Ma c'è una risposta
al mistero del soffrire?
di Giannino Piana
Al male fisico si accompagna spesso - oggi soprattutto - il male morale: l’esperienza della solitudine, dell’abbandono, della mancanza di significato. Anche per questa situazione-limite la Scrittura ha una proposta di consolazione: è paradossalmente la croce che aiuta a riscoprire la speranza.
Dinanzi al “mistero” della sofferenza umana l’atteggiamento che sulle prime appare più corretto è quello del silenzio. E’ infatti estremamente difficile parlare di un’esperienza che è, di sua natura, incomunicabile e che si presenta con caratteri di estrema complessità. Diverse sono le forme sotto le quali essa si manifesta - da quella fisica e psicologica fino a quella sociale e morale -e diversi i gradi di intensità che possono caratterizzarla. Molto spesso, poi, ulteriori complicazioni nascono dal naturale assommarsi di fattori apparentemente lontani e non immediatamente omologabili. Così la malattia ingenera - specialmente nella nostra società, caratterizzata dal sistema della ospedalizzazione - uno stato di isolamento e di emarginazione, persino di ghettizzazione, che è causa di profonde frustrazioni psicologiche. Al dolore fisico si accompagna la sensazione di inutilità e di abbandono, di incomunicabilità e di solitudine: sensazione che produce sentimenti di impotenza e di disperazione.
Nell’A.T. la spiegazione è anzitutto ricercata nel mistero del peccato di origine. Malattia, dolore e morte sono la conseguenza della rottura del rapporto dell’uomo con Dio: rottura che ha provocato l’insorgenza di profonde conflittualità nelle relazioni umane e nella stessa relazione con il cosmo. Il male esistente nel mondo, sia a livello individuale che collettivo, viene in tal modo ricondotto alla libera scelta dell’uomo, al desiderio di onnipotenza, che ha, di fatto, ingenerato uno status di radicale alienazione. I libri sapienziali costituiscono il momento più alto di elaborazione di questa teologia. In essi ordine fisico e ordine morale sono ricondotti alla stessa sorgente: la sapienza da cui tutto proviene. L’infrazione dell’ordine morale produce, di conseguenza, profondi squilibri nell’ordine fisico, quali carenze di beni materiali, malattia e morte. La crisi di questa interpretazione coincide con l’emergere della tematica del giusto sofferente, di cui il libro di Giobbe rappresenta il caso emblematico. Si fa così strada la convinzione dell’irriducibilità del male al peccato personale e l’esigenza di guardare con occhi diversi il mistero della sofferenza. L’atteggiamento del N.T. è più articolato. La liberazione portata da Gesù è insieme liberazione dal peccato e dal male. I miracoli sono anzitutto volti a sanare gravi malattie fisiche ma l’obiettivo ultimo verso cui tendono è la crescita della fede e il cambiamento della vita. Il nesso peccato-sofferenza appare meno rigido e meno personalizzato: la menomazione fisica, lungi dall’essere considerata come il frutto di una condizione di peccato, si trasforma in occasione per la manifestazione delle opere di Dio: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ora è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio» (Gv 9,3).
Lotta e accettazione
Il mistero della sofferenza umana riceve, tuttavia, la sua pienezza di senso nel contesto del mistero della croce. Anche Gesù reagisce di fronte all’assurdità del dolore, accettandolo soltanto per un atto di obbedienza incondizionata alla volontà del Padre: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu! » (Mt 26,39). La morte rimane anche per lui un’esperienza di radicale solitudine, nella quale egli tocca l’abisso del silenzio di Dio: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? » (Mt 27,46). Sofferenza e morte rimangono realtà tragiche e umanamente incomprensibili anche per chi si sforza di leggerle nel quadro del progetto divino. Ma la croce, nella sua paradossalità, riscatta anche la negatività dell’esperienza umana. L’atto del supremo fallimento si trasforma in momento di apertura alla vera vita. La speranza cristiana fiorisce ai piedi della croce, in quanto in essa si manifesta l’amore di Dio, il suo totale essere-per-gli-altri. La legge del morire, che è la dura legge della vita, diventa programma di esistenza per il credente: «Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà » (Mt 10.39). La sofferenza comporta dunque da parte dell’uomo l’assunzione di un atteggiamento dialettico di lotta e di accettazione. Essa deve essere, in primo luogo, combattuta come male che aliena l’uomo ma deve, nello stesso tempo, venire colta nel suo valore redentivo e inserita nel contesto della logica della croce. Lo scacco e la perdita di sé nel segno dell’amore gratuito e totale è, infatti, sorgente di vita nuova per chi crede nella promessa del regno.
Dinanzi alla tragedia di chi soffre, la parola deve lasciare il posto alla condivisione discreta e all’umile partecipazione. Ciascuno è, infatti, solo nel dolore e vive un’esperienza mai totalmente comunicabile. Il che lascia, tuttavia, intatta la possibilità che l’amicizia e l’amore vengano avvertiti come valori, che danno sapore all’esistenza e restituiscono il coraggio di guardare avanti. Tutto dipende dal modo con cui vengono offerti, dalla capacità cioè che si ha di manifestare con semplicità la propria vicinanza, senza la presunzione di identificarsi con l’altro e tanto meno di voler giustificare l’ingiustificabile.
Ma questo sarebbe insufficiente se non si accompagnasse ad uno sforzo generoso di debellare la malattia e il dolore, mettendo in atto le diverse potenzialità che la scienza e la tecnologia garantiscono e stimolando la ricerca a trovare nuove strade. Né va trascurato l’annoso problema delle strutture sanitarie, che devono essere sempre più concepite e realizzate come strutture di servizio alla crescita umana.
Un capitolo ancora più importante è, infine, quello della creazione di una cultura che restituisca a colui che soffre il senso dell’utilità della propria testimonianza. Si tratta di superare al riguardo la logica, purtroppo ancora largamente dominante nella nostra società, che privilegia criteri di efficienza e di produttività nella valutazione del significato della vita ed emargina, di conseguenza, chi non rientra in questi parametri di giudizio.
Solo a queste condizioni l’annuncio del mistero della croce, che è il cuore del messaggio evangelico, può ridiventare credibile e risuscitare nell’uomo una speranza, che va oltre ogni attesa umana.