Gesù nelle grandi confessioni
e nelle ideologie
di Bruno Secondin
ISLAM
Gesù rimane sempre «sorpassato» da Maometto, l’ultimo e il più grande dei profeti. Ancora oggi non è assolutamente ammissibile per l’islam non solo l’incarnazione nel tempo del Dio unico e invisibile; ma anche la morte in croce del Figlio di Dio. Un profeta non può essere lasciato da Dio nell’umiliazione.
È importante notare che ciò che l’islam pensa e crede di Gesù è radicato in certi capitoli del Corano, in particolare quelli che trattano di Gesù e della sua madre Maria. Essi rimangono ancora oggi fattore determinante e centrale del giudizio islamico su Gesù Da qui deriva una notevole stima sia del cristianesimo - considerato religione rivelata da Dio - che di Cristo, considerato mandato da Dio, taumaturgo, originato da nascita verginale, portato in cielo col corpo (ma senza soffrire la morte).
Maria è l’unica donna citata per nome nel Corano - da lei prende nome perfino un capitolo del testo - e che insieme a Cristo ha goduto di particolare simpatia e venerazione nei secoli tra i musulmani1. Ma sempre alla luce e nell’orizzonte generale di quello che il Corano dice di loro.
Nel Corano sono anche descritte qualità distintive dei «seguaci di Cristo»: mitezza e misericordia, assenza di superbia, attenzione ininterrotta alla preghiera, liberalità nelle elemosine e attesa dell’ultimo giorno. In questo senso di vita cristiana come «ascesa» mediante la povertà, la mitezza e l’umiltà si è anche sviluppata e tramandata l’immagine di Gesù nell’islam.
Inoltre oggi si tende a studiare ancor di più la «cristologia» del Corano perché la sua «teologia» riflette la posizione del giudeo-cristianesimo: cioè la cristologia siriaca e semitica dei primi secoli (che privilegia la categoria del servo, come appunto fa il Corano), che poi abbiamo perduto, con la «ellenizzazione».
Un fatto nuovo rispetto alla storia è l’attuale interesse nell’islam per il così detto Vangelo di Barnaba: un testo italiano e spagnolo, databile al secolo XVII (edito però in questo secolo), ma che pretende essere una traduzione di un testo scritto al tempo di Gesù, dal suo discepolo Barnaba. Ciò che ci interessa è come Gesù è presentato: è un Gesù musulmano, ma in stile simile a quello dei Vangeli canonici cristiani. Non contiene nulla che sconcerti un musulmano: né la divinità di Gesù, né la crocifissione, né affermazioni che non siano nell’ortodossia del Corano. C’è di più: l’annuncio chiaro ed esplicito della venuta d’un profeta dopo Gesù, con la rivelazione perfetta2.
Ma se nel Corano Gesù viene chiamato «Parola» di Dio e annunciatore del «Vangelo», come possono i musulmani disinteressarsi di questo Messia e del suo Vangelo?
Fra i teologi musulmani, citiamo Mahmoud M. Ayoubl
«Noi vediamo perciò che - come il Cristo della fede e della speranza cristiana - il Gesù del Corano e della successiva pietà musulmana è molto più di un semplice essere umano e di un semplice banditore di un libro. Mentre il Gesù dell’islam non è il Cristo della cristianità, il Cristo del Vangelo parla spesso attraverso il semplice, umano Gesù della pietà musulmana»3.
Purtroppo le attuali situazioni di conflitto e di tensione fra nazioni cristiane/occidentali e nazioni/culture islamiche hanno fatto crescere tra i musulmani un fondamentalismo esasperato, che non c’era nella storia passata, in questa forma almeno.
Note
(1) Un recente interessante contributo in Maria nell’ebraismo e nell’islam oggi, Marianum-EDB, Roma-Bologna 1987.
(2) Il testo: L. CIRILLO-M. FREMAUX, Évangile de Barnabé Recherches sur la composition etl’origine. Texte et traduction, Paris 1977. Una valutazione cristiana:.J. SLOMP, The Gospel in Dispute. A crirical Evaluation of the first french Translation, with the italian Text and Introduclion of the so-called Gospel of Barnabas, in «Islamocristiana», 4(1978), pp. 67-111.(3) E’un noto teologo musulmano, che ora vive in America. La frase è ripresa da un suo saggio in «The Muslim World» 66(1976), p. 187.
BUDDISMO
Gesù appare una grande «personalità», supremo maestro della via alla saggezza sconosciuta, che ha tante somiglianze con Budda4. E un’ammirazione che però non intende accettare gli aspetti «divini» di Gesù. Si tace di fronte alla «divinità per natura».
Non mancano delle proposte di «rivedere le formule cristologiche» per i cristiani che vivono in un contesto culturale buddista. Per es. il gesuita singalese A. Pieris5 insiste soprattutto sulla lotta per essere povero e la lotta a favore del povero.
Noi citiamo alcuni passaggi dal grosso saggio di H. Küng sulle religioni6.
Il primo testo è la ripresa di una considerazione, molto audace per vero, ma suggestiva, di un teologo americano.
«Quello che ha da dire il teologo americano John Cobb ... dovrebbe far riflettere: “Il buddismo shin non ha ancora affrontato la crisi del rapporto tra storia e fede. Se esso si confronta con questa crisi, i suoi problemi si presentano, sotto parecchi aspetti, più pressanti di quelli di fronte ai quali si è trovato il cristianesimo; la sua base è infatti ancora più lontana dal corso reale della storia. Esso può certamente trovare molti appoggi nel Budda e nella storia del buddismo, ma là dove la sua dottrina è più caratteristica esso trova un appoggio minimo in questa tradizione, che precede lo stesso Shinran».
Poi Cobb compie: un grande passo, che certamente solo pochi buddisti sono disposti a imitare:
«Tuttavia, niente nell’autocomprensione buddista presuppone la necessaria ammissione che la storia cercata possa venir trovata soltanto in India o nell’Asia orientale. Al contrario, il buddismo tende all’universalità. Pure esso richiede una visione inclusiva di tutte le cose,e oggi una tale visione deve abbracciare la storia universale. Ma la storia universale comprende anche la storia di Israele e l’evento Gesù. Quella storia che comprende la visione cristiana della benevolenza di Dio, sostiene anche la concezione, propria del buddismo shin, della sapienza e della compassione, che caratterizzano la realtà ultima... Appena questo atteggiamento [di sospetto e di difesa] venga superato realmente, non esiste più un motivo di principio perché i buddisti non possano accogliere anche il passato palestinese, come hanno accolto quello indiano. E’ più in Palestina che in India che la storia, quando venga letta come incentrata in Gesù, offre la base più solida per la fede, e che noi veniamo redenti dalla grazia ia virtù della fede».
Ed ancora:
«Quando impara a conoscere la figura del Budda, che fu un uomo che pensava in maniera elitaria, il cristiano avvertirà la grande sfida a mettere radicalmente in questione e a ristrutturare la propria vita orientata forse troppo sul successo e sull’attivismo. Viceversa, quando il buddista accetta di confrontarsi con Gesù di Nazaret, con il Cristo, che aveva compassione del popolo e accoglieva i falliti, percepirà un invito a superare “per il bene di tutti gli uomini” la divisione in due classi dei credenti, a dare al laico, ritenuto inferiore, non soltanto una funzione di secondo grado, ma anche un accesso diretto alla liberazione, un diritto e una dignità propri, a venire in aiuto dei deboli, degli sfortunati e degli sfruttati, per trasformare proprio in questo modo il mondo qui e ora, nella compassione e nell’amore, per il bene di tutti».
Note
(4) Cf. lo studio di P. NGUYEN VAN T0T, Le Bouddha etle Christ, Urbaniana Press, Roma 1987.(5) A. PIERIS, Buddismo: sfida ai cristiani, in «Concilium», 22(1986), pp. 97s. Per un’analisi più ampia:: rimandiamo ad un importante numero di «Concilium», 14(1978) 6: Buddismo e cristianesimo.
6) H. KÜNG, Cristianesimo e religioni universali, Mondadori, Milano 1986, pp. 513s e 424. Nella prima citazione egli si riferisce allopera di. COBB, Beyond Dialogue. Toward a Mutual Transformation of Chrislianity and Buddhism, 1982, pp. 139-140.INDUISMO
Qui il rapporto è invece molto più complesso e anche la letteratura è abbondante. C’è un fatto molto interessante: l’affermazione frequente di molti convertiti dall’ induismo al cristianesimo, e anche di molti cristiani profondamente «induizzati», i quali dicono che il Vangelo non sarà mai compreso appieno sinché esso non riceverà anche l’interpretazione «induista». Questo lo si dice specialmente al riguardo del Vangelo di Giovanni: «I cristiani non riusciranno a capire il Vangelo di san Giovanni se non quando l’India sarà cristiana». In generale possiamo dire che:
— Gesù Cristo si innesta bene nella religione bhakti, un ramo non secondario dell’induismo, praticamente tutta la religione del popolo indù. Il motivo di fondo è che la religione bhakti si basa su un dialogo d’amore tra il fedele e il suo Dio (o Krisna o Visnu o Siva), in maniera non dissimile da quello che può avvenire per il cristianesimo per un cristiano «medio».
— Gesù Cristo - trasportato nella visione indù - avrebbe così una funzione simile a quella di Krisna e sarebbe visto come un’avatara di Visnu. La Bhagavad-gita e alcuni Purâna sono essenzialmente i testi della bhakti a cui si ispira una simile visione.
I primi tentativi consapevoli di collaborazione tra cristianesimo e induismo risalgono all’opera missionaria di Roberto de Nobili (1577-1656), esempio di un’autentica inculturazione: si fece brahmino, imparò le lingue sanscrito e tamil, accettò le caste e l’intoccabilità. Altro pioniere è stato Bartolomeo Ziegenbalg (1683-1719), tedesco luterano.
Ma soprattutto importante va ritenuto il ruolo del rinascimento indù del XIX secolo. Esso raggiunse l’apice nel «Brahmo Samaj» fondato da Raja Ram Mohan Roy (1830). Si volle rinnovare l’induismo nel senso di un monoteismo ispirato ai Vedanta e al discorso della montagna, con chiari obiettivi umanistici.
Altre figure che emergono: Keshab Chander Sen (Cristo è un «orientale», logos della nuova creazione); Ramakrishna (1836-1886) (e il suo discepolo continuatore del movimento: Vivekananda), estatico grandissimo, ebbe anche una visione di Cristo. Considerò Gesù come un orientale, dei più grandi maestri di tutti i tempi, a ragione chiamato Dio. Gli europei lo avrebbero interpretato male e abusivamente trasformato in un testimone di una storia missionaria imperialista; è invece maestro dell’interiorità e dei senza patria.
Altri nomi da ricordare: Mahatma Gandhi: per lui Cristo non è un monopolio del cristianesimo, ma un modello per tutti gli uomini, specie in alcuni principi: come la forza della verità, la non violenza, il servizio al prossimo. Vinobba (discepolo di Gandhi): Gesù fu il più grande dei satyagrahi: cioè di coloro che credono nella forza della verità e si impegnano per essa.
Da parte cristiana va notata l’esperienza di «inculturazione» (attraverso gli Ashrams cristiani) di J. Monchanin (+1957), H. Le Saux (Swami Abhishiktananda + 1973; che nel 1968 si ritirò sull’Himalaya a fare l’eremita), Bede Griffiths (autore del libro noto: Ritorno al centro).
Una menzione particolare anche per R. Panikkar, nel suo libro noto, Il Cristo sconosciuto dell'Induismo7: egli sviluppa un notevole parallelismo tra Cristo e Isvara (creatore, signore e manifestazione suprema di Brahman).
Interessante anche il caso del Giappone: dove si riscontrano sia condizioni culturali favorevoli al messaggio cristiano, sia un profondo e quasi «insuperabile» sentimento di rifiuto della visione cristiana.
Note
(7) Vita e Pensiero, Milano 1976.
NEO-MARXISMO
Non è curiosità inutile rivolgere uno sguardo anche nel campo marxista e ascoltare cosa hanno da dire su Gesù Cristo coloro che credono nella visione marxista della storia e dei progetti: è una visione materialistica e atea per principio. Ma vi sono anche a volte interessi culturali per la figura di Cristo che possono dire qualcosa.
Vi sono sì - e ancora tantissimi - marxisti che negano storicità alla figura storica di Gesù, lavorando a smontare la credibilità dei testi e delle fonti. In questo più che Engels e Bauer, maestro indiscusso e caposcuola classico è Karl Kautsky, con l’opera Der Ursprung des Christentums, Kautsky spiega l’insorgere, il chiarificarsi e la definitiva fisionomia del cristianesimo non come derivante da Cristo (che non si sa se è esistito), ma da cause storiche; oppressioni, schiavitù, ribellione. Gesù è per lui un «ribelle», che ha tentato un colpo di stato; nell’orto degli olivi il gruppo (che era armato) era pronto al colpo di mano, da una posizione strategicamente importante. Ma la cosa fallì, anche per il tradimento di Giuda. Il Vangelo è «storicizzazione» di speranze rivoluzionarie che di fatto non si realizzarono. Subentrò invece l’istituzione, che a sua volta divenne potenza e oppressione. «Non fu la fede nella risurrezione del Crocifisso che ha creato la comunità e gli ha dato vigore; ma, al contrario, la vitalità della comunità creò la fede nella sopravvivenza del suo Messia»8.
Ci sono altri studiosi (non russi) che accettano la storicità (sostanziale) delle testimonianze, e vogliono trovare in Gesù un insegnamento che non sia monopolio del solo cristianesimo.9 Questi sono soprattutto coloro che sono chiamati neo-marxisti; da catalogare più come filosofi che critici storici. Fra questi vogliamo ricordarne alcuni.
E. Bloch (1885-1977); autore dell’opera in tre volumi Das Prinzip Hoffnung10. L’idea da tener presente è che, per Bloch, l’uomo è connotato dalla categoria del poter-essere, dalla continua tensione verso ili futuro. «Homo absconditus» è il titolo che egli usa; significa identità non ancora svelata (quindi in cammino, nomade), da inventare in un qualcosa non ancora realizzato. Nella religione, specie quella ebraico-cristiana egli scopre (come tanti altri marxisti) anche un’alienazione; ma soprattutto una tensione verso il futuro, il «regno», verso un avvenire migliore.
Gesù per Bloch non pare relegabile al dolce rabbi nazareno: egli è piuttosto un ribelle, colui che si mette contro ogni forma di schiavitù, pagando anche il prezzo di questa ribellione; che è la croce. La croce non è - come per i cristiani - «gesto supremo d’amore e di fedeltà» al Padre, ma viene dal di dentro dei conflitti: come ultimo segno di una ribellione allo statu quo che non può essere sopportato, ma che bisogna pagare con l’eliminazione fisica. Con plastiche immagini Bloch parla di Gesù come eschaton, come speranza mai domata, come Prometeo che ruba il fuoco agli dèi (e viene inchiodato sulla roccia), a favore dei poveri, o come «serpente» che invita «eritis sicut deus».
V. Gardavsky (cecoslovacco). Anch’egli sviluppa il concetto di Gesù come modello aperto di umanità e ricorre alla concezione veterotestamentaria dell’uomo come essere storico aperto, soggetto di azione creatrice, come Giacobbe incapace di sopportare il ruolo di secondogenito, e «lottatore» perfino contro Dio per strappargli la benedizione. Così appare come la massima incarnazione dell’ideale di un uomo dalle infinite possibilità, in continua esperienza di autotrascendimento. La sua riflessione è legata al momento politico della Cecoslovacchia del 1968
R. Garaudy (francese), filosofo marxista dissidente, oggi passato all’islam. Egli si muove sempre sulla linea dell’autotrascendimento. Per lui l’uomo ha per qualità primaria la capacità di autotrascendenza, la capacità di rompere il cerchio dell’ordine costituito, egli è libertà, progetto, creatività continua. Questa qualità/situazione di fondo è anche un’impresa da compiere: e questo lo porta a superare anche le strutture del socialismo storico. In Gesù si ritrova questa verità di un Dio che non si rassegna, ma con amore rischia, andando incontro al superamento continuo di ogni schema rigido. Nel suo morire e risorgere egli è appello al superamento di ogni limite, anche della morte, come annuncio che tutto è possibile. Ogni nostra azione rivoluzionaria e nuova rende vivente tra noi lui, Gesù di Nazaret.
Ha scritto in un saggio:
«Ogni qualvolta riusciamo a romperla con il nostro vivere di routine, con la nostra tendenza alla rassegnazione, con la nostra facilità a cedere, con le nostre alienazioni nei confronti dell’ordine costituito o della nostra meschina individualità, e grazie a tale rottura, riusciamo a compiere un atto creativo sia in campo artistico o scientifico; sia nell’azione rivoluzionaria o nell’amore: ogni qualvolta contribuiamo con qualcosa di nuovo alla realizzazione della vita umana il Cristo è vivente in noi; da noi e tramite noi si continua la creazione. La risurrezione si compie ogni giorno».
M. Machovec (cecoslovacco): ricordiamo di lui l’opera Gesù per gli atei. Egli parla con grande simpatia di Gesù, anche se utilizza le categorie teologiche post-bultmanniane (dalla cristologia diretta a quella indiretta), ma mette in dubbio un gran numero di dati evangelici. Egli legge la vicenda Gesù con un’ottica «marxista» attenta ai rapporti fra classi sociali.
Senza dubbio appare affascinato dalla personalità di Gesù, e ne sottolinea il tema della povertà-ricchezza che si associa strettamente anche con l’esaltazione dell’infanzia, come situazione non alienata, tempo di libertà e mitezza; amore-non violenza: un amore radicale che raggiunge una profondità straordinaria, come appare dal precetto dell’amore anche verso il nemico; lotta al fariseismo.
L. Kolakovski (polacco), fra l’altro autore di Senso e non senso della tradizione Cristiana. Presenta Gesù come un «profeta e un riformatore». Egli dice di muoversi da un punto di vista puramente filosofico, come laico, fuori delle chiese, attento al posto di Gesù nella cultura europea in generale (cita ad es. Pascal, Hegel, Kierkegaard, Nietzsche, ecc.). Individua nell’insegnamento di Gesù «cinque nuove regole»: abolizione della legge a favore dell’amore; non violenza. nei rapporti umani; non di solo pane vive l’uomo (cioè ci sono anche altri valori); abolizione dell’idea di popolo eletto (cioè Dio ora è accessibile a tutti); precarietà dell’esistenza umana.
Osservazioni. Per riuscire a capire l’interesse dei «neo-marxisti» per la figura storica di Gesù Cristo, non si deve dimenticare che essi si sono trovati di fronte alla crisi di «ispirazione» del marxismo, e al bisogno di riscoprire il soggetto, il senso della vita, la dimensione «trascendente» dell’uomo. Per questo il messaggio etico di Gesù, specie l’enfasi sull’amore, sull’uguaglianza, sul valore della persona, sulla resistenza al male fino a morire, li attrae e sembra loro un modello di «correzione» anche per il marxismo. Horkheimer direbbe che si tratta della «nostalgia del totalmente Altro», come nostalgia «di perfetta e consumata giustizia».
Di recente anche altri valori vengono presi in seria considerazione, come la pietà, il perdono, la misericordia, il peccato, l’amore, Lo ha dimostrato il simposio di Budapest (8-10 settembre 1986) su «Società e valori etici», organizzato dal Segretariato vaticano per i non credenti e dall’Accademia ungherese per le scienze.
Possiamo dire che queste considerazioni proposte dai neo- marxisti hanno un certo interesse e senz’altro hanno influito sulla cultura e sulla stessa teologia in tempi recenti.
Tirando un po’ di conclusioni, possiamo dire che la linea neomarxista, sommata ad altri elementi filosofici, psicologici, culturali, e anche a specifici impulsi «teologici» - come quello di Bonhoeffer: Gesù come «uomo per gli altri» - ha trovato accoglienza e sviluppo (in termini più specificamente cristiani) in non poche riflessioni dei teologi attuali. Citiamo per tutte la «teologia della speranza», esplicitamente ispirata a Bloch, per attestazione dello stesso Moltmann.
Echi e analogie si ritrovano anche nella teologia politica, nella teologia della rivoluzione, in alcuni testi della teologia della liberazione (non i più noti). In particolare per quanto riguarda la comune preoccupazione di delineare una fisionomia di Gesù ricca di sovversività, vittima dei giochi e degli interessi dei potenti, simbolo di tutti gli oppressi della storia, ribelle che vuole e vive una prassi diversa, uomo che muore-risorge come supremo testimone dell’alterità, e la cui memoria rimane pericolosa e sovversiva. Di tutto questo avremo modo più avanti di offrire indicazioni maggiormente puntuali.
L’enfasi su Gesù «uomo libero e aperto» ha contagiato, per osmosi culturale, anche il linguaggio catechetico, gli schemi omiletici, perfino molti testi di meditazione. E questo è un interessante apporto della cultura attuale alla spiritualità cristiana. Ma dobbiamo fare attenzione a conservare completa la verità su Gesù Cristo e non ridurla solo ad alcuni, interessanti, stimoli prassiologici o antropologici.
Il dialogo interreligioso ha infine condotto a rileggere la verità che sta prima e oltre la formulazione «dogmatica» dei concili, per sceverare gli elementi ancora non «fissati» in formule, eppure preziosi e vitali. Perché anche a tutti i popoli e alle tradizioni sia concesso di «vedere Gesù» (cf. Gv 12,21) ed essere accolti da lui con il «giubilo nello Spirito», e così possano guardare a colui che, «innalzato da terra, attira tutti a sé» (cf. Gv 12,32), e credendo alla luce «diventare figli della luce» (Gv 12,36).
Il Cristo è destinato «a ricapitolare tutte le cose» (Ef 1,10), perché le ha riscattate col suo sangue sulla croce; ma anche perché tutto è stato «eletto in lui fin dalla fondazione del mondo» (Ef 1,4) e tutto esiste «in vista di lui» (Col 1,16s). Con l’incarnazione il Verbo ricapitola in sé, in modo visibile, il primato sul cosmo intero, che gli apparteneva in modo invisibile.
Le ricerche e i «cammini» delle religioni abramitiche, come le «vie» e i «sentieri» delle grandi religioni asiatiche o delle tradizioni a sfondo cosmico o animista, ci hanno fatto vedere quanto siano numerosi e preziosi i «semi del Verbo» e i segni di santità, e quanto numerosi siano coloro «che lo cercano con cuore sincero».
Di tutto questo Cristo è artefice e pienezza, spiegazione e fondamento, misteriosa presenza e talora anche figura deformata; rimane implicito soprattutto redentore e signore. Alla nostra epoca tocca «assecondare» gli impulsi dello Spirito, mediante il dialogo rispettoso e sincero, e condurre alla piena realizzazione questa signoria universale di Cristo (cf. GS 92).
Note
(8) KAUTSKY, Der Ursprung, p. 400
(9) Per una migliore e diretta conoscenza cf.: J.M. LOCHMAN, Gesù o Prometeo?, Cittadella, Assisi 1975; T. PRÖPPER, Jésus: raison et foui, Desclée, Paris 1978; I.FETSCHER-M. MACHOVEC, Marxisti di fronte a Gesù, Queriniana, Brescia 1976.
(10) Sono tre volumi editi a Berlino (est) negli anni 1954-1959. Tenere presenti anche Ateismo nel cristianesimo, Feltrinelli, Milano 1971 e Religione in eredità, Queriniana. Brescia 1979.