Formazione Religiosa

Martedì, 11 Settembre 2007 02:38

Teologia africana. E continuiamo a interrogarci (Benoît Awazi Mbambi Kungua)

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Teologia africana.
E continuiamo a interrogarci

di Benoît Awazi Mbambi Kungua

Una carrellata sulla teologia africana ci rivela come questa disciplina abbia fin dall’inizio trovato il suo senso fuori dalle biblioteche, là dove il cammino di liberazione dei popoli africani cerca di aprirsi un sentiero.

1956. Esce in libreria Des prêtres noirs s’interrogent (Éditions du Cerf), lavoro collettivo di un gruppo di preti neri, africani e haitiani che a Roma stavano approfondendo la loro formazione teologica. Avevano voluto affrontare apertamente, per iscritto, la questione della loro identità nella chiesa cattolica romana. Erano consapevoli di come l’impiantazione della chiesa nell’Africa subsahariana fosse andata di pari passo con il processo di colonizzazione militare, politica ed economica. La collusione storica e tragica fra l’impresa colonizzatrice e l’evangelizzazione aveva determinato in grande misura la ricezione del cristianesimo da parte degli africani. Quel libro - pubblicato alla vigilia delle indipendenze politiche formali - svelava la fonte e l’orientamento teologico-politico ed emancipatore del “discorso teologico neroafricano”.

A cinquant’anni di distanza, il pensiero teologico neroafricano contemporaneo può essere individuato in alcuni assi principali che andiamo a esaminare concisamente.

Nel 1960, anno dell’indipendenza dell’attuale Repubblica democratica del Congo, nella capitale Léopoldville (oggi Kinshasa) si svolse una pubblica disputa tra un giovane sacerdote, Tharcisse Tshibangu Tshishikuiku - attualmente arcivescovo di Mbuji-Mayi - e un suo professore belga, padre Alfred Vanneste. Oggetto del contendere era la possibilità scientifica di un discorso teologico neroafricane autonomo, culturalmente nonché politicamente e socialmente incarnato. Era una possibilità che il giovane prete difendeva con fermezza e che il suo oppositore escludeva con altrettanta decisione. Per Vanneste, la cattolicità della chiesa comportava ipso facto l’adozione pura e semplice delle elaborazioni teologiche, canoniche e dogmatiche europee e romane.

Sostenere quest’ultima posizione era, all’epoca, perfettamente comprensibile; non lo è più oggi, quando una pluralità di teologie neroafricane hanno voltato le spalle alle “tenebre” e agli appesantimenti dell’etnocentrismo occidentale e coloniale.

Nell’attuale congiuntura mondiale è più che mai necessario interrogarsi seriamente sulle alternative teologiche e spirituali provenienti dalle giovani chiese d’Africa, Asia e Sud America: qui si sperimenta una rapida crescita demografica e un’evidente vitalità della loro prassi teologica, liturgica, politica, sociale ed ecclesiale. Nelle alternative teologiche neroafricane va riconosciuta una netta volontà di resistenza spirituale e culturale alle ideologie nichiliste, consumistiche e atee propagate anche da certe reti occulte che controllano i movimenti dei capitali e del sapere su scala planetaria.

L’opera che ha saputo ripercorrere con talento e genialità le grandi tappe del processo di riappropriazione neroafricana del cristianesimo è indubbiamente Discours théologique négro-africain del congolese Oscar Bimwenyi-Kweshi: edita a Parigi da Présence Africaine nel 1981, mise il punto finale al dibattito sulla legittimità di una teologia africana autonoma.

Le cristologie

Il Nome - con il connesso processo del nominare - rappresenta in tutte le culture una modalità ontologica di conoscere l’altro e di penetrarne il mistero. Nelle tradizioni neroafricane, dove la scrittura non ha lo stesso significato filosofico e politico che riveste nelle culture occidentali di radici greco-latine, la parola viva, orale, pronunciata su una persona permette di iniziare un dialogo e una relazione di conoscenza reciproca. Per chi si sia preso il tempo di osservare con attenzione le società africane nella loro quotidianità, la preponderanza delle relazioni interpersonali e orali appare come un’evidenza. Il primato del relazionale, dell’orale e dell’invisibile costituisce un criterio epistemologico importante per capire dall’interno le culture neroafricane.

L’etnografia coloniale ha a lungo diagnosticato questa propensione all’oralità come un mero deficit di filosofia, civiltà, cultura e pensiero scientifico. L’assenza di tracce scritte assimilabili a quelle esistenti nelle civiltà europee è servita da base “scientifica” agli ideologi della colonizzazione, con le conseguenze catastrofiche che sappiamo. Si rivela, perciò, particolarmente importante prestare interesse alle elaborazioni teologiche e orali delle chiese afrocristiane e terapeutiche “del risveglio” (di derivazione evangelica) che si vanno sviluppando. Cristo diventerà africano nella misura in cui riceverà dei Nomi culturalmente, spiritualmente e teologicamente significativi, probanti e pertinenti per le culture neroafricane.

Le cristologie rappresentano, dunque, dei tentativi originali e popolari di rendere familiare e comprendere il mistero del Dio fatto uomo, crocifisso e risorto, e di entrare in relazione con esso. Per questo, gli africani chiamano Cristo “Proto-antenato”, “Maestro d’iniziazione”, “Capovillaggio”, “Liberatore”, “Salvatore”...., Il titolo più utilizzato dalle comunità carismatiche e terapeutiche del risveglio per definire Cristo è, invece, “Esorcista” e “Taumaturgo”. Il rilievo dato dai cristiani africani delle chiese carismatiche, pentecostali e terapeutiche alla guarigione divina costituisce una dimensione primordiale ed esemplare nelle cristologie africane contemporanee.

Liberazione

Non si darà vera liberazione teologico- politica senza la volontà tenace degli africani di guardare in faccia la propria storia. La disintegrazione totale delle strutture istituzionali, sociopolitiche e religiose impiantate dalla colonizzazione nel 19° e 20° secolo è il sintomo palese dell’aggravarsi della crisi postcoloniale.

Il teologo che più di altri ha espresso e incarnato questa storia tragica - nella sua azione, nell’impegno intellettuale, sacerdotale, artistico e sociopolitico, nella sua stessa vita - è Engelbert Mveng. Lui, che vedeva con lucidità come il complesso di cause della crisi neroafricana si collocasse a livello antropologico e ontologico, visse tutta la sua vita cosciente del destino tragico che attende ogni profeta. Denunciò - a tempo e fuori tempo, come una sentinella - le potenze di morte che stanno alla base delle strutture capitaliste e militari internazionali che strangolano i paesi africani. Fu assassinato il 23 aprile 1995, nella sua abitazione di Yaoundé (Camerun): gli furono esportati gli organi genitali e il cervello, senza dubbio utilizzati in qualche rito satanico e magico.

Siamo qui nel baricentro del discorso teologico neroafricano. Il futuro del cristianesimo nel continente si sta giocando sulla capacità delle chiese di gestire in modo lucido, teologico e responsabile la vasta e problematica questione della stregoneria e dei riti magici, in evidente recrudescenza. Quale cristologia promuovere per attrezzare teologicamente e politicamente i cristiani africani costretti a esercitare la loro storicità in società guidate da regimi apertamente cannibali, diabolici e macabri?

A proposito di questo orientamento profetico della teologia neroafricana della liberazione, è giusto fare memoria dei vescovi che hanno obbedito alla loro vocazione profetica con audacia e intrepidezza, fino al dono della vita. Christophe Munzihirwa ed Emmanuel Kataliko, per esempio, due vescovi congolesi che non hanno indietreggiato davanti alla tirannia sanguinaria del dittatore ruandese Paul Kagame - sostenuto da una impressionante logistica, garantita dalle potenze occidentali - nel suo tentativo di annettersi il Kivu, la ricca regione orientale della Repubblica democratica del Congo, i cui minerali sono tanto necessari alle industrie occidentali.

Alla stregua di Mveng, Kataliko e Munzihirwa sono figure di primo piano della patristica neroafricana.

Ed è nell’atmosfera sociopolitica e culturale di proliferazione e banalizzazione della stregoneria e delle pratiche magiche che va salutata l’audacia profetica e teologica delle cristologie carismatiche e mistiche promosse dal gesuita camerunese Meinrad Hebga. Con l’aperto incoraggiamento dato a una cristologia terapeutica e mistica della liberazione, il teologo hanno anticipato con perspicacia, fin dai primi anni Ottanta, la questione della gestione teologica dei problemi legati alla stregoneria nei grandi agglomerati urbani.

Il completo controllo esercitato dalle società esoteriche e occulte internazionali sulla quasi totalità dei paesi africani rende urgente la promozione di una cristologia terapeutica della liberazione teologico-politica. E’ la sovranità assoluta, escatologica e terapeutica di Dio sulle potenze della morte che viene invocata dai teologi esorcisti come Hebga e Milingo. Le nuove chiese del risveglio nelle loro liturgie praticano abitualmente l’esorcismo e la preghiera di guarigione spirituale. Siamo davanti a un turbine nel quale si sta già giocando l’avvenire del cristianesimo nelle società neroafricane: non solo nelle megalopoli del continente, ma anche nelle diaspore europee (Londra, Amsterdam, Berlino, Losanna e Bruxelles, Parigi e Roma…..) e dell’America settentrionale (New York e San Francisco, Chicago, Ottawa, Quebec...).

Ma non possiamo chiudere questa pagina dedicata alla teologia della liberazione senza segnalare l’opera prolifica e profetica di Jean Marc Éla, teologo camerunese in esilio a Montréal. Da trent’anni Éla incarna una tendenza vigorosa e iconoclasta della teologia dell’emancipazione teologica, politica ed economica delle classi popolari. La sua teologia è una lettura neroafricana del libro dell’Esodo a partire dalle preoccupazioni teologiche, spirituali, terapeutiche, politiche ed economiche degli emarginati e dei più poveri, che rappresentano la grande maggioranza delle società africane. E’ una teologia che stigmatizza la dominazione politica, economica, ideologica e teologica che continua a essere esercitata dalle chiese occidentali sulle chiese locali d’Africa in nome di una visione e di una pratica eurocentriche ed etnocentriche della cattolicità.Jean Marc Éla ha consegnato la sintesi della sua teologia in una sorta di summa, uscita due anni fa: Repenser la théologie africaine (Karthala).

Ben più che un cenno fugace meriterebbe la critica teologica e filosofica al cristianesimo coloniale operata da Fabien Eboussi Boulaga, anch’egli camerunese. Di cui citiamo almeno due opere: La crise du Muntu (Présence Africaine, 1977) e, per lo stesso editore, Christianisme sans fétiche (1981). Melchior Mboninmpa ha attualizzato il pensiero di Eboussi Boulaga in Défjs actuels de l’identité chrétienne (L’Harmattan, Paris,1996).

Ricostruzione

È il pastore luterano congolese Kä Mana il principale esponente della teologia della ricostruzione in ambito francofono. La problematica della “ricostruzione” è nata fra i teologi protestanti della Conferenza delle chiese di tutta l’Africa (Aacc/Ceta), nell’intento di proporre un nuovo paradigma - epistemologico, pastorale, etico, politico e teologico - ai cristiani africani, in una situazione in cui i paesi africani hanno raggiunto una sovranità politica formale e in Sudafrica è stato smantellato l‘ultimo bastione del razzismo e del totalitarismo, il compito fondamentale della teologica africana oggi non è più tanto quello di inculturare la fede cristiana o di liberare gli africani dal giogo del razzismo colonialista, ma di ricostruire, a livello teologico, etico, politico, economico, sociale e culturale, le società acefale e senza legge dell’Africa postcoloniale.

La ricostruzione s’ispira al modo in cui Dio gestisce le grandi crisi dell’umanità nella Bibbia (la caduta originale, l’espulsione dall’ Eden, l’esodo, la liberazione dalla schiavitù d’Egitto, l’esilio, il ritorno e la riedificazione del tempio...). Questa teologia sollecita gli africani a scuotersi da un torpore secolare e a dare vita a società politicamente, economicamente e moralmente viabili, capaci di far fronte agli attacchi della globalizzazione neoliberista, i cui criteri di competitività, di produttività e di crescita marginalizzano e indeboliscono considerevolmente le società neroafricane contemporanee.

Le opere fondamentali di questa corrente teologica sono quelle di Kä Mana: da LAfrique va-t-elle mourir? (Karthala, 1991) a Bousculer l’imaginaire africain (Cerf, 1993), seguite da Théologie africaine pour un temps de crise, Christs d’Afrique, La nouvelle évangélisation de l’Afrique (tutte per Khartala, fra il 1993 e il 2000).

In Africa occidentale

Dovendo scegliere tra i numerosi teologi di questa regione del continente (Éfoé-Julien Pénoukou, Anselme Titianma Sanon, Jean-Claude Djéréké…), ci soffermiamo su Barthélemy Adoukounou, che ausculta dall’interno la religione vodù, con un’analisi al contempo etnologica e teologica.

Il vodù del Benin riconosce l’esistenza di un Dio sovrano, trascendente e creatore di tutte le sfere ontologiche. Gli adepti dei vodù lo chiamano Mahou. Ma poiché Mahou è lontano dalle vicissitudini quotidiane degli uomini e distante dalla trama storica e cosmica della loro vita, ha delegato il potere di giurisdizione sugli affari umani a dei - o spiriti - subalterni: i vodù, i loa…... Ogni vodù controlla una porzione cosmica e ontologica. Esiste così un dio del fulmine, un dio della pioggia, del fuoco, della fecondità, della guerra…... Gli uomini devono offrire loro dei sacrifici animali e umani per assicurarsene il favore.

E qui che Adoukounou ingiunge agli adepti del vodù che si convertono al cristianesimo di troncare con i sacrifici sistematici di bambini in occasione delle cerimonie occulte di purificazione del re di Abomey, che hanno luogo a settembre, quando inizia l’anno nuovo. L’opera fondamentale del teologo beninese a questo soggetto è del 1980: Jalons pour une théologie africaine - Essai d’une herméneutique chrétienne du Vodun Dahoméen (Lethielleux &Culture et Vérité). Analoghe letture sono applicate anche al vodù di Haiti: Dieu dans le vaudou hatien, di Laënnec Hurbon (Maisonneuve &La- rose, 2002), e Le vodou haïtien: reflet d’une société bloquée, di Fridolin Saint-Louis (L’Harmattan, 2000).

Prospettiva storica….

Dopo avere insegnato teologia alle facoltà cattoliche di Kinshasa, Alphonse Ngindu Mushete vive oggi nella sua diocesi di origine, Mbuji-Mayi, nella Repubblica democratica del Congo. Appartiene alla generazione dei pionieri della teologia africana. insieme con MvengTshibangu Tshishiku, Meinrad Hebga. Vincent Mulago, Eboussi Boulaga, BimwenyiKweshi, Adoukounou…..

È stato l’avvocato della causa della teologia neroafricana attraverso numerosissimi articoli pubblicati sulle più prestigiose riviste internazionali di settore: “., Concilium, Bulletin de Théologie Africaine, Spiritus…. . . La sua tesi di teologia verteva sulla conoscenza religiosa in Lucien Laberthonnière, filosofo cattolico messo all’indice durante la controversia modernista a cavallo tra 19° e 20°secolo. Ngindu Mushete è uno dei primissimi teologi ad avere tentato, dopo quell’anno 1956, una presentazione sistematica e panoramica delle ricerche teologiche africane. In italiano è apparso un suo importante titolo, La teologia africana in cammino (Edizioni dehoniane, Bologna, 1988), oltre a diversi articoli.

….Biblica….

Paulin Poucouta, biblista del Congo Brazzaville, dopo aver insegnato in diversi seminari maggiori, è attualmente professore di esegesi all’Università cattolica dell’Africa centrale a Yaoundé (Camerun). Aveva fatto i suoi studi all’Istituto cattolico di Parigi e alla Scuola biblica di Gerusalemme. Sta gettando le basi per una lettura decisamente neroafricana della Bibbia. Si dedica, in particolare. alla ricerca del significato dell’Apocalisse per le chiese dell’Africa d’oggi e all’attualizzazione teologica del profetismo biblico in chiave neroafricana. Di lui la Queriniana ha pubblicato nel 1999 Letture africane della Bibbia.

…..E metodologica

Il camerunese Eloï Messi Metogo s’interroga sulle questioni di metodologia, sulla scia di Bimwenyi-Kweshi, Tshibangu, Nathanaël Yaovi Soédé, Syvain Kalamha Nsapo.... Ma la sua tesi principale - e anacronistica - consiste nel sostenere l’esistenza dell’ateismo nelle società neroafricane. E una tesi dal carattere inconsistente, fantasioso, ideologico e concordista, totalmente montata su istigazione dei circoli “africanisti” parigini che credono di poter continuare a controllare indefinitamente la riflessione di carattere teologico, religioso e antropologico sulle società neroafricane contemporanee.

La battaglia pubblica e accanita, che su questo terreno si combatte fra gli africanisti eurocentrici di Parigi e gli egittologi africani, avrà sicuramente delle ripercussioni di prim’ordine sullo scacchiere teologico neroafricano. Ho già chiaramente espresso nel mio libro, Panorama de la théologie négro-africaine contemporaine (L’Harmattan, 2003), una ferma ed energica opposizione alla tesi artificiale dell’ateismo in Africa, che non resiste alla prova dell’esuberanza religiosa e spirituale che osserviamo oggi nel continente e nelle diaspore nere d’Europa,dei Caraibi e delle Americhe

I messianismi politico-religiosi

I messianismi. che hanno proliferato in Africa centrale e occidentale nel periodo coloniale e postcoloniale, sono tentativi radicalmente endogeni, africani, di riappropriazione teologica, metafisica, mistica e politica del cristianesimo coloniale da parte dei ceti popolari delle società coloniali e postcoloniali. sotto la guida di profeti taumaturghi ed esorcisti come Simon Kimbangu, André Matsoua, William Harris, Albert Atcho... Questi messianismi costituiscono il vero atto di nascita della teologia della liberazione, negli anni Cinquanta-Sessanta e anche prima.

E, dunque, tempo di correggere un errore monumentale, abitualmente commesso negli ambienti teologici universitari europei, dove si considera l’America Latina la culla della teologia della liberazione. Occorre avere il coraggio e l’onestà di tornare all’empiricità, alla positività e alla storicità di fatti che resistono a ogni lambiccata Costruzione ideologica. La teologia della liberazione è nata in Africa, con l’irruzione e l’esplosione dei messianismi politico-religiosi di chiaro orientamento mistico e terapeutico.

Domande all’egittologia

Non è questo il luogo di enumerare i presupposti teologici, filosofici, politici e storici che sottendono le erudite opere di grandi egittologi africani come Cheikh Anta Diop. Théophile Obenga, Mubabinge Bilolo, Jean Charles Gomez, Kotto Essomé, Kangue Ewane….. i quali reperiscono nella civiltà egizia origini radicalmente neroafricane. Ci limitiamo a segnalare l’esistenza della rivista di egittologia Ankh, pubblicata da Présence Africaine e diretta dal congolese Obenga, direttore del dipartimento di studi africani all’Università di San Francisco. Un documentato punto della questione si può inoltre leggere nell’opera di Doue Gnonsea, Chcikh Anta Diop, Théophile Obenga - Combat pour la Renaissance africaine (L’Harmattan, 2003).

Ora, nei contesto di un dialogo teologico e critico fra cristologia neroafricana della liberazione teologico-politica ed egittologia faraonica, ci appare necessario porre con franchezza due domande agli egittologi: a) in che cosa e in quale forma il modello dell’Egitto faraonico può servire da archetipo all’organizzazione sociopolitica ed economica attuale delle società neroafricane, corrose al loro interno da dittature militari sanguinarie, autocratiche e corrotte?; b) per un cristiano africano che si interessi intellettualmente nonché spiritualmente alle ricerche filosofiche e teologiche sull’antico Egitto, come è possibile articolare l’universalità e l’unicità della rivelazione trinitaria di Dio nel mistero pasquale, con le numerose divinità (astrali, cosmiche, animali…..) degli antichi egizi?

Come possono i cristiani africani - che vivono in società dove proliferano stregoneria e culti magici e occulti - riferirsi alle magie egiziane in una dinamica di liberazione teologica e politica globale?

Sinodo africano

Il sinodo svoltosi a Roma nel 1994 ha cristallizzato le energie e le riflessioni teologiche, politiche e pastorali delle chiese cattoliche dell’Africa postcoloniale. Dagli anni Settanta, teologi come Mveng, Eboussi Boulaga, Pénoukou, il cardinale Joseph Malula, rivendicavano un concilio in cui le chiese d’Africa potessero riflettere in piena libertà e responsabilità sul loro avvenire. Com’era prevedibile, Roma ha concesso solo un “sinodo romano per le chiese d’Africa”, sotto l’alta e paterna vigilanza della curia. Al cuore dei dibattiti e delle deliberazioni dei padri sinodali stavano la democratizzazione politica, la giustizia e la pace, i mass media, le guerre…. Ma, soprattutto, il sinodo ha promosso l’ecclesiologia della “famiglia di Dio”. La sintesi più completa e pertinente di tale ecclesiologia africana si trova nel libro del congolese Augustin Ramazani Bishwende, Eglise-farnille-de-Dieu (L’Harmattan, 2001).

(da Nigrizia, febbraio 2006)

Letto 5718 volte Ultima modifica il Giovedì, 15 Novembre 2007 23:11
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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