Di fronte a quel passo della costituzione liturgica occorre precisare subito, per rispetto del testo medesimo, che la comprensione del mistero per mezzo dei riti e delle preghiere si muove a un livello ben più alto e profondo di quello della semplice conoscenza. Allo stesso modo, i riti e le preghiere non sono da intendersi come semplici mezzi occasionali, quasi strumenti estrinseci alla comprensione. Il comprendere, qui, è inscindibile dal vivere. dal vivere l'esperienza di fede, e i mezzi sono intrinseci a questa vita. Tali precisazioni appaiono in tutta la loro importanza se si sondano i tre termini del confronto proposto dal testo conciliare: mysterium, ritus, preces.
1. Il mistero, i riti, le preghiere
Il mistero è l'intervento di Dio nella storia dell'uomo. Più precisamente, è l'intervento che crea e conduce la storia, intesa come il tempo dell’uomo. Se il termine 'mistero' viene identificato con Dio assume il valore di ciò che non è raggiungibile, percepibile, comprensibile. Ma poiché viene utilizzato in contesto cristiano, esso indica inevitabilmente il Dio che si è rivelato, anzi indica Dio nell'atto stesso del suo rivelarsi. Il mistero è la rivelazione di Dio: non perché ora Dio sia raggiungibile o comprensibile, ma perché ora Dio ci ha raggiunto e compreso (nelle nostre necessità). Il mistero è l'evento del Dio che si fa prossimo all'uomo. Non dobbiamo dimenticare che nel concetto stesso di 'evento' sono impliciti due elementi fondamentali: l'azione e il tempo. Ciò significa che il mistero, in quanto evento di Dio è azione e tempo segnati da Dio. Purtroppo è sempre possibile sottovalutare questo aspetto. Si può, cioè, retrocedere dall'azione al puro pensiero, e nel puro pensiero affogare il tempo.
La comunità cristiana ha evitato questo pericolo di retrocessione e affogamento, vivendo e testimoniando il mistero «per ritus et preces». Il valore del per ritus et preces sta anzitutto nella concretezza con cui si intende vivere il mistero, ossia il Dio che si fa prossimo all'uomo nella storia. Anzitutto la preghiera, ossia non un discorso più o meno elaborato su Dio, su Cristo, sulla salvezza, ma un discorso di Dio e con Dio, realizzabile in Cristo salvatore. Nella preghiera, la parola non elabora un sistema concettuale, ma esprime l'emozione di un incontro. In tal modo, il mistero non è l'oggetto descritto dalle parole, ma è nelle parole con cui lo si ascolta e lo si invoca. Non si tratta, evidentemente, di parole inventate dall'uomo, perché ogni realtà umana è impotente di fronte a Dio. Si tratta, invece, delle parole che Dio ci regala per poterlo invocare, pregare, ringraziare. Sono le parole conservate nella Scrittura e consegnate nella liturgia intesa come celebrazione in atto, come rito. La parola e la preghiera sono nel rito. Da ciò emerge che, propriamente parlando, non vi sono i riti e le preghiere, ma le preghiere nei riti. La connaturalità della preghiera al rito risiede nel fatto che nel rito la parola non è il semplice segno del pensiero umano, ma il simbolo del mistero divino, ossia la linfa della preghiera.
2. Il rito e i simboli del mistero
Il rito, naturalmente, è composto anche di gesti, immagini, colori, profumi, contatti. In altri termini, il rito è composto da tutte le principali forme espressive dell'uomo: la parola che entra nel rito, interagisce con tutte queste forme espressive e ne condivide la simbologia. Si realizza, così, un contesto che favorisce il coinvolgimento globale dell'uomo di fronte a Dio. La pertinenza del riferimento al rito, però, appare ancora più evidente se si tiene presente quanto si è detto sopra sull'evento. Non vi è evento se non là dove si incrociano l'azione e il tempo. A nessuno sfugge che anche il rito è fondamentalmente azione e tempo. E non un'azione e un tempo qualsiasi, ma un'azione di grazie, sacramentaria, divina, e un tempo straordinario, festivo, escatologico. Nel rito, la preghiera non è una semplice parola, un semplice suono, ma è un'azione e un tempo, una grazia e una festa, un'attesa e una speranza. Già sotto questo profilo, il rito è particolarmente congeniale al mistero inteso come evento storico-salvifico. Ma vi è di più. Il mistero è l'evento che coniuga azione e tempo secondo il disegno di Dio. In altri termini, il mistero è l'azione e il tempo che hanno come responsabile principale non l'uomo ma Dio. Anche il rito è azione e tempo caratterizzati dal primato di Dio. Il rito come l'evento sono sotto la responsabilità di Dio.
Tutto questo ci dice che il rito ha lo stesso volto del mistero: è la presenza del mistero nel susseguirsi delle generazioni. In modo del tutto particolare e unico, la celebrazione eucaristica è la presenza dell'evento pasquale nel susseguirsi delle generazioni. L'antica tradizione cristiana e la coscienza ecclesiale testimoniata dal documento sulla liturgia del concilio Vaticano II concordano nel riconoscere questo stretto legame tra l'evento e il rito, tra la pasqua e l'eucaristia. La pasqua è l'evento che prende, più di ogni altro, il nome di mistero; ma durante gli eventi pasquali, e prima del loro pieno realizzarsi nella morte-risurrezione, Cristo istituisce l'eucaristia, che merita lo stesso nome di mistero. Per questo possiamo parlare tanto di mistero pasquale quanto di mistero eucaristico: l'uso del medesimo termine (mistero) per dire entrambi (pasqua ed eucaristia) è la testimonianza più eloquente del nesso profondo tra mistero e rito. La comprensione del mistero è, quindi, per ritus et preces - o, come si è mostrato sopra, semplicemente per ritus - perché il rito è esso stesso mistero.
Giorgio Bonaccorso
«La chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede (fidei mysterio), ma che, comprendendolo bene per mezzo dei riti e delle preghiere (per ritus et preces), partecipino all'azione sacra consapevolmente, pienamente e attivamente» (Sacrosanctum concilium, 84).