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Mercoledì, 17 Maggio 2006 02:03

Carismi e ministeri (1Cor 12-14) (Giacomo Lorusso)

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Carismi e ministeri (1Cor 12-14)
di Giacomo Lorusso


Dio chiama l'intera umanità alla salvezza mediante la Chiesa. E per renderla capace di adempiere la propria missione, l' arricchisce con dei doni: i carismi. La comunità di Corinto aveva bisogno di una parola di chiarimento da parte dell' Apostolo circa la cooperazione dei diversi charìsmata, poiché motivo di contrapposizione e di sterili confronti. Nei cc. 12-14 della sua prima lettera Paolo riflette sulla loro natura e articolazione, alla luce del confronto tra glossolalia e profezia. Il suo intento è di far risaltare la specificità di ognuno nel contesto della multiforme azione carismatica dello Spirito, che caratterizza il dinamismo di crescita e sviluppo della Chiesa.

La sezione si articola in tre parti: 1Cor 12,1-30; 12,31-13,13; 14,1-40. In 12,1-30 Paolo sottolinea l'origine pneumatica dei carismi, al servizio dell'unità della Chiesa, mentre in 12,31-13,13 presenta la condizione per un'autentica esperienza carismatica: la carità. La carità, infatti, è l' anima dei carismi, feconda la loro azione ed è sin d'ora partecipazione alla comunione divina. La fede e la speranza sostanziano la carità con la conoscenza parziale - già nel tempo - del Dio amore, stabilendo la ragionevolezza della carità. In 14,1-40 Paolo sviluppa il rapporto tra glossolalia e profezia: la reciprocità dei due carismi, la singolarità e la specificità di ognuno, la loro cooperazione per l' attuarsi della missione della Chiesa.

I carismi e i doni dello Spirito

Il c. 12 ha un codice semantico che lo struttura: il rapporto tra «uno» e «molti». Rispettivamente «uno» qualifica lo Spirito, Cristo, il corpo umano, il corpo di Cristo; «molti» i carismi, le membra del corpo umano e quelle del corpo di Cristo.

Nell'introduzione (vv. 1-3) Paolo dichiara che il suo scopo è quello di colmare l'ignoranza di chi nel passato «seguiva» gli idoli «afoni». A differenza di questi, infatti, il Signore «parla» attraverso i suoi, donando la possibilità di pronunziare il proprio nome e dirlo al mondo, grazie alI' azione dello Spirito Santo. L'accento è sul parlare, sulle condizioni di possibilità del pregare e proclamare il nome di Gesù Cristo.

Alla luce di tale affermazione si capisce come i diversi carismi siano elargiti in vista dell'evangelizzazione, per l'opera dell'unico Pneuma. Nei vv. 4-11 Paolo descrive la meravigliosa sinfonia che si sprigiona dai diversi carismi, voce dell'unico Spirito. In apertura abbiamo tre periodi paralleli, ciascuno dei quali associa la persona divina alla molteplicità degli effetti che ne manifestano I' azione:

- lo stesso Spirito - distribuzione di carismi
- lo stesso Signore - distribuzione dei ministeri
- lo stesso Dio che opera - distribuzione di ciò che è messo in opera ogni cosa in tutti

Non vi è distinzione tra carismi, ministeri e operazioni divine: ritenere di possedere un carisma oppure un ministero in forma esclusivamente personale senza guardarlo nella sua matrice di dono e operazione divina annulla la capacità del carisma o ministero di essere ciò per cui Dio lo ha elargito: dono di salvezza e di comunione con Dio per se e per gli altri. La dimensione personale ( «a ciascuno è data una manifestazione dello Spirito» ) si coniuga con la dimensione unitaria del soggetto e attore della pluriforme grazia elargita a tutta la Chiesa ( «tutte queste cose opera I 'unico e medesimo Spirito» ).

L'accento va sulla ripartizione dei doni all'interno della Chiesa, più che sulla diversità. L’apostolo adopera charìsmata e non pneumatikà, sottolineando la dimensione gratuita del dono (chàrisma è dono concreto di «grazia» ), più che la semplice manifestazione spirituale. Nessuno ha I' esclusiva dei carismi né in termini di quantità né di qualità. Né possono esistere carismi che abbiano un' origine diversa da quella indicata, giacchè gli idoli sono muti e inanimati. L' azione divina (v. 6: due volte energéõ) è sottolineata dall'affermazione «a ciascuno è data la manifestazione dello Spirito in vista di ciò che giova» (v. 7), e dalla ripresa del verbo energéõ, «operare», al v. 11. Il dono è messo in opera in vista dell'utilità salvifica (symphéron) per il singolo e per la comunità, ed è ripartito secondo i criteri della liberalità divina ( «ripartisce a ciascuno in particolare come vuole» ). Il tema della ripartizione equa e generosa dei doni è enfatizzata dalla struttura dei vv. 8-10:

-ad uno parola di sapienza                                    per mezzo dello Spirito
-ma ad un altro parola di conoscenza                  secondo lo stesso Spirito
-ad un altro fede                                                      nello stesso Spirito
-ma ad un altro carismi di guarigioni                    nell'unico Spirito
-ma ad un altro operazioni di cose prodigiose
-ma ad un altro profezie
-ad un altro discernimento di spiriti
-ad un altro generi dei modi parlare in lingua
-ma ad un altro interpretazione dei modi di parlare in lingua

Sei su nove sono inerenti al tema del parlare, tre alla dimensione operativa ( «fede» taumaturgica, «guarigioni», «cose prodigiose» ). E tutti sono al servizio dell'unica rivelazione: l'efficacia e la ricchezza dello Spirito che anima la Chiesa.

Descritta la ripartizione dei doni, nei vv. 12-27 Paolo esamina il rapporto di appartenenza vitale che sussiste tra le membra/carismi nel corpo ecclesiale. L'interrogativo di fondo è se vi sia una priorità d'importanza tra i carismi e in che senso si possa parlare di reciprocità.

La metafora del corpo

Ciò sottintende che la Chiesa sia il corpo di Cristo («Così anche è Cristo») e che Cristo stesso abbia un corpo formato da molte membra. Infatti dall’ espressione «così anche Cristo» si passa a «infatti in un solo Spirito noi tutti m vista di un unico corpo siamo stati battezzati». Non bisogna tuttavia dimenticare che si è nel corpo di Cristo solo se si è «in Cristo» (Rm 12,5). Il binomio unità-pluralità è dichiarato nelle due direzioni: l'unico corpo è costituito da molte membra - le molte membra costituiscono l'unico corpo.

Cristo è la realtà totale della Chiesa, nata dallo Spirito nel battesimo (12,13): «...e in un solo Spirito noi tutti in vista di un unico corpo siamo stati battezzati». Per l'azione dello Spirito, nel battesimo, è generato il corpo che appartiene a Cristo. La complessità della Chiesa è esemplificata attraverso le categorie giudei-greci, schiavi-Iiberi, differenti per cultura e stato sociale, relazioni che presuppongono diversità ma che trovano nel dono dello Spirito una unità perfetta. In 1Cor 6,11 leggiamo: «...ma foste lavati, ma foste santificati, ma foste giustificati mediante il nome del Signore Gesù Cristo e per mezzo dello Spirito del nostro Dio». Il motivo del dissetare il popolo da parte di Dio (cf. Es 15,22) è ripreso in 1Cor 10,4: «Tutti bevvero la stessa bevanda spirituale; bevevano infatti da una roccia spirituale che seguiva; ora la roccia era il Cristo». Il corpo della Chiesa è frutto dell'agire creativo dello Spirito, della sua linfa spirituale di cui ci si disseta.

I vv. 14-20 rilevano il tema della pluralità del corpo che non solo ha molte membra ma è molte membra. Le membra sono il corpo, non solo appartengono al corpo; l'essere del corpo implica l'essere corpo. Il brano si contraddistingue per lo schema «non è I ma è» (negativa + affermativa), che sottolinea l'aspetto della pluralità, grado d'importanza e specificità di ruolo di ciascuno. La distinzione e la relazionalità delle membra tra loro manifestano la realtà del corpo: «Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l'udito? Se tutto il corpo fosse udito, dove sarebbe l'odorato?» (v. 17). Non un membro da solo, ma l’insieme delle membra nella loro articolazione e reciprocità del corpo. L'unità, infatti, contrasterebbe con la dimensione corporale. Al v. 18 si fa risalire tale meravigliosa armonia alla benevolenza divina che ha collocato e strutturato il corpo nella varietà e comunione di tutte le membra «come ha voluto». Senza tale disegno il corpo non potrebbe sussistere. La preferenza data a un solo membro entra in contraddizione con il principio stesso dell'entità «corpo».

I vv. 21-26 pongono l'accento sugli essenziali rapporti che intercorrono tra le membra: «aver bisogno» e «andare incontro al bisogno altrui». Le categorie impiegate sono: proteggere quelle che hanno bisogno di attenzione e rispetto, necessità dell' aiuto reciproco (merimnân = cura/preoccupazione), compartecipazione e solidarietà nelle varie vicende sia positive sia negative che li riguardano. La menzione dell' opera divina richiama la matrice provvidenziale di tale cooperazione (Dio «ha mischiato / unito» ) che esclude ogni velleità di cammini solitari e autonomi (schisma = strappo / divisione).

Paolo ha inserito nel discorso sulle membra due termini altrove adoperati per i comportamenti personali: merimnân e schisma. un accenno ai rischi che il perseguire una logica diversa da quella presente tra le membra del corpo umano determinerebbe nel corpo ecclesiale (cf. 1,10ss e 11,18). Il «debole» che ha bisogno di aiuto è I' asthênes che nei cc. 8-10 qualifica la coscienza del credente, scandalizzato dalla superficialità e controtestimonianza dei «forti», che si nutrono delle carni immolate agli idoli. Ma anche il «più forte» ha bisogno dell'aiuto del «più debole» (vv. 23-24). Il maggiore onore riservato ai «deboli» onora e nobilita anche i «forti»; perciò i carismi e ministeri umanamente meno appariscenti («vili», «indecenti») sono più necessari per il vivere ecclesiale. Tale discorso è ribadito dall' accostamento di merimnân al pronome reciproco allêlôn («l'un l'altro») e dalla successiva esemplificazione della condivisione del dolore o della gioia da parte di tutte le membra (v. 26).

AI v. 27 Paolo fa un'affermazione di identità che riassume le conclusioni del discorso sin qui svolto: i corinzi sono corpo di Cristo e sue «membra», perciò quanto illustrato dalla metafora delle «membra» del corpo umano vale a maggior ragione per i battezzati..

Definiti i rapporti che devono intercorrere all'interno del corpo di Cristo che è la Chiesa, nei vv. 28-30 Paolo pone l'accento sull'operato divino che, come già affermato circa il corpo fisico (vv. 18.25), ha costituito (étheto, v. 18) la Chiesa come tale, articolata in varie «membra», diversi ministeri e carismi. Non vi è appiattimento e uniformità ma organica complessità, poiché non tutti sono apostoli o profeti o maestri, ecc., per la «sovrana fantasia» dello Spirito.

AI v. 28 abbiamo tre portatori di carismi e non la fiera indicazione dei carismi, seguiti da «miracoli» e da altri quattro charìsmata. I primi tre ricordano I' elenco di Ef 4,11 : «Egli ha dato gli apostoli, i profeti, gli annunciatori del Vangelo, i pastori e maestri». Il nostro brano è l'unico a includere I' apostolicità (cf. le espressioni paoline «la grazia a me data» dell'apostolato di 1Cor 3,10; GaI 2,9). Con didàskalos s'intende colui che fornisce un insegnamento pratico e parenetico con riferimento all'interpretazione delle Scritture (cf. 1Cor 4,17; Rm 12,7; 15,4): si passa da colui che pone le fondamenta della vita di fede, al profeta delle parole dello Spirito, all'interprete e catecheta della Parola. Dei carismi alcuni sono una novità rispetto ai vv. 8-10: «Prestazioni di soccorso» come attività più tecnico-organizzativa (antilêmpseis) e «capacità di guidare» la comunità (kybernêseis). Abbiamo anche in questo caso, coerentemente con il resto della sezione, la sottolineatura del tema del «parlare»: i ministeri di «apostoli, profeti, maestri» e il «dono delle lingue», linea ripresa subito dopo nelle domande retoriche, dove cinque su sette riguardano il campo del linguaggio (apostoli, profeti, maestri, parlare in lingue, discernimento).

Se al v. 28 si distingueva tra ministeri e carismi, nei vv. 29-30 si elencano soggetti qualificati da carismi. S' inserisce la dimensione personale e quindi implicitamente la categoria dell' arbitrio umano nel servire i carismi e I' edificazione della Chiesa.

Il primato della profezia sulla glossolalia

Anziché rispondere alla domanda su quale dei ministeri sia il «migliore», «più ragguardevole», Paolo indica la via per diventare «ragguardevoli» nella Chiesa: la carità (12,31b-13,13).

Dopo aver celebrato la «via» della carità per diventare «grandi» nel presente e nell'eternità, confutata la «via» della presunzione e del vanto, alla luce del principio della complementarietà e varietà dei doni elargiti dallo Spirito nel «giardino» di Dio che è la Chiesa, nel c.14 l' Apostolo può affrontare la questione delle finalità e del corretto esercizio dei carismi della profezia e glossolalia, per l' edificazione dell' unico corpo di Cristo.

I due carismi sono esaminati nei mutui rapporti, nella loro individualità e alla luce della più generale vita della Chiesa. Il confronto di valore si articola nel modo seguente:

a) la glossolalia inferiore alla profezia (utilità interna): 14,2-5;

b ) insufficienza della glossolalia: 14,6-19;

a') la glossolalia inferiore alla profezia (utilità esterna): 14,20-25.

Sul piano personale la glossolalia è un dono perchè lode al Dio inesprimibile, ma a livello comunitario necessita di chi la interpreti, a differenza del carisma della profezia, che non ne ha bisogno.

Dopo un versetto di transizione ( 14,26), Paolo definisce le regole che devono essere osservate sia dai glossolali sia dai profeti (14,27-33.36-40), unitamente a un' esortazione a evitare nella concreta comunità di Corinto ogni tipo di confusione durante le celebrazioni comunitarie; di qui l'invito alle donne a non chiedere spiegazioni durante gli incontri, ma in casa ai propri mariti (14,33b- 35), poiché tutto deve essere fatto con ordine (katà tàxin) e convenientemente (euschêmònôs).

Conclusioni

I carismi sono eccellenti doni dello Spirito per la crescita della fede personale e comunitaria, e richiedono discernimento e docilità. Tra di essi non è possibile stabilire una gerarchia di onore, poiché sono finalizzati alla reciproca edificazione nel corpo di Cristo. Questo quadro rende vano ogni tipo di rivendicazione tra glossolalia e profezia, giacché il Dio professato è un Dio che parla e rende capaci di parlare efficacemente, a condizione che si viva nella logica dell’amore.

(da Parole di vita, 3, 2002)

Letto 4510 volte Ultima modifica il Domenica, 12 Novembre 2006 23:11
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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