrà adattarsi all’economia, anche se rigetta l’insieme della loro cultura.
4. La critica dell’istituzione ecclesiastica
La critica delle istituzioni non poteva lasciare da parte le istituzioni ecclesiastiche. La critica delle istituzioni, che si manifesta chiaramente fin dagli anni ‘70 ci obbliga a fare una distinzione che non era stata mai fatto prima di questa data e quindi è assente nei documenti del Concilio Vaticano II. Quando il Concilio parla della Chiesa, parla allo stesso tempo dell’istituzione cattolica romana e della Chiesa come mistero di Dio, come realizzazione presente del regno di Dio. Non fa distinzioni. Parla come se tutto l’apparato istituzionalizzato, il burocratizzato dell’istituzione ecclesiastica appartenesse all’essenza della Chiesa. Ora, sia la storia come le scienze umane, specialmente la sociologia, mostrano che tutto questo apparato è una costruzione storica, che è cambiata abbastanza durante i secoli e che è stato definito a partire da presunti contratti con altre istituzioni che appartenevano a culture nelle quali la cristianità era entrata. L’istituzione è cambiata e può cambiare ancora, anzi deve cambiare perché ormai non costituisce un aiuto per l’evangelizzazione, ma, molte volte, un ostacolo.
Hanno cominciato a manifestarsi movimenti critici, soprattutto a partire dagli anni ‘70. Prima di questa data, prevaleva l’idea che il Concilio Vaticano II avesse portato le risposte alle preoccupazioni del popolo di Dio. A partire dagli anni ‘70, la rivista Concilium cambiò il suo orientamento: diventò sempre più critica, essendo portavoce del pensiero di vari movimenti di molte persone nella Chiesa cattolica in contatto con la nuova cultura.
A queste critiche fatte all’istituzione la gerarchia rispose con silenzio assoluto. Essa ignora o finge di ignorare queste rivendicazioni.
Davanti alla critica all’istituzione, Giovanni Paolo II rispondeva ritornando alla grande disciplina. La sua risposta è stata restaurare tradizioni, usi, costumi, devozioni anteriori al Vaticano II e che avevano perso il prestigio o erano cadute in disuso. Il Papa volle restaurare il sacramento della penitenza mediante la confessione auricolare al sacerdote, anche se questa disciplina era stata introdotta ormai in una fase molto avanzata del Medio Evo ed era stata ignorata nella Chiesa per quasi dodici secoli. Tutto questo mantenendo un ambiente di rigore nella dottrina tradizionale, nella liturgia e in tutta l’organizzazione istituzionale, dichiarando terminata la fase sperimentale.
In questo modo, Giovanni Paolo II ha ripetuto quello che era successo nel secolo XIX dopo la rivoluzione francese. La Chiesa aveva restaurato il passato a partire dalla classe dei contadini. Molti missionari si erano dedicati a evangelizzare le campagne e i contadini, ancora erano la grande maggioranza della popolazione. Nell’ambiente rurale fu possibile ricostituire un frammento della cristianità anche se sempre in conflitto con la società dominante. L’atteggiamento dell’istituzione verso la modernità è sempre stato più di rifiuto, fino a raggiungere un punto culminante nel pontificato del Papa Pio X.
Questa nuova cristianità non poteva non essere fragile, anche se a quel tempo non si sapeva. Non si poteva prevedere l’immensa migrazione dalle campagne alla città. Tuttavia, era prevedibile che era pericoloso concentrare la chiesa in una classe sociale che cominciava a diminuire, e alcuni cattolici dettero l’allarme perché avevano visto il pericolo che c’era nel rigettare tutta la modernità. C’erano in essa valori positivi che era pericoloso attaccare. Durante tutto il secolo XIX l’atteggiamento dominante fu quello del rifiuto. Il prezzo fu la perdita di tutta la classe intellettuale e delle persone che avevano studiato, e la perdita della classe operaia. Quando finalmente con Giovanni XXIII la Chiesa accettò i principi della dichiarazione dei diritti umani, ormai era troppo tardi. L’immensa maggioranza dei cattolici già se n’erano usciti.
Fino gli anni ‘50 del secolo XX, l’America Latina visse nella dipendenza culturale dall’Europa. Assimilò a poco a poco la lotta contro la modernità nei suoi diversi aspetti, e una piccola classe operaia nacque quasi senza la presenza della Chiesa. Anche in America Latina la classe istruita si allontanò dalla Chiesa. Le donne rimasero fedeli, perché esse non potevano istruirsi. Quando fu aperta loro la porta dell’università, esse reagirono come gli uomini. Trovarono la Chiesa una istituzione rispettabile, potente tra la classe dirigente, ma senza valore per la loro vita personale e senza rilievo per il loro pensiero. Sebbene meno profonda che in Europa, la separazione tra Chiesa e classe istruita mantiene ancora forti ripercussioni nel mondo universitario intellettuale di adesso: predomina un atteggiamento di indifferenza. Pochi e poche pensano che potrebbero trovare nella Chiesa qualcosa d’importante per la loro vita. Sono cristiani fedeli al messaggio evangelico, ma senza contatto con l’istituzione.
Oggigiorno, la strategia di condannare le loro culture non ha più l’appoggio della classe dei contadini, perché i contadini sono andati in città e quelli che sono rimasti stanno in contatto permanente con la cultura urbana mediante la TV. Giovanni Paolo II proclamò che gli agenti della nuova evangelizzazione si sarebbero chiamati movimenti, cioè: Opus Dei, legionari di Cristo, Focolarini, Comunione e Liberazione e altri simili. Questi costituirebbero una truppa d’assalto, ma senza una massa al seguito. E’ una base molto stretta per fondare una nuova neo-cristianità.
Quali sono le critiche che si fanno all'istituzione? In primo luogo, c’è la critica della burocratizzazione. A tutti i livelli, il clero si è burocratizzato. L’agenda dei preti, dei vescovi, della curia romana è piena di riunioni, seminari, congressi, programmazione, relatori, documenti, assessorati, progetti. Naturalmente tutto questo rimane lì sulla carta. La burocrazia enuncia tutto quello che dovrebbe essere fatto senza dire mai chi lo farà. Perciò, tutto resta sulla carta. Questo non importa alla burocrazia. Dato che la burocrazia cerca di rispondere e accontentare il capo, molto più che non i “clienti”. Quello che importa con tutta questa attività fatta di parole è che si dicano cose che accontentano il capo. E’ necessario nascondere i problemi, dimostrare ottimismo, mostrare che si stanno risolvendo i problemi. Qual è la finalità di qualsiasi burocrazia? Sopravvivere, crescere, garantire il proprio futuro e aumentare il proprio potere. Una burocrazia ha una sua finalità in se stessa. Quello che succede là fuori, nel mondo, in mezzo agli uomini, alle donne, non importa molto. Basta evitare che le critiche arrivino fino all’orecchio del capo. Cresce nella Chiesa l’impressione che tutto quello che il clero fa, dalla curia romana fino alla parrocchia, è totalmente irrilevante e artificiale e rimane lontano dalla realtà degli uomini e delle donne. La burocrazia si costituisce come corpo autonomo indipendente. La burocrazia ecclesiastica è diventata fine a se stessa.Un pubblicista francese del secolo XX, Charles Murras, fondatore del movimento di destra “Action Française”, era agnostico. Ma un giorno dichiarò che si congratulava con la Chiesa romana, che era stata capace di purificare il cristianesimo dal pericoloso fermento del Vangelo. In pratica, ci sono casi in cui di fatto il lavoro della burocrazia ecclesiastica serve per evitare che il fermento pericoloso del Vangelo possa penetrare.
In secondo luogo, nonostante la concessione fatta nel nuovo Codice di Diritto Canonico, la Chiesa mantiene nelle città la struttura obsoleta della parrocchia. Il clero viene preparato per agire in un quadro parrocchiale. Gli stessi religiosi sono integrati in parrocchie. Ora, strutturalmente, la parrocchia è fatta per conservare, aiutare, promuovere quelli che partecipano al culto, le persone che appartengono a una piccola minoranza di quelli che stanno nel tempio. La parrocchia vive in funzione del tempio, anche se si dice il contrario. Invece che preparare i cristiani per evangelizzare la società essa si chiude sulla minoranza fedele alle istituzioni del passato.La parrocchia non considera né fabbriche, né supermercati, né scuole, né collegi, né università, né ospedali, né istituzioni sportive, culturali o di svago, né mezzi di comunicazione della città. Essa sta organizzata intorno ai sacramenti e alle feste liturgiche. Nemmeno riesce a organizzare la catechesi degli adulti e meno ancora la loro formazione missionaria. Essa concentra le energie dei fedeli nel tempio stesso, in se stessa. La Chiesa sta chiaramente a servizio di se stessa, non si può negare le eccellenti intenzioni di molti parroci, tutta l’immaginazione per fare una parrocchia missionaria. Il problema è strutturale ed già era stato denunciato da San Tommaso di Aquino. Dopo otto secoli ancora non si è visto la soluzione. La conseguenza è un popolo passivo, incapace di dare testimonianza nella società, chiuso in stesso, in una spiritualità di pura interiorità.
Intanto, in America Latina, c’è stata l’esperienza di base che poteva aver dato una risposta. E stata l’esperienza delle Comunità Ecclesiali di Base (CEBs). L’esperienza sta continuando, ma non è stata adottata ufficialmente dalla Chiesa. Non è stata loro dato uno statuto ufficiale, e le CEBs rimangono come qualcosa di estraneo e fragile, perché qualsiasi parroco o qualsiasi vescovo può disfare il lavoro fecondo di decine di anni.
Le CEBs che ancora sussistono rimangono subordinate alle parrocchie, alla dipendenza dei parroci. Succede loro quello che è successo all'Azione Cattolica in molti paesi: la subordinazione alla parrocchia è una sterilizzazione di fatto. I movimenti di Azione Cattolica, o non si sono sottomessi all’ordine parrocchiale e furono condannati come nel caso della JUC, o si sono integrati e sono stati assorbiti, o rimasero come gruppi piccoli, semiclandestini. Le comunità devono adottare il programma parrocchiale e finiscono per dedicarsi innanzitutto al culto e alle feste religiose, anche conservando il discorso delle origini. Il modello iniziale di comunità inserite nel mondo popolare e impegnate con il mondo popolare è stato sfigurato. Il nuovo clero non lo adotta. Invece l’autonomia delle piccole comunità integrate in una pastorale della città e non della parrocchia è l’unico cammino. Non serve determinare che d’ora in poi la parrocchia sarà missionaria. Strutturalmente, essa non può essere missionaria, perché non è organizzata in funzione della città, ma in funzione della sua propria crescita.
In terzo luogo, la critica che si fa alla Chiesa come istituzione è che essa mantiene un sistema di potere obsoleto e inefficace. E’ il famoso problema del clero. Il clero monopolizza tutti i poteri e sta al comando in maniera assoluta, unicamente perché inviato dal vescovo senza che i laici possano avere un piccolo spazio di azione. Ogni cinque anni essi sono obbligati a sottomettersi agli umori del nuovo parroco. La ragione è amministrativa. Il vescovo fa le nomine in funzione dei problemi del clero e non in funzione della capacità evangelizzatrice del medesimo. Il prete lotta per conquistare una autorità che un pò alla volta sta esaurendosi.Il prete non è stato preparato per stare in mezzo al mondo dando testimonianza del Vangelo. E’ stato preparato per amministrare una parrocchia secondo le tradizioni religiose. Alcuni riescono ad andare al di là della formazione ricevuta, ma la maggioranza rimane con quello che hanno imparato in seminario.
Io ho scritto molto in passato sul problema del clero. Non voglio ripetere quello già detto molte volte. Eppure non credo che il nuovo papa abbia la sia pur minima disposizione a cambiare qualche cosa riguardo al clero e alla struttura di potere della Chiesa.
Ci sono molti laici e laiche, che lavorano effettivamente come missionarie e missionarie, generalmente senza mandato, senza riconoscimento ufficiale, senza potere e gratuitamente. Sono eroi che hanno tempo e energia e si dedicano alla missione con molta generosità e gratuità. Ci potrebbero essere molti più uomini e molte più donne se si facesse un appello, offrendo loro riconoscimento, fiducia, autonomia, perché molti semplicemente non vogliono essere “ausiliari” del prete. Quante migliaia di pastori evangelici sono sorti in Brasile ultimamente che si dedicano alla predicazione, alla missione, con entusiasmo, sacrificio e dedicazione! Sono più di 100.000. Molti avrebbero potuto essere missionari e missionarie nella Chiesa cattolica, se soltanto fosse stata loro offerta questa missione, riponendo fiducia in loro.
In futuro, i ministri saranno riconosciuti e identificati dalle comunità, grazie alle loro qualità di profeti e ai loro doni spirituali. In ogni città ci sarà un nucleo permanente di persone con profonda conoscenza dei diversi aspetti della vita della città, e potranno consigliare e organizzare attività pubbliche comuni, riunendo la grande comunità.
Una quarta critica ha per oggetto la strategia, che consiste nell’educare i cristiani quando sono bambini. La catechesi si dirige ai bambini. Dal secolo XIX la pastorale della Chiesa si è concentrata sui bambini. Per questo si dà la priorità assoluta alle scuole cattoliche e alla catechesi infantile. In questo modo gli adulti cristiani sembrano infantilizzati. Del cristianesimo essi sanno quello che gli è stato insegnato quando erano bambini. Mai hanno imparato che cosa significhi essere cristiano come lavoratore, cittadino, padre o madre di famiglia, dentro alle circostanze e agli ostacoli reali della vita.Il risultato è che i bambini educati nella catechesi cattolica passano agli evangelici quando diventano adulti perché il messaggio degli evangelici è per gli adulti non per i bambini. La pastorale concentrata sui bambini non è efficiente nella nuova società. Ormai è finita, fallendo nel secolo XX.
(continua)