Formazione Religiosa

Venerdì, 29 Dicembre 2006 20:15

Dello scopo, del fine e del fine ultimo (Faustino Ferrari)

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Quello che il pensiero occidentale non riesce a dire è che si possa amare Dio senza per questo dover necessariamente pensare che ci debba essere uno scopo per questo amore. Si è sempre avuta la tendenza ad aggiungerci qualcosa, fosse anche la salvezza dalla dannazione eterna.

«In principio Dio creò la Terra e la guardò, nella sua cosmica solitudine. E Dio creò tutte le creature viventi che ora si muovono, e una di esse era l’uomo. L’uomo batté le palpebre. “Qual è lo scopo di tutto questo?” chiese educatamente.
“Tutto deve avere uno scopo?” chiese Dio.
“Certamente” disse l’uomo.
“E allora lascio a te il compito di pensare uno scopo per tutto questo” disse Dio. E se ne andò».

(K. Vonnegut, Cat’s cradle, tra. it. Ghiaccio-nove).

A prima vista, questo racconto appare a dir poco irrispettoso, se non addirittura blasfemo. In fondo, abbiamo alle spalle molto del pensiero filosofico e religioso occidentale che ci fa dire, insieme con il Catechismo di S. Pio X, che noi siamo stati creati per amare Dio, onorarlo e contemplarlo nella vita eterna. Chi può affermare che la nostra vita non ha uno scopo? Sono gli atei. Oppure persone che sono lontane dal cristianesimo e che si vogliono porre in contrapposizione ad esso.

Tuttavia, se sfogliamo la bibbia, non troveremo concetti come scopo, fine, fine ultimo. Questi concetti ci sono stati trasmessi dalla filosofia greca e oggi ce li portiamo addosso in maniera tale che non si riesce quasi più a fare un discorso “religioso” senza dover fare riferimento ad essi. Nella predicazione, nella catechesi e nella pubblicistica sono elementi che ritornano in continuazione. E noi leggiamo il testo biblico a partire da questo filtro, da questa prospettiva. Ed in continuazione ci poniamo determinate domande. Perché Dio ha creato la terra? Perché ha creato l’uomo? Perché la caduta?… Come se la risposta “razionale” a queste domande fosse essenziale per la nostra esperienza umana, religiosa, cristiana.

A volte queste domande fanno corto circuito. Come nel caso del libero arbitrio. O della presenza del male nel mondo. O della sofferenza e della morte per il giusto e l’innocente. Come sottolinea Hans Jonas nel suo libretto dedicato a Il concetto di Dio dopo Auschwitz, oggi ci risulta impossibile, a livello razionale, conciliare i tre aspetti che vengono ricondotti a Dio: bontà infinita,onnipotenza, comprensibilità da parte dell'uomo.

Il pensiero occidentale è anche essenzialmente un pensiero dualista. Fondamentale risulta essere il principio aristotelico di non contraddizione. Il paradosso è un processo logico poco ortodosso, a cui non bisogna prestare troppa attenzione. Tollerato, ma senza diritti di essere preso sul serio. Un pensiero logico rigoroso procede, sulla scorta di Hegel, con uno stringente riproporsi di tesi ed antitesi, culminanti in una sintesi che rappresenti il tassello per ulteriori antitesi.

Ma chi ha familiarità con il testo biblico ben presto si accorge di trovarsi di fronte ad un linguaggio spesso fortemente paradossale, lontano dagli schemi della logica greca. È frequente la reiterazione delle immagini, la loro circolarità. Là dove ci sono domande, c’è da mettere in conto che le risposte siano spiazzanti – dovremmo dire: non logiche, se il punto di riferimento ci fosse dato, appunto, dal pensiero greco. Lo svolgimento della parabola del buon samaritano, soltanto per fare un esempio, è lontano da questa logicità che ci è così familiare. Gesù non risponde alla domanda del dottore della legge: “Chi è il mio prossimo?”, ma racconta una parabola che, paradossalmente, ribalta la questione: “E tu, a chi vuoi farti prossimo?” (Cf Lc 10, 25-37). E dobbiamo prestare attenzione a Paolo che nella lettera ai Romani prospetta che l’intera creazione, impaziente, è stata «sottomessa al paradosso» (8,19-21).

Un discorso difficile da affrontare nell’ambito del cristianesimo occidentale. Sembra impossibile poter essere credenti senza dover necessariamente porsi le fatidiche domande di senso. Perché le domande dello scopo, del fine e del fine ultimo sono domande essenzialmente razionali e tutto ciò che non è razionale finisce inevitabilmente per essere ricondotto all’irrazionalità.

Ma è questo l’unico pensiero che aiuta il credente ad approfondire la propria esperienza di fede?

Forse una delle opportunità che ci offre questa nostra epoca postmoderna – caratterizzata dal meticciato, dalla contaminazione, dal comporsi della razionalità con elementi irrazionali, dal riemergere di bisogni spirituali che la techné non riesce a saziare – è proprio quella di poter comprendere la nostra fede senza dover insistere circa le domande del senso e del fine.

Nel racconto biblico, proprio là dove Dio risponde alle domande poste dal ribelle Giobbe, si delinea una creazione che non può essere totalmente riconducibile alla pura razionalità umana. Ci viene presentata l’attività di alcuni animali “mitici” che vivono nell’immensità delle acque e la cui esistenza può essere capita soltanto come divertimento. Anzi, con null’altro motivo che quello della gratuità, del piacere. «La bellezza salverà il mondo» ci ricorda un fin troppo citato testo di Fëdor Dostoevskij.

Quello che il pensiero occidentale non riesce a dire è che si possa amare Dio senza per questo dover necessariamente pensare che ci debba essere uno scopo per questo amore. Si è sempre avuta la tendenza ad aggiungerci qualcosa, fosse anche la salvezza dalla dannazione eterna. Vi manca la dimensione contemplativa, quell’esperienza umana che fa ammirare la bellezza in quanto bellezza e non si pone domande circa la sua validità, la sua labilità, la sua produttività o il suo successo.

Viene da pensare a Francesco d’Assisi e al suo vangelo sine glossa. Vale a dire, senza quel filtro rigorosamente logico che del vangelo ci fa scoprire tutto a livello razionale, ma che non riesce a scardinare l’aridità dei cuori.

Viene da pensare ai mistici che hanno abitato le stagioni del tempo non accontentandosi della ragione, ma cercando di intuire soprattutto «le ragioni del cuore» (Blaise Pascal). E a tutti quegli uomini e a quelle donne che nella Chiesa sono onorati come santi e sante avendo saputo incontrare il divino nella propria esistenza.

Ma viene da pensare anche a don Milani, là dove scriveva alla studentessa Nadia Neri: «È inutile che tu ti bachi il cervello alla ricerca di Dio o non Dio. Ai partiti di sinistra dagli soltanto il voto, ai poveri scuola subito prima d’esser pronta, prima d’esser matura, prima d’esser laureata, prima d’esser fidanzata o sposata, prima d’esser credente. Ti ritroverai credente senza nemmeno accorgertene».

Faustino Ferrari

 

Letto 2489 volte Ultima modifica il Lunedì, 16 Gennaio 2017 21:42
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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