Ciò che ora è impossibile,
può diventare possibile,
solo se annunciato in un tempo,
in cui è ancora ritenuto impossibile.
(L. Kolakowski)
Un concetto con il quale si possono delineare questi nostri ultimi decenni è certamente quello di crisi. Questo concetto ormai è stato applicato ad ogni branca del sapere e ad ogni campo dell'agire umano. Si parla costantemente di crisi delle ideologie, crisi delle istituzioni, crisi della politica, crisi del sindacato, crisi della famiglia, crisi dei valori. Ma anche di crisi della ragione.
L'accusa radicale svolta nei confronti del pensiero moderno considerato fallimentare per quello che ha prodotto porta una consistente schiera a sviluppare un pensiero centrato sulle categorie dell’irrazionalità, del mito, della fantasia. I bagliori di questo spirito sono oggi riconoscibili sotto la denominazione di postmodernismo, termine che rivela almeno le perplessità se non la disperazione che questa problematicità produce.
I maestri del sospetto (Marx, Freud, Nietzsche, Einstein) hanno scardinato le certezze della conoscenza umana. Si perde sempre di più l'illusione di poter comprendere il mondo nella sua totalità: tanto più ampi diventano gli ambiti del sapere, tanto più profonde si rivelano le sue lacune e la sua relatività.
I progressi del pensiero, ma anche quelli delle possibilità d'azione non sono rassicuranti, anzi provocano una limitazione delle possibilità d'agire del singolo (un esempio: abbiamo oggi innumerevoli mezzi per comunicare vicino e lontano e in tempo reale, ma mai come oggi siamo incapaci di comunicare).
Una spia di questa situazione di crisi è rappresentata dalla scomparsa della certezza di futuro. Un futuro che non va più preparato, ma che suscita paura e va temuto. Strettamente dipendente da questa mancanza di futuro della nostra epoca è l'affermarsi del concetto di sicurezza a scapito di altri come libertà, giustizia, uguaglianza.
Educare in un tempo di crisi.
Questa breve premessa ci permette di introdurci nel tema che vogliamo affrontare: l'educazione. Il concetto di crisi investe pienamente ogni ambito educativo.
Quotidianamente ciascun genitore sufficientemente attento all’educazione dei propri figli sperimenta quanto sia difficile essere all'altezza della situazione. Le difficoltà sorgono sulle singole questioni pratiche: quali valori trasmettere/suscitare nei figli, di fronte ai modelli dominanti di una società consumistica e profondamente disegualitaria? Quale uso del denaro? Quale tipo d’educazione scolastica, consapevoli dei sempre maggiori limiti della scuola?...
Ciascuna persona che ha un ruolo educativo (animatore, educatore, prete, insegnante) avverte la crescente difficoltà a fare qualsiasi tipo di proposta.
La fiducia accordata alle scienze umane e l'ingenerarsi di quelle prospettive che variamente vanno sotto il nome di pensiero negativo e di cultura radicale e/o postmoderna hanno contribuito a dichiarare ogni discorso educativo insignificante, inutile (cultura radicale) oppure solamente valida l'utilizzazione di quei mezzi ritenuti scientificamente più adatti, senza porsi ulteriori fini (cibernetica, dinamica di gruppo). Dall’iniziale contestazione per una descolarizzazione della società (I. Illich), si è passati all’affermazione del non senso della formazione. Non ha senso formare, perché non ha senso dare una "forma" ad una persona. Al massimo, si può pensare ad una certa autoeducazione (A.S. Neill).
Un ulteriore difficoltà è posta dalla novità di un fenomeno come il pluralismo che la società odierna viene sempre più presentando, accanto ad un sempre più accentuato conformismo prodotto e/o diffuso dai mezzi di comunicazione di massa. Sono aumentati il numero dei cosiddetti sistemi di significato, cioè quell'insieme più o meno organico d'ideali propri ad un gruppo storico e agli individui che vi fanno parte. E ciò crea grossi problemi in campo educativo: se i sistemi di significato a cui fanno riferimento i genitori, gli insegnanti della scuola, il gruppo informale dei coetanei, il gruppo parrocchiale, i compagni di lavoro, non sono tra loro omogenei, il più delle volte non ci troviamo di fronte ad una complementarietà, ma ad una complessità difficilmente riconducibile in una sintesi educativa. Tutto questo coesistente però con un massiccio conformismo, per cui gli unici elementi presentati dalla società come 'alternativi' e di 'dissenso' o perfino di ‘trasgressione’ non sono altro che i luoghi comuni delle mode e dei consumi.
Da un punto di vista soggettivo, il nostro contesto si caratterizza anche per un atteggiamento di disincantamento e di mancanza di orizzonti alternativi. Il soggettivismo etico e a volte l'ostentata affermazione che questo sia il tempo maturo per vivere senza norme rischiano di far piombare la vita (sia individuale che sociale) in un disordine esistenziale dai tragici contorni e di togliere all’agire del singolo ogni quadro di riferimento valoriale con un minimo di fondamento.
Il primo dato che emerge, dunque, nel discorso educativo oggi, è quello della difficoltà. Educare è difficile. Spesso è accompagnato, negli educatori, da disagio, se non da profonda frustrazione e stanchezza. In un orizzonte di vita e di valori così problematico, come quello su accennato, può affiorare la tentazione di radicarsi nella crisi aspettando tempi migliori.
Alcuni pedagogisti, però, a partire dai dati offerti dalle scienze umane circa i meccanismi di sviluppo dell'essere umano, sono giunti ad affermare che ciò che caratterizza l'uomo è il suo generale bisogno dì educazione e che si può legittimare la necessità universale degli interventi educativi. L'uomo sarebbe essenzialmente un animal educandum (un essere che si trova nella necessità di venire educato). Senza educazione, il piccolo dell’uomo non potrebbe mai diventare uomo (M. Langeveld). La necessità di educare, non sarebbe soltanto una questione umana o etica, ma assoluta.
Se la complessità della società contemporanea pone difficoltà e limiti al campo dell'educazione (almeno come era tradizionalmente intesa), emerge sempre più coscientemente che educare è possibile, anzi necessario. Le difficoltà e le problematiche educative, allora, vanno ricondotte all’interno di questa affermazione di possibilità e vanno sviluppati, proprio a partire da questa complessità, nuovi itinerari educativi che, senza la tentazione di facili scorciatoie, fondino la loro prassi su dei valori e su un orizzonte di senso.
Se educare è possibile, anzi necessario, ne consegue che nessuno può sottrarsi a questo compito. Ogni persona che nella società viene a trovarsi in situazione educativa, non può negarsi nel suo ruolo o lasciarlo a possibili altri educatori. Ad esempio, un genitore deve esplicare la sua funzione educativa nei confronti dei propri figli in quanto genitore e non delegare ad altre agenzie l'espletamento del proprio ruolo.
Quest’ultimo aspetto si collega con ciò che la pedagogia attuale considera come centrale in ogni discorso educativo: il rapporto che intercorre tra educatore ed educando. Se nel passato si è quasi sempre insistito sulla figura dell'educatore (Il Maestro di S. Agostino e di S. Tommaso) e nell'epoca più recente sulla figura dell'educando (da J. J. Rousseau in avanti), oggi si è preso coscienza che l'educazione è un'azione che coinvolge globalmente, anche se su piani diversi, educatore ed educando. Categorica a riguardo è l'affermazione di P. Freire: “Nessuno educa gli altri, nessuno educa se stesso, ma tutti si educano reciprocamente" (1).
La reciprocità educativa implica una grande attenzione alle relazioni interpersonali, non fini a se stesse, ma in quanto, in campo educativo, mezzi attraverso cui è possibile suscitare una visione valoriale del mondo e della vita.
Questa attenzione alla reciprocità e al rapporto implica, da parte dell'educatore, la creazione di una atmosfera d'amore (ciò non vuol dire che il rapporto educativo deve negare il conflitto, anzi, in certi casi, proprio nel pieno svolgimento del suo ruolo, l'educatore dovrà essere capace dì suscitarlo e di affrontarlo). Fondamentale diventa il riconoscimento dell'alterità dell'educando, che va amato o, per dirla con Don Milani, sta a cuore (I care). Un rapporto affettivo, va dunque posto alla radice, proprio perché l'atto vuole essere educativo e non produttivo.
Ma educare avendo a cuore le persone, è necessariamente un atto di fiducia. Un attogratuito che ha il sapore della sfida, ma che si pone sotto il segno della speranza. L'educazione è un'azione che si snoda sui tempi lunghi e che non è possibile senza un atteggiamento aperto e fiducioso sulle persone da educare e sul mondo (nonostante segnali negativi che possiamo percepire e dal mondo e dalle stesse persone).
Quali sono dunque i contenuti sui quali deve insistere l’educazione oggi? Quali i sentieri sui quali è possibile, anzi necessario incamminarsi per disegnare la mappa dei territori di una pratica educativa?
Cercherò di delinearne alcuni, senza la pretesa con questo di esaurire tutte le possibili piste di ricerca e senza giustificare a fondo il perché di questi ambiti, per non appesantirne il discorso.
Educare alla comunicazione. Abbiamo visto la centralità che oggi ha il rapporto educatore-educando in ogni investimento pedagogico. La fragilità dell'uomo contemporaneo, frastornato dal la quantità di informazioni, ma sommerso dall'incapacità di pronunciare parole significative verso i suoi simili, deve essere assunta come prioritaria dall'impegno della pratica educativa. L'insegnare a comunicare si accompagna con l'urgenza ad imparare a dialogare. Gli ambiti del dialogo investono anche la comunicazione non verbale e il silenzio (come dialogo con se stessi e apertura al Trascendente).
Educare ai valori. Anche se la problematica circa i valori in campo pedagogico (come del resto anche in quello etico) rimane molto controversa, una seria pratica educativa non può prescinderne. "Nella questione dell'educabilità molto dipende sia dal modo d'intendere l'educazione sia dal modo d'intendere l'uomo e le possibilità dell'azione umana" (2). La persona umana resta il primo e più importante valore nell'educazione. Ciò comporta un'accoglienza da parte dell'educatore delle persone per quello che sono e che possono essere. Uno sforzo continuo che abbia come obiettivo il "restituire la parola" a quanti ne sono espropriati e richiusi nei territori del mutismo. La capacità e il coraggio a "dare un nome ai valori", cioè nel saper riconoscere e far diventare proposte di vita quei valori che possono essere punti di riferimento all'agire dell'uomo, illuminandolo in una visione organica e coerente. Tutto ciò passa attraverso un insegnamento vitale, rappresentato dalla testimonianza personale e collettiva; una testimonianza che sappia fare "riferimento al patrimonio della cultura comunitaria, al fine di abilitare alla memoria storica e sociale, agevolare il radicamento e l'inserimento del vissuto personale nella vicenda comune, rendere comprensibile il senso delle grandi istituzioni" (3).
Educare alla criticità. Per poter meglio comprendere la realtà, affermano gli esponenti della Scuola di Francoforte, deve essere costantemente esercitata la critica. Poiché l'educazione costituisce sempre un fenomeno collettivo, vanno analizzate le contraddizioni sociali, a partire da quelle situazioni personali e collettive contraddistinte dagli svantaggi economici e culturali. La realtà non può essere intesa come un dato oggettivo, ma è sempre sottoposta a continue pressioni storiche e sociali che vanno considerate ed esaminate. Tecnologia e scienza solo apparentemente sono neutrali, ma ideologicamente strumentabilizzabili da parte di chi le usa. Educare, in un mondo pluralistico, complesso e rigonfio di informazioni, vuol dire insegnare ad esercitare una costante capacità critica. Le informazioni e i dati non vanno supinamente accettati, ma costantemente posti al vaglio.
Ma la criticità non si deve esaurire soltanto nel suo momento negativo. La critica delle strutture della società non deve essere fine a se stessa o puro esercizio mentale, ma deve mirare al cambiamento dei rapporti criticati. L'educatore, in questa sua azione, deve essere mosso dal alcuni interessi guida che possono essere esemplificati tra quelli dell'emancipazione (Scuola di Francoforte) o della liberazione (Pedagogia degli oppressi di P. Freire), della microrealizzazione (“Piccolo è bello” di E. F. Schumacher) e della convivialità (I. Illich), del dono (S. Latouche) e dell’etica dell’alterità (E. Levinàs).
Educare alla solidarietà. Tra i valori di una pratica educativa che non vuole richiudersi sull'individuo e impantanarsi nelle paludi dei soli mezzi pedagogici (dinamica di gruppo) è quello che si pone con maggior forza. La crescente complessificazione politica, culturale, economica e sociale può provocare reazioni corporativistiche, nazionalistiche e razziste in gruppi che si sentono minacciati nella loro esistenza o nei loro interessi. In questi ultimi anni avvertiamo come sempre più evidenti questi fenomeni che non sono più soltanto delle spie d'allarme. Un'azione educativa attenta ai valori della persona e critica nei confronti della realtà deve costantemente educare alla solidarietà, proprio perché, come aveva con forza sottolineato Don Milani, si tratta di imparare che "il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è l'avarizia" (4). Una solidarietà che nasce sì dai problemi individuali, e in questo attenta alle esigenza della persona, ma che sa allargare i propri orizzonti fino alla comprensione dei problemi internazionali. Per continuare con la metafora dei territori da esplorare, possiamo dire che la solidarietà è quel sentiero che s'inerpica lungo i fianchi della montagna e che offre la possibilità, mentre si va salendo, di avere una visione sempre più ampia.
Educare al rispetto. Se la persona è il valore centrale nell'educazione, non si può dimenticare che essa va rispettata nelle sue peculiarità esistenziali. Il rispetto dell'educatore nei confronti dell'educando deve aprire quest'ultimo a porre tra i fondamenti del proprio vivere la capacità a riconoscere la dignità di se stesso, degli altri e del mondo. Questo senso di rispetto implica i grandi valori della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato. Significa insegnare ad assegnare a ciascun elemento il giusto valore in un disegno di ampio respiro che investe i rapporti tra le persone, con la natura e con le cose.
Il campo dell'educazione resta aperto ad altri percorsi. Si tratta di fare in modo che le analisi della realtà continuino a trasformarsi in domande e che le domande non ci facciamo perdere il gusto della ricerca dei sentieri percorribili.
Faustino Ferrari
Note
(1) P. Freire, La pedagogia degli oppressi, Milano. 1971, pp. 93-98.
(2) C. Nanni, L'educazione tra crisi e ricerca di senso, Roma, 1986, p. 64.
(3) C. Nanni, op. cit., pag. 221.
(4) Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Firenze, 1967, p. 14.