Premessa
Nei Vangeli (soprattutto Mc, il più antico) emergono 2 aspetti di fondo della vita di Gesù:
1) a un certo punto della sua vita, nella sua pienezza di uomo adulto, Gesù compì una scelta radicale e su questa impegnò sé stesso fino alla morte;
2) la sua vita pubblica fu essenzialmente un andare incontro alla gente e stare insieme alla gente a cui apparteneva: persone reali, comuni, con le cui situazioni concrete di vita egli si confrontava; ma nello stesso tempo non si stabilizzava in nessun ambiente, salvaguardava la sua libertà d'azione e la sua indipendenza (cosa, quest'ultima, che spesso si esprime come ricerca della solitudine, cosicché molte delle sue più intime esperienze rimasero sconosciute ai suoi stessi discepoli e momenti importanti anche della sua vita pubblica non poterono entrare nei Vangeli).
Quando si parla di Gesù (nelle omelie, nei commenti ai Vangeli, nella catechesi, nei libri che trattano di lui, ecc.) si tende a mettere al centro il suo messaggio, le sue parole o i suoi atti pubblici più significativi. Ma è altrettanto importante focalizzare l'attenzione sul suo modo di agire, sul suo "stile di vita": le forme culturali che egli pose a base della sua vita, le scelte con cui organizzava la sua esistenza e il suo sostentamento, la logica della sua azione, i modi con cui entrava in contatto con la gente e con le istituzioni. Il modo di agire di Gesù costituisce il centro della sua persona non meno del suo messaggio: il suo modo di vivere è il suo vero messaggio (= Gesù non è un'idea, è un modo di vivere).
Su un tema così ampio come lo stile di vita di Gesù, in questa sede possiamo solo tentare qualche sondaggio, delineare a titolo di esempio qualche ambito della sua vita pubblica in cui è possibile incontrarlo come uomo concreto, dunque capace di essere vicino anche alla concretezza della nostra vita di oggi. L'ambito che su cui qui propongo di riflettere è il camminare di Gesù come modo di andare incontro alla gente.
[Sullo "stile di vita" di Gesù, consiglio un libro importante e molto valido: A. Destro, M. Pesce, L'uomo Gesù. Giorni, luoghi, incontri di una vita, Milano (Mondadori) 2008. La trattazione proposta nel presente contributo si rifà al capitolo II di questo libro, pp. 42-58]
Una vita in movimento
Molta parte della vita pubblica di Gesù si svolse lungo le strade e i villaggi della Galilea.
[Non è possibile stabilire con certezza la durata dell'attività pubblica di Gesù. Nei Vangeli sinottici (Marco, Matteo, Luca) non ci sono indicazioni temporali che permettano di calcolare una durata di questa attività. Il Vangelo secondo Giovanni accenna a tre Pasque, l'ultima delle quali fu la Pasqua della sua morte; questo porta a ipotizzare una durata triennale (o meglio, di due anni interi e qualche mese) del ministero di Gesù. Assumendo come validi il dato desumibile da Lc sull'inizio del ministero (corrispondente al nostro 28 d.C.) e le tre Pasque accennate da Gv, si può ipotizzare una datazione per la predicazione pubblica tra il 28 e il 30 d.C.]
Gesù non fu un uomo di città, ma nemmeno l'abitante sedentario di un villaggio. Stando ai Vangeli, durante la sua vita pubblica scelse di vivere solo provvisoriamente e brevemente in ogni posto, spostandosi da luogo a luogo. Camminare era il suo modo per entrare in contatto con la gente. Questo stile di vita è un aspetto fondamentale per capire tutto il suo comportamento. L'attenzione deve concentrarsi sui motivi e sulle modalità dei suoi spostamenti (perché sugli itinerari effettivamente compiuti e sulla loro successione cronologica i Vangeli non permettono una ricostruzione, date le loro differenze nei quadri geografici dei suoi spostamenti).
Incertezza e precarietà
Ciò che incideva a fondo sulla storia di Gesù erano l'incertezza e la precarietà in cui viveva la sua esistenza. Il frequente spostamento da un luogo a un altro lo sottraeva alle regole istituzionali della convivenza sociale (es. i doveri famigliari e lavorativi di ogni giorno) e agli obblighi di obbedienza radicati localmente (verso il capo del nucleo domestico o verso un'autorità del villaggio).
Un individuo che ha scelto di non essere più implicato nelle attività lavorative e famigliari, si trova ad avere una base identitaria più debole, non più dettata dalla sua casa e dal suo lavoro; però, per contro, si trova immerso, nei posti in cui transita, in un reticolo di nuovi rapporti interpersonali e deve così costruire nuove prospettive e nuove possibilità.
Gesù creava nuove situazioni nei luoghi che raggiungeva e che attraversava. Quando giungeva in un nuovo villaggio, Gesù veniva probabilmente considerato un estraneo, perché non faceva parte del normale reticolo dei rapporti locali. Per lui non era solo questione di spaesamento, ma anche di necessità di costante riposizionamento: in ogni luogo doveva entrare in un nuovo orizzonte e in un nuovo sistema di relazioni (una cosa era, ad es., trovarsi in casa di Pietro a Cafarnao, tutt'altra cosa era essere ospitato in una casa della regione di Tiro). In quanto persona di passaggio, la sua identità e le sue prospettive non erano determinate dalle qualificazioni parentali, lavorative o religiose di provenienza; i suoi legami di origine saltavano.
Quest'assenza di un reticolo di relazioni preesistenti permetteva alla gente che egli incontrava una maggiore libertà di accogliere il suo messaggio e il suo stile di vita, ma anche di rifiutarli: Gesù portava da fuori novità che potevano essere attraenti ma era anche un estraneo che poteva essere mandato via senza conseguenze.
Attenzione: spiegare, come si fa spesso nelle omelie, l'accoglienza o il rifiuto del messaggio di Gesù con una motivazione religiosa (disponibilità o meno ad accettare una proposta morale o di fede) può essere limitante se non addirittura fuorviante. Queste reazioni, soprattutto il rifiuto, possono essere spiegate in molti casi con motivazioni di tipo "culturale", come comportamenti dettati da regole e dinamiche sociali che condizionavano l'agire della gente. L'arrivo di Gesù in un villaggio creava, anche solo per un giorno, uno spazio di esperienza inconsueta che andava a toccare l'esistenza locale consueta.
Una cosa essenziale di questo stile di vita di Gesù era che egli si sottrasse alla propria famiglia e al proprio villaggio, esponendosi a instabilità, incertezze e critiche. Egli si poneva contro la stabilità, scegliendo una vita che non si radicava in un tessuto sicuro e confortevole.
Anzitutto non organizzava la propria vita a partire da una propria residenza o abitazione. Sceglieva come sede certi luoghi, ma solo per brevi periodi, come basi temporanee: sembra, ad esempio, secondo il Vangelo di Marco, che a Cafarnao usasse una casa non sua, quella di Simone e Andrea, soggiornandovi brevemente (Mc 1,29; 9,33). Anche coloro che lo accompagnavano dovevano cercare ospitalità in ogni villaggio (Mc 6,10-11).
E' ben espresso in alcuni passi evangelici il desiderio di Gesù di non soffermarsi nei luoghi dove aveva già operato (Mc 1, 36-39; Lc 4,42-43). Agiva in Gesù l'urgenza di portare ovunque il suo messaggio: Marco sottolinea in molti punti del suo Vangelo il succedersi veloce degli spostamenti di Gesù e dei suoi discepoli per villaggi e campagne e lungo il lago di Galilea.
Non un nomade, non un viaggiatore, non un pellegrino
Nel mondo antico, e anche nella Palestina dei tempi di Gesù, esistevano vari tipi di attività itinerante: ad esempio, alcuni sapienti e filosofi che frequentemente si spostavano da un centro all'altro, mendicanti, vagabondi e sradicati di vario tipo, che si spostavano senza regole e senza fortuna. Un caso che può essere accostato a Gesù – ma che è stato poco considerato negli studi storici su Gesù – è quello degli artigiani itineranti, tra cui i carpentieri, alla cui categoria Gesù potrebbe essere appartenuto prima di diventare un predicatore: figure che, in una società come quella della Galilea del I secolo, avevano una certa mobilità perché il loro mestiere non poteva dare un adeguato sostentamento nel ristretto ambito di un solo villaggio.
Ma lo stile di vita itinerante che caratterizzò molta parte della vita pubblica di Gesù ha dei tratti particolari e originali, non accostabili ad altre esperienze di mobilità.
La vita itinerante di Gesù non è assimilabile a quella del nomade o del pastore transumante. Il nomadismo è vincolato a una forma di ricerca di risorse entro territori diversi ma conosciuti, la transumanza è un'oscillazione tra posti fissi: nomadi e transumanati sono legati a sistemi sociali che li ospitano. Un predicatore come Gesù, invece, transitava in località sempre nuove nelle quali non aveva una legittimazione: la gente poteva accoglierlo o rifiutarlo, ed egli poteva apparire un predicatore ispirato oppure essere considerato un impostore, e il suo spostarsi implicava valutazioni di accettabilità e compatibilità che il nomadismo o la transumanza non comportavano.
Altra differenza: per il nomade l'esperienza di un'abitazione resta fondamentale e, anche se l'abitazione è mobile, il rapporto con l'habitat circostante resta immutato; nei suoi spostamenti, invece, Gesù spezzò il legame tra abitazione e habitat: egli e i suoi discepoli nei loro spostamenti non avevano un'abitazione, neppure mobile, che fungesse da centro delle loro relazioni con l'ambiente.
Lo spostarsi di Gesù non è assimilabile al viaggio. Questo, che sia compiuto per curiosità o per ricerca o per attività economica, comporta partenza da un luogo di residenza ma anche il ritorno alla propria situazione abituale. Nella mobilità praticata da Gesù non si viaggiava per poi tornare a casa. Gesù non viaggiava, si spingeva avanti. Procedeva non per vedere luoghi ma per incontrare persone. E se voleva incontrarle, doveva spostarsi, perché è probabile che la gente dei piccoli villaggi di Galilea avesse una mobilità piuttosto limitata, essendo legata alla terra o al lago e perciò circoscritta al proprio ambiente locale. Chi voleva incontrare una popolazione rurale doveva spostarsi. E Gesù non attendeva che le persone andassero da lui, era lui a mettersi in cammino per incontrarle.
Lo spostarsi di Gesù non era neanche assimilabile al pellegrinaggio. Questo è un movimento verso un luogo in cui si cerca un contatto con il divino adatto a soddisfare uno scopo religioso, per poi tornare ai propri luoghi con un qualcosa di interiormente significativo. Ma Gesù non si muoveva per incontrare un luogo sacralizzato per ottenere un personale rinnovamento religioso o una nuova condizione interiore. Egli si sentiva portatore di parole e autore di gesti che procuravano una "salvezza", legata alla sua parola e non a qualcosa che stava in luoghi da raggiungere. Il pellegrino si sposta verso un santuario per incontrare il sacro, Gesù si spostava verso la gente per annunciare la volontà di Dio.
Certo, Gesù andò in pellegrinaggio a Gerusalemme, ma ciò che i Vangeli descrivono in relazione a questo sono gli atti tipici non della ricerca del contatto con il divino, ma di chi vuole portare un messaggio di cambiamento (oltre a mettere in pratica dei comandamenti). Recandosi a Gerusalemme, Gesù voleva compiere nel centro religioso della terra di Israele, nel Tempio, la propria missione, perché lì fosse pubblicamente riconosciuta.
La condizione di vita dell'itinerante
Per Gesù, condizione necessaria della vita itinerante era non avere come obiettivo una sicurezza su cui contare. La cosa traspare bene in una raccomandazione pressante rivolta ai discepoli:
Poi disse ai suoi discepoli: "Per questo io vi dico: non preoccupatevi per la vita, di quello che mangerete; né per il corpo, di quello che indosserete. La vita infatti vale più del cibo e il corpo più del vestito. Guardate i corvi: non seminano e non mietono, non hanno dispensa né granaio, eppure Dio li nutre. Quanto più degli uccelli valete voi! Chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? Se non potete fare neppure così poco, perché vi preoccupate per il resto? Guardate come crescono i gigli: non faticano e non filano. Eppure io vi dico: neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Se dunque Dio veste così bene l'erba nel campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, quanto più farà per voi, gente di poca fede (Lc 12, 22-28)
Le cose a cui ordinariamente si tiene di più (a cominciare da famiglia, proprietà e lavoro) non rappresentavano il centro di interesse del progetto e dello stile di vita di Gesù. Esse erano rimesse in discussione, relativizzate, private del loro carattere di necessità.
Era un distacco che non significava negazione o rifiuto dei luoghi, delle persone, delle attività familiari e lavorative, ma era un richiamo a un senso alto della vita: rinunciare al lavoro, ad esempio, significava affermare che lo scopo massimo della propria vita non è il guadagno, la sicurezza materiale per sé e per la propria famiglia. Questa scelta non comportava per Gesù la negazione di sentimenti e solidarietà comuni; era piuttosto un atto liberatorio per avvicinarsi di più alle persone e concentrarsi sui loro bisogni.
Insomma, Gesù sembrava vivere sotto un'esigenza: legittimare la propria esistenza senza partire dai presupposti o dal sostegno di una famiglia o di un gruppo sociale o di un lavoro; egli doveva dare fondamento da solo alle esperienze che attraversava e affrontava. Di volta in volta, nella sua vita, era una nuova posta in gioco che affiorava; erano sempre le sue risorse individuali, ciò che aveva a disposizione come persona, a dare senso a ciò che egli faceva.
La mobilità di Gesù aveva delle ricadute sugli ambienti da lui frequentati:
1) anche se la pratica dell'ospitalità era a quel tempo sentita come un dovere, accogliere lui e i suoi discepoli non era un atto dovuto (Gesù e i suoi non appartenevano a un'istituzione riconosciuta, verso cui tutti sapevano di avere degli obblighi) ed era un impegno gravoso (diverse persone da mantenere): era una decisione personale difficile, che implicava la disponibilità a un messaggio di rinnovamento privo di garanzie di credibilità istituzionale; significava esporsi a una novità e ai rischi ad essa connessi;
2) oltre che dal gruppo dei discepoli più stretti, lo spostarsi di Gesù era a volte accompagnato da un gruppo più numeroso che si muoveva in un quadro di piccoli centro abitati. L'arrivo in un villaggio faceva accorrere gente estranea dai luoghi circostanti, e questo poteva creare disagi per il villaggio;
3) nel seguito di Gesù c'erano anche donne (Lc 8,1-3) e accogliere un gruppo misto richiedeva una sensibilità e un'apertura mentale non da poco.
Il tempo dell'itinerante
Nel suo cammino Gesù attraversava la campagna, vivendo esperienze ordinarie in ambiente contadino e pastorale. I panorami che osservava vengono alla luce in alcuni suoi detti e parabole: camminava lungo campi di grano, vicino a fattorie, sotto alberi, lungo siepi, accanto a vigne, e si trovava spesso lungo le rive del lago.
Il camminare di Gesù determinava anche la sua percezione e organizzazione del tempo. Presumibilmente aspettava il sorgere della luce per iniziare a muoversi. Cominciava il suo cammino presto, in modo da raggiungere ogni giorno luoghi nuovi, per predicare nei villaggi o dove le persone talvolta si radunavano eccezionalmente per incontrarlo.
La sua presenza e la sua attività non erano previste nel consueto andamento giornaliero di una famiglia. Ma la sua predicazione si scontrava anche con gli orari del lavoro: in vari casi lungo la strada Gesù chiamò a seguirlo persone che stavano lavorando. Durante la permanenza nelle case non interrompeva la sua predicazione e la sua azione: continuava a insegnare, talora sconvolgendo il ritmo e le abitudini domestiche..
Ma il tempo di Gesù aveva anche momenti imprevedibili: il ritiro, la lunga preghiera in posti impervi, periodi di isolamento in territori oltre i confini.
La sua concezione del tempo era dominata dall'urgenza: bisognava abbandonare in fretta un luogo per raggiungerne un altro. Gesù tendeva sempre a spingersi oltre, aveva poco tempo, non poteva permettersi di perdere quello che gli rimaneva.
Solitudine e fuga
Lo spostarsi di Gesù implicava anche un ricorrente bisogno di cercare una via di scampo in luoghi solitari e appartati. Nella vicenda pubblica di Gesù quale appare dai Vangeli affiora infatti un'alternanza di situazioni tra essere "insieme" e "dentro" i villaggi e uscirne, tra rimanere vicino alla gente e starsene lontano, "nascosto" (Mc 7,24) o "in disparte" (Mc 6,30-32). Un doppio andamento che era una caratteristica della vita itinerante di Gesù e scandiva fasi di una vicenda che per il suo ritmo non era uniforme ed era, anzi, imprevedibile.
Questo aspetto della vicenda di Gesù appare soprattutto nei Vangeli di Marco e Giovanni, che segnalano come Gesù spesso si ritirasse in luoghi segreti e isolati per sottrarsi alla pressione delle folle e anche all'assalto pericoloso dei suoi avversari. E lo faceva in modi diversi: a volte si appartava da solo, altre volte con i suoi seguaci (es. Mc 3,7) o con i più vicini tra questi (es. Mc 3,17-18; 9,2). Soprattutto il Vangelo di Giovanni afferma in diverse occasioni che egli fuggiva per proteggersi dai nemici che volevano catturarlo (es. Gv 7,1; 8,59); ma anche Marco sembra parlare di un ritiro di Gesù per sfuggire a coloro che volevano farlo morire (Mc 3,6-7). Certi momenti di isolamento sembrano, insomma, essere stati decisi proprio in situazioni di contrasti o di condizioni rischiose.
Una cosa però è la fuga per mettersi in salvo, tutt'altra cosa è il ricorso all'isolamento per salvaguardare la propria individualità e cercare concentrazione dentro di sé. Gesù cercava di rafforzare le proprie certezze rifugiandosi nella sua interiorità, isolandosi per poter pregare e comunicare con Dio. Emblematico, in questo senso, è il passo di Mc 1,36-39:
Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: "Tutti ti cercano!". Egli disse loro: "Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!". E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.
La preghiera precedeva l'azione. Prima di spostarsi, Gesù sfuggiva alla compagnia anche dei suoi per pregare: se volevano trovarlo, dovevano scoprire il luogo in cui si era isolato. Marco mette in rilievo questo comportamento come un elemento caratteristico del modo di agire di Gesù, che dimostra quanto egli fosse consapevole della sua diversità, in particolare del suo bisogno di collocarsi in uno spazio e in un tempo propri. Un gesto, questo, che però non stabiliva una separazione: interporre spazio e silenzio tra sé e il proprio ambiente esprimeva la volontà di una ricerca personale intensa, non condivisibile con chiunque ma diretta a beneficio di tutti.
Il fatto è che la fama che aveva cominciato a circondare Gesù in certe zone della Galilea non giocava sempre a suo favore: talvolta o spesso, lo costringeva a spostarsi, a prendere altre strade subito dopo aver parlato o compiuto atti prodigiosi. Non era solo un ritirarsi dalla scena, ma una misura di prudenza che lo portava a modificare i suoi rapporti con luoghi e persone. Sembra che in certi casi Gesù imponesse il silenzio su ciò che faceva [spesso si è cercata una risposta solo teologico-religiosa al silenzio imposto da Gesù nel Vangelo di Marco e si è parlato del "segreto messianico" nei Vangeli; non lo si nega, ma bisogna anche considerare l'aspetto concreto dell'itineranza di Gesù come ambito in cui egli si trovò, talvolta o spesso, anche a dover gestire la scelta del sottrarsi e del tacere], ma la sua fama si diffondeva ugualmente e faceva crescere il peso di fatti e situazioni che lo condizionavano e delle reazioni alla sua azione. Tipico l'episodio raccontato in Mc 1,40-45:
Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: "Se vuoi, puoi purificarmi!". Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: "Lo voglio, sii purificato!". E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: "Guarda di non dire niente a nessuno; va', invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro". Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.
I luoghi dei prodigi compiuti da Gesù potevano diventare per lui inospitali. Egli non poteva controllare le reazioni e le risposte che la sua azione provocava, era esposto agli eventi come si verificavano. Ma poteva scegliere propri spazi in cui operare o rifugiarsi. La solitudine era ineliminabile, perché solo essa gli permetteva di chiarire a se stesso lo scopo profondo della sua missione. Così Gesù in certe circostanze era un solitario, in altre un maestro che si rivolgeva alla gente. In sostanza la sua esperienza religiosa si muoveva tra due poli: l'attenzione alla gente e la concentrazione sulla propria interiorità.
C'è un aspetto in più da chiarire sull'isolarsi di Gesù. Uno come lui, che aveva rotto i legami con quelle radici che di solito costruiscono la base della persona (la famiglia, la casa, la residenza, il lavoro, i beni) doveva trovare un fondamento della propria individualità, e non poteva che cercarlo in uno spazio "altro", nella solitudine e non in un gruppo di persone. Rinunciando all'isolamento come fondamento della propria personalità, Gesù si sarebbe smarrito. Era un uomo che insisteva sulla propria autonomia, per essere pienamente libero nell'incontro con gli altri.
Da ciò un aspetto essenziale della sua originalità: il suo modo di presentarsi, sradicato e marginale, non inserito nelle strutture della società, senza un'organizzazione strutturata per la diffusione del suo messaggio, gli permetteva di rendersi presente con semplicità là dove la gente viveva e si riuniva, una pratica di vita che rendeva possibile a Dio di intervenire.