Negazione del diritto alla casa,
uno scandalo morale italiano
di Giannino Piana *
La casa costituisce un bene fondamentale per il singolo e per la famiglia: un bene che offre stabilità e sicurezza e garantisce le condizioni perché possano svilupparsi rapporti umani autentici e sereni. Purtroppo esistono tuttora, anche nel nostro Paese, condizioni di oggettiva difficoltà di accesso a questo bene per un numero consistente di persone. Se è vero infatti che in Italia il numero di famiglie con casa propria è decisamente alto - 18,6 milioni di famiglie sono, secondo le più recenti rilevazioni dell’lstat, in questa condizione (e a esse si aggiunge un’altra quota che ne gode in usufrutto) - non mancano, tuttavia, e sono circa 4,2 milioni quelle che, invece, non godono di tale privilegio; tra queste circa un terzo degli affittuari è composto da famiglie giovani. Non meno consistente è, d’altronde, il numero di giovani famiglie che, volendo farsi la propria casa, sono impegnate a pagare ingenti mutui con pesanti oneri sui redditi: stando (sempre) ai dati dell’lstat si tratterebbe del 37,7% dei 2,2 milioni di famiglie che hanno contratto mutui per la casa e che versano mensilmente una cifra che si aggira attorno ai 620 euro.
E’ dunque possibile affermare che sta emergendo una nuova categoria di poveri costituita da un numero sempre più esteso di famiglie a basso reddito, che vivono in affitto, e ciò soprattutto nelle grandi città. Il costo dei prezzi delle case (in affitto e in vendita), che cresce secondo una dinamica esponenziale, causa anzitutto la tendenza all’indebitamento e provoca la drastica riduzione di altri consumi, a partire da quelli legati a beni immateriali come la cultura, i viaggi, ecc. Ma tale costo è anche una delle principali ragioni della difficoltà di intraprendere scelte di vita, come quella matrimoniale, e soprattutto dell’impossibilità a mettere al mondo figli: la depressione demografica, di cui il nostro Paese da tempo soffre - il lieve incremento di questi ultimi anni è, in larga misura, da addebitare alla presenza sempre più massiccia di extracomunitari sul nostro territorio - è dovuta anche a questo motivo.
Il diritto alla casa è un diritto fondamentale di ogni cittadino che, come tale, deve essere tutelato dall’intervento delle istituzioni pubbliche. L’impegno a mettere ciascuno nella condizione di fruire di un bene così importante va posta al centro delle politiche sociali, che devono preoccuparsi di creare consistenti agevolazioni per l’acquisto della prima casa e di predisporre interventi sul mercato volti a calmierare i prezzi degli affitti e a controllarne le modalità di contrattazione, L’assenza di “regole” determina infatti lo sviluppo di una concorrenzialità senza freni, che ha come esito il forte rialzo dei prezzi, perciò l’impossibilità per molti di accedere alla casa o, qualora l’accesso avvenga, la costrizione a subire pesanti limitazioni.
Ma l’impegno strutturale non basta Anche su questo terreno si fanno infatti sentire le gravi sperequazioni che tuttora esistono nel nostro Paese. A fronte delle difficoltà rilevate, che inaugurano - come si è detto - una nuova frontiera del disagio, costituita da un numero sempre più consistente di giovani famiglie (in particolare quelle che hanno un capofamiglia al di sotto dei 35 anni), si assiste anche da noi all’innalzarsi costante del numero di famiglie che posseggono doppie (triple, e così via) case, spesso inutilizzate (o quanto meno sottoutilizzate). E’ questo il sintomo di uno stato diffuso di ingiustizia sociale, che reclama una profonda conversione delle coscienze. Il fatto che un bene essenziale come la casa non sia ancora appannaggio di tutti testimonia la mancata attuazione di quella uguaglianza, che pure è uno degli obiettivi-cardine della nostra Costituzione.
La politica è pertanto chiamata in causa come primo attore; ad essa spetta non solo intervenire per sanare il divario sociale o, come recita la Carta costituzionale, per «rimuovere gli ostacoli» che impediscono a molti cittadini di esercitare di fatto il diritto di cittadinanza, ma anche per alimentare la consapevolezza della comune appartenenza e della necessità di concorrere insieme a perseguire responsabilmente il bene comune. Ciò è tuttavia reso possibile solo dalla presenza di una classe dirigente che anziché invitare i cittadini, come si è verificato in occasione dell’ultima campagna elettorale, a votare «secondo i propri interessi» (e non secondo quelli della Nazione), si impegni a creare condizioni di sempre maggiore perequazione sociale, eliminando situazioni scandalose, che mantengono in posizione di minorità o di esclusione sociale un numero ancora consistente di cittadini.
* docente di teologia morale
(da Jesus, dicembre 2006)