Se accanto a Paolo le donne – come si è visto negli esempi illustrati nei precedenti contributi sul tema "Donne in prima fila nelle più antiche comunità cristiane" (Lidia, Febe, Giunia, Priscilla) – hanno avuto spazio e importanza nell'impegno di evangelizzazione, perché lo si accusa di maschilismo, di misoginia? E' infatti opinione molto radicata, quasi un luogo comune, anche nell'ambito della cultura cattolica, che Paolo, se non proprio affetto da una componente pronunciata di antifemminismo, avesse come minimo scarsa stima e diffidenza nei confronti delle donne.
L'accusa è sollevata a partire da diversi testi dell'epistolario paolino, principalmente 1Cor 11,2-16 (sugli atteggiamenti esteriori di uomo e donna nella preghiera e profezia), 1Cor 14,33b-38 (sul silenzio della donna nell'assemblea), Ef 5,22-33 e Col 3,18 (sulla sottomissione delle mogli ai mariti), 1Tm 2,8-15 (sul silenzio e la sottomissione della donna).
Su questi testi occorre fare due precisazioni preliminari:
1) solo i primi due (da 1Cor) sono da mettere sul conto di Paolo, mentre gli altri non sono opera sua. Infatti Ef e Col appartengono al gruppo delle lettere "deuteropaoline" (Ef, Col, 2Ts) e 1Tm appartiene al gruppo delle "lettere pastorali" (1 e 2Tm, Tt): testi che oggi la maggior parte degli studiosi ritiene scritti, alcuni o parecchi anni dopo la morte di Paolo, da suoi discepoli o da altri esponenti della "tradizione paolina" e che riflettono preoccupazioni pastorali e dottrinali di un'epoca successiva a quella della missione di Paolo;
2) anche nei testi autenticamente paolini ci sono dei passi in cui nel corso del tempo gli interpreti, condizionati da certa mentalità del loro tempo o da pregiudizi, hanno voluto vedere cose che in realtà non ci sono o sono ben diverse.
Esaminiamo perciò i due casi tratti da una lettera sicuramente attribuibile a Paolo, cominciando da: