Dal 111 al 113 d.C. Plinio il Giovane (61-113 d.C.) fu governatore della Bitinia e del Ponto. La sua opera maggiore è una raccolta di epistole. Nell'ultimo libro della raccolta sono contenute le 123 lettere scritte durante il suo mandato in Bitinia; tra queste ce n'è una (lettera 96) in cui Plinio informa l'imperatore Traiano riguardo ai processi ai cristiani e contiene alcune domande sulla giusta procedura da seguire in quei processi; la seconda (lettera 97) è la risposta di Traiano.
Nella lettera 96 Plinio informa che durante il periodo in cui fu governatore della Bitinia si svolgevano processi contro i cristiani. Da quanto scrive Plinio, i cristiani venivano condannati per il solo fatto di aderire a questa religione, definita come una "superstizione perversa e smodata" (superstitionem pravam et immodicam), in linea con il pensiero degli intellettuali romani del periodo. Apprendiamo dalla lettera che i cristiani si rifiutavano di venerare l'immagine dell'imperatore (reato di laesa maiestas) e non riconoscevano gli dei romani (sacrilegium): questi erano i motivi per cui venivano condannati, quando in aggiunta non avevano commesso altri reati; il popolo infatti attribuiva ai cristiani un certo numero di azioni abominevoli, contrari al costume, quali incesto, infanticidio, stregoneria, probabilmente a causa della ignoranza delle idee e dei riti cristiani.
La richiesta principale che Plinio inoltra a Traiano è se sia punibile un cristiano solo per la sua appartenenza ad una setta considerata una superstizione e invisa sia a gran parte della popolazione comune che della classe dirigente e intellettuale romana, oppure se occorrano delle prove che dimostrino concretamente che i cristiani su cui è in corso il processo hanno effettivamente violato le leggi romane. Per i cristiani che avevano commesso simili reati e non rinnegavano Cristo era prevista la pena di morte. Plinio informa anche che diversi cittadini romani avevano aderito alla nuova religione: per questi non era prevista la pena capitale, ma venivano condotti a Roma.
La risposta di Traiano a Plinio, nella lettera 97, conferma la repressione per i cristiani, che comunque non dovevano essere ricercati dalle autorità ma processati solo se denunciati da qualcuno dalle autorità.
La due lettere sono la prova che fino a quel momento non esistevano particolari provvedimenti contro i cristiani, altrimenti Plinio non avrebbe sentito la necessità di rivolgersi a Traiano, avendo a disposizione una legge sulla quale basarsi.
Lettera di Plinio il Giovane all'Imperatore Traiano (lettera 96 del libro X dell'Epistularum):
E' per me un dovere, o signore, deferire a te tutte le questioni in merito alle quali sono incerto. Chi infatti può meglio dirigere la mia titubanza o istruire la mia incompetenza? Non ho mai preso parte ad istruttorie a carico dei Cristiani; pertanto, non so che cosa e fino a qual punto si sia soliti punire o inquisire. Ho anche assai dubitato se si debba tener conto di qualche differenza di anni; se anche i fanciulli della più tenera età vadano trattati diversamente dagli uomini nel pieno del vigore; se si conceda grazia in seguito al pentimento, o se a colui che sia stato comunque cristiano non giovi affatto l'aver cessato di esserlo; se vada punito il nome di per se stesso, pur se esente da colpe, oppure le colpe connesse al nome.
Nel frattempo, con coloro che mi venivano deferiti quali Cristiani, ho seguito questa procedura: chiedevo loro se fossero Cristiani. Se confessavano, li interrogavo una seconda e una terza volta, minacciandoli di pena capitale; quelli che perseveravano, li ho mandati a morte. Infatti non dubitavo che, qualunque cosa confessassero, dovesse essere punita la loro pertinacia e la loro cocciuta ostinazione. Ve ne furono altri affetti dalla medesima follia, i quali, poiché erano cittadini romani, ordinai che fossero rimandati a Roma. Ben presto, poiché si accrebbero le imputazioni, come avviene di solito per il fatto stesso di trattare tali questioni, mi capitarono innanzi diversi casi.
Venne messo in circolazione un libello anonimo che conteneva molti nomi. Coloro che negavano di essere cristiani, o di esserlo stati, ritenni di doverli rimettere in libertà, quando, dopo aver ripetuto quanto io formulavo, invocavano gli dei e veneravano la tua immagine, che a questo scopo avevo fatto portare assieme ai simulacri dei numi, e quando imprecavano contro Cristo, cosa che si dice sia impossibile ad ottenersi da coloro che siano veramente Cristiani.
Altri, denunciati da un delatore, dissero di essere cristiani, ma subito dopo lo negarono; lo erano stati, ma avevano cessato di esserlo, chi da tre anni, chi da molti anni prima, alcuni persino da vent'anni. Anche tutti costoro venerarono la tua immagine e i simulacri degli dei, e imprecarono contro Cristo.
Affermavano inoltre che tutta la loro colpa o errore consisteva nell'esser soliti riunirsi prima dell'alba e intonare a cori alterni un inno a Cristo come se fosse un dio, e obbligarsi con giuramento non a perpetrare qualche delitto, ma a non commettere né furti, né frodi, né adulteri, a non mancare alla parola data e a non rifiutare la restituzione di un deposito, qualora ne fossero richiesti. Fatto ciò, avevano la consuetudine di ritirarsi e riunirsi poi nuovamente per prendere un cibo, ad ogni modo comune e innocente, cosa che cessarono di fare dopo il mio editto nel quale, secondo le tue disposizioni, avevo proibito l'esistenza di sodalizi. Per questo, ancor più ritenni necessario l'interrogare due ancelle, che erano dette ministre, per sapere quale sfondo di verità ci fosse, ricorrendo pure alla tortura. Non ho trovato null'altro al di fuori di una superstizione balorda e smodata.
Perciò, differita l'istruttoria, mi sono affrettato a richiedere il tuo parere. Mi parve infatti cosa degna di consultazione, soprattutto per il numero di coloro che sono coinvolti in questo pericolo; molte persone di ogni età, ceto sociale e di entrambi i sessi, vengono trascinati, e ancora lo saranno, in questo pericolo. Né soltanto la città, ma anche i borghi e le campagne sono pervase dal contagio di questa superstizione; credo però che possa esser ancora fermata e riportata nella norma.
Plinio sottolinea alcune peculiarità che contraddistinguevano i cristiani di quel periodo (siamo intorno al 112 d.C.):
1) I cristiani erano soliti riunirsi prima dell'alba e intonare un inno a Cristo.
2) I cristiani si riunivano per prendere parte ad una celebrazione che prevedeva la consumazione di un cibo comune.
3) Due donne furono trovate da Plinio come "ministre" (lat. ministrae), probabilmente avevano un ruolo di rilievo nelle celebrazioni.
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"Donne in prima fila nelle Comunità Cristiane"