Formazione Religiosa

Domenica, 20 Novembre 2005 20:16

In nome del dio profitto (Enrico Chiavacci)

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Occorre ripensare nelle sue radici l’annuncio morale cristiano sulla storia e sull’economia: il Concilio ha indicato con chiarezza la via, ma finora sembra che pochi se ne siano accorti o siano disposti a seguirla senza compromessi.

Il Concilio, con la teologia della Gaudium et Spes, ha fatto uscire la Chiesa da 4 secoli di visione privatistica della salvezza (la salvezza eterna di ogni singola anima) e dal conseguente orientamento restrittivo dell’ecclesiologia e della teologia. Vi è una salvezza, un traguardo escatologico per la famiglia umana e la sua storia (GS, 45). Indirizzare e accompagnare la famiglia umana verso tale traguardo è preciso compito della Chiesa: compito non esclusivo (lo Spirito soffia dove vuole), ma ineludibile, in quanto continuazione dell’opera salvifica di Cristo.

Non vi sono due storie: quella della salvezza e quella dell’umanità. La storia è storia di salvezza, è il lento e doloroso cammino della famiglia umana verso la pienezza del Regno, verso la sua trasformazione in famiglia di Dio (GS, 40). E il traguardo è la pace, la città di Dio in cui tutti si servono vicendevolmente nella carità (Agostino, De civitate Dei, XIV,28). Si tratta dunque di un cammino verso una logica globale di convivenza della famiglia umana intera, una logica che rispecchi l’Assoluto della vita trinitaria. Come il Figlio dell’Uomo è venuto per servire e non per essere servito, così nessun essere umano […] può pienamente realizzarsi, se non attraverso un dono sincero di sé (GS, 24).

Così il sociale [...] diviene campo di impegno e di primaria responsabilità morale per ogni cristiano (come per ogni uomo di buona volontà). La lotta per fare del mondo un luogo di autentica fraternità (GS, 37) durerà quanto dura la storia, e in essa il cristiano è inevitabilmente inserito [...] Così l’economia, e l’inserimento del cristiano nello studio e nell’attività economica, divengono inevitabilmente riflessione teologica ed etica. [...] Oggi vi è un unico sistema di strutture che governa la vita economica [...] Questa globalizzazione è per il cristiano qualcosa di auspicabile: ormai lo sguardo [...] si deve estendere alla famiglia umana considerata come un unico corpo sociale. La stessa idea tradizionale di bene comune deve intendersi come bene comune della famiglia umana. […] La domanda è se le attuali strutture consentano il miglioramento della qualità della vita di ogni essere umano ovunque sulla terra (cfr. GS, 77), per l’oggi e anche per il domani della storia umana (è qui la gravità del problema ecologico).

Oggi le strutture tradizionali dell’economia – produzione e distribuzione (mercato) – sono irreversibilmente globali. Oggi si produce per componenti: sia le 4-5 parti di una videocassetta, sia le 172.000 parti di un Airbus possono essere prodotte ciascuna in un luogo diverso della Terra, assemblate in un altro, commercializzate in un altro ancora. […]. Lo stesso avviene per il commercio e la distribuzione: si compra e si vende dove conviene. [...] Nessun Governo, pur potente che sia, può realmente governare produzione e mercato, se non con pochi strumenti (dazi, incentivi o disincentivi) deboli e destinati a sparire.

Tutto ciò è oggi possibile per l’avvento di nuove tecnologie. Due in particolare: la rivoluzione del silicio, e cioè elettronica e informatica, che consente trasmissione di dati, ordinativi, trasferimenti di denaro ecc.; una radicale trasformazione dei sistemi di trasporto merci … [tale per cui] l’incidenza del costo del trasporto per unità di prodotto è irrisoria. Queste due realtà tecniche sono irreversibili, e sono molto recenti […].

Ma dopo la rivoluzione del silicio si hanno due fenomeni altrettanto nuovi. Il primo fenomeno è l’inserimento massivo nella produzione del momento di ricerca e sviluppo […].Ciò richiede un enorme incremento del capitale necessario, e perciò una sempre maggiore concentrazione del capitale disponibile sulla faccia della Terra e della sua gestione, al di sopra delle teste di qualsiasi Governo o Stato.

Il secondo fenomeno: oggi non esiste più il capitalista-padrone. Tutto il denaro, comunque raccolto ovunque nel mondo, è gestito da società finanziarie, che a loro volta sono controllate da finanziarie di ordine superiore. In tal modo il mondo della finanza è completamente separato dal mondo della produzione. Una finanziaria trae profitto esclusivamente dal movimento del capitale (finanziario), e così il capitale si muove freneticamente da un capo all’altro della Terra, in tempo reale e non controllabile da nessun Governo, sempre e solo in cerca del massimo profitto finanziario. Se, cosa, per chi e come si produca non ha alcun interesse per i veri manovratori del capitale mondiale. Molte migliaia di miliardi di dollari si spostano ogni 24 ore, e sempre in cerca di massimizzazione del profitto privato, da cui è, per principio, esclusa ogni preoccupazione per il bene comune, per i reali bisogni dell’uomo. […]

[Ne risulta] un quadro spaventoso di una famiglia umana spaccata in due, in cui meno di 1/5 assorbe più di 4/5 delle risorse disponibili. Deve esser ben chiaro che ogni area di miseria ha caratteristiche diverse, e che ogni Governo ha una parte di responsabilità. Ma deve esser soprattutto ben chiaro che si tratta di una realtà strutturale, stabile, causata o mantenuta dalle strutture economiche globali […] Non esiste agenzia o progetto con sufficiente autorità per cambiare la tragedia che incombe sulla famiglia umana: chi potrebbe non ha nessun interesse a farlo, e chi vorrebbe non ha potere per farlo.

Dietro a tutto questo vi è la logica di massimizzazione del profitto finanziario privato che va perseguito a ogni costo […] Non si investe per soddisfare bisogni essenziali dell’uomo: investire per i poveri della Terra non dà tanto profitto quanto investire per i non-bisogni dei ricchi. Grandi corporations medicali rifiutano di investire in ricerca per le urgenze sanitarie dei poveri (malaria, tubercolosi, Aids), dichiarando esplicitamente che la ricerca non darebbe sufficiente ritorno finanziario (The Economist 14.8.99: Helping the world’s poorest). Meglio investire in armi, droga, alte tecnologie. Non si investe per creare occupazione, ma disoccupazione: con nuove macchine si riducono i costi del lavoro. Di norma nelle grandi Borse la notizia dell’aumento dell’occupazione crea crolli di azioni. Ogni cautela ecologica incide inevitabilmente sui profitti, e non offre sufficiente rapporto costi/benefici in tempi brevi. La tragedia della famiglia umana si andrà sempre più approfondendo. Solo da pochi anni alcuni liberisti più illuminati insistono su sanità e educazione per i poveri, ma la maggior parte degli economisti e la totalità degli operatori economici non ci pensano neppure.

Gravi sono le colpe della teologia cristiana, cattolica e protestante(soprattutto riformata nordamericana). Colpe della teologia sistematica, che si è occupata solo della salvezza delle singole anime dimenticando totalmente il cammino dell’umanità verso la pienezza del Regno. Colpe della teologia morale che si è fermata, a partire dal Catechismo Romano dopo il Concilio di Trento, al tema del non rubare: il vero tema della morale economica nel Vangelo è invece quello del significato che i beni terreni hanno nell’orizzonte di fede del cristiano. […] per i Padri e per Tommaso chi non dà del suo al bisognoso commette ingiustizia: è tanto ladro chi non soccorre il povero quanto chi ruba i beni altrui. Ancora oggi vi sono scuole di pensiero cattolico che sostengono essere il liberismo capitalistico attuale la miglior forma di attuazione del Vangelo, in quanto garante del personalismo e della libertà. […].

Oggi, nella situazione sopra illustrata, il capitalismo è inesorabilmente selvaggio: nessuna idea di bene comune può governarlo. La dottrina, anch’essa vecchia di oltre un secolo, della mano invisibiledel libero mercato è solo un paravento morale che copre una iniquità sostanziale: il libero mercato di dimensioni planetarie fra aree povere e aree ricche serve solo a arricchire i ricchi e impoverire i poveri. Se il povero vuole anche solo sopravvivere deve sottostare alle condizioni imposte dai ricchi: ed è appunto questa, fino ad oggi, la politica costante del Fondo Monetario Internazionale. […].

Occorre dunque ripensare nelle sue radici l’annuncio morale cristiano sulla storia e sull’economia: il Concilio ha indicato con chiarezza la via, ma finora sembra che pochi se ne siano accorti o siano disposti a seguirla senza compromessi. La logica della massimizzazione del profitto, quali che siano i costi umani che essa esige, unita allo pseudo-dogma del liberismo economico, sta ormai prevalendo a tutti i livelli. Dal livello finanziario è entrata al livello aziendale, al livello di proposta di politica economica per i governi, a livello personale. Ormai l’avere di più perché è di più, e non come possibile strumento per soddisfare ragionevoli bisogni nostri e altrui, sta diventando la regola suprema dei comportamenti privati. […].Non solo la ricchezza, ma l’arricchimento costante come fine a se stesso è diventato il nuovo idolo, il nuovo ideale di vita nei Paesi ricchi.

La teologia morale cattolica dell’ultimo secolo non ha saputo, o voluto, dir niente al riguardo; quella protestante americana, legata all’idea dell’arricchimento come segno di predestinazione, ha favorito tale tendenza. Per molti americani [...] se uno è povero lo è per propria colpa: circa 40 milioni di cittadini statunitensi poveri non godono di alcun diritto all’assistenza sanitaria. Si mira a ridurre al minimo le tasse per la salute per poter aumentare quelle per armamenti. In questo modo il liberismo economico sta divenendo liberismo sociale: nessuna preoccupazione per il bene comune […] lo Stato sociale è ormai irriso da molta stampa Usa come old style.

E molti cattolici si adeguano, col ridicolo pretesto della paura del comunismo. Ma nel Vangelo la ricchezza materiale non è vera ricchezza[…]. La ricchezza vera è Dio e l’avvento del suo Regno. Cercare prima il Regno di Dio e la sua giustizia è cercare la crescita di una convivenza umana di fraternità, di condivisione, di pace. Se la teologia non saprà leggere l’economia come vero luogo teologico, luogo in cui dobbiamo cercare – studiando con passione, piangendo e pregando – quale sia il progetto e la chiamata di Dio per noi qui oggi, la Chiesa avrà tradito la sua missione.

Enrico Chiavacci

(tratto da: In nome del dio profitto, in Jesus, 11, 1999)

 

Letto 2290 volte Ultima modifica il Giovedì, 07 Novembre 2013 15:59
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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