La conclusione del Vangelo di Mt attribuisce a Gesù risorto un esplicito mandato di evangelizzazione universale agli Undici discepoli (Mt -28, 16-20). Un simile invito ad essere testimoni di Gesù "in lutto il mondo" è all'Inizio di Atti (At 1,8).
Anche se tra il II e lII secolo d.C. alcuni scritti apocrifi attribuiscono a ognuno dei "Dodici" una missione in zone diverse del mondo extra palestinese, si tratta di racconti leggendari. Stando invece ad At, testo più vicino degli apocrifi alla generazione apostolica, solo di Pietro tra i "Dodici" si racconta che sia andato fuori della Palestina e abbia fatto dei viaggi missionari, mentre non si può dire la stessa cosa per gli altri. Fu piuttosto il gruppo degli "ellenisti" a compiere i passi decisivi che portarono all'apertura evangelizzatrice ai pagani.
Perché non da parte dei "Dodici"?
-L'esperienza di Gesù risorto avuta dai Dodici poteva certamente essere intesa come incarico di far conoscere ciò che Dio aveva fatto a favore di Gesù crocifisso; tuttavia è difficile che i Dodici lo abbiano inteso come esplicito comando di evangelizzazione universale. Quest'ultimo per come è riferito in Mt 28 e At-1 (testi, è bene ricordare, scritti intorno all'80 d.C., cioè 50 anni dopo la vicenda terrena di Gesù) riflette una missione a vasto raggio ormai avviata da parecchi anni; ma non è detto che i Dodici subito dopo l'esperienza del Risorto fossero consapevoli di una predicazione da rivolgersi a tutti, ebrei e pagani. Si pensi, ad esempio, al fatto che quando Pietro battezzò il "centurione Cornelio e la sua famiglia," lo fece solo dopo aver avuto l'esperienza di un intervento divino, e, dovendo giustificarsi di fronte agli "apostoli" e ai "fratelli" per essere stato in casa di non ebrei, lo fece richiamandosi a una visione avuta, e non a un comando di evangelizzare e battezzare tutte le genti dato da Gesù risorto (che sarebbe stato un motivo indiscutibile).
- lnoltre l'esempio stesso di Gesù non dovette apparire, almeno nei primissimi tempi, come una spinta a evangelizzare i pagani. Gesù aveva "rispettato il privilegio storico salvifico di Israele come popolo di Dio: certo il concetto di "regno di Dio" era aperto ad accogliere tutti e Gesù aveva accolto singoli pagani che lo cercavano; tuttavia Gesù intendeva I'inclusione dei pagani nel regno di Dio nel senso della promessa profetica del pellegrinaggio dei popoli verso Sinai nel tempo finale (es. ls 60). Per questo probabilmente i Dodici consideravano loro compito offrire anzitutto a Israele la nuova possibilità di salvezza fondata sulla morte e risurrezione di Gesù.
La primitiva comunità di Gerusalemme
Già nei primissimi anni dopo la vicenda terrena di Gesù (nei primi anni '30 del I secolo d.C.) si formarono gruppi di credenti in Gesù messia in Galilea e in Giudea (= le "comunità primitive", le basi cristiane iniziali in Palestina); tra questi la comunità di Gerusalemme fu senz'altro la prima.
Essa verosimilmente si formò quando i Dodici con altri seguaci di Gesù tornarono a Gerusalemme dopo essersene allontanati con la morte di Gesù. La sequenza essenziale di quelle vicende può essere stata la seguente:
1) ritenendo la crocifissione di Gesù come la fine delle speranze riposte in lui, i discepoli ritornarono alle loro case nei paesi della Galilea;
2) Gesù risorto si fece vedere in diverse occasioni a più discepoli. Il brano di Paolo 1 Cor 15,5-7 centìene una tradizione prepaolina (quindi assai precedente agli anni intorno al 55, quando fu scritta 1 Cor) che conosce più "cristofanie'':
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Prima quella a Kefa (Pietro) probabilmente da solo e quella ai Dodici dopo che Pietro verosimilmente aveva radunato in Galilea altri condiscepoli;
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poi le apparizioni "a più di 500 fratelli in una sola volta",
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poi a Giacomo fratello di Gesù (che prima ne era lontano) e a "tutti gli apostoli";
3) dopo questi eventi rivelatori ("apparizioni") i Dodici e altri seguaci di Gesù tornarono a Gerusalemme, formando questa comunità cristiana primitiva.
Questa comunità non era però un'entità uniforme, essa comprendeva essenzialmente due gruppi di ebrei che avevano accolto la fede in Gesù messia:
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i "giudeo-cristiani": rappresentati soprattutto dai Dodici e da Giacomo, erano ebrei di lingua "aramaica;
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gli "ellenisti": ebrei di lingua greca della diaspora, che avevano vissuto in città pagane fuori della Palestina e che erano ritornati a Gerusalemme.
Gli ellenisti avevano premesse ben diverse da quelle dei Dodici: provenendo da luoghi della diaspora, erano consapevoli che la maggior parte dell'umanità era pagana, e questo potrebbe aver risvegliato presto in loro I'interrogativo se il messaggio di Gesù dovesse valere solo per Israele (mantenendo quindi la Legge come via di salvezza); probabilmente alcuni di loro assunsero un atteggiamento critico sull'interpretazione della legge e sul culto nel Tempio. Questa critica, ritenuta una provocazione inaudita contro la-sacra Istituzione del santuario ebraico: scatenò una dura reazione: Stefano uno "dei rappresentanti degli "ellenisti", fu vittima di un linciaggio e i principali esponenti del gruppo furono cacciati da Gerusalemme, mentre i Dodici e la comunità radunata attorno a loro per il momento rimasero indisturbati.
L'espulsione degli "ellenisti" portò alla fondazione di comunità cristiane fuori Gerusalemme e in territorio non giudaico: a uno di loro, Filippo, è Iegato il ricordo di una missione tra i samaritani (At 8) e un'attività in città costiere da Gaza a Cesarea; da altri "ellenisti" furono fondate comunità lungo la costa del Mediterraneo attraverso la Fenicia fino in Siria ad Antiochia (terza città dell'impero romano, mezzo milione di abitanti). Qui operarono quei "profeti" ricordati in At -13, 1, alcuni dei quali erano probabilmente degli "ellenisti" espulsi da Gerusalemme, e tra essi Barnaba.
Queste fondazioni di comunità avvennero probabilmente abbastanza presto (intorno alla metà degli anni '30); con esse la decisione di fondo di aprire l'annuncio cristiano ai pagani era ormai applicata.
Il significato missionario di Antiochia
La prima comunità cristiana di Antiochia comprendeva cristiani provenienti dal giudaismo e cristiani provenienti dal paganesimo. Qui i credenti in Gesù per la prima volta ebbero la designazione di "cristiani" (At 11,26); cosa che può essere spiegata in due modi:
1) non furono loro a definirsi così, ma furono degli estranei, probabilmente dei non ebrei non informati sul vero significato dì "Christòs" (titolo che designava un incarico divino: "l'unto da Dio", il "messia) che lo ritennero un nome proprio e cominciarono a parlare der "chrìstianoi" come dei "seguaci di Christòs";
2) furono gli stessi seguaci di Gesù a darsi il nome di "cristiani", volendo con ciò affermare la loro forte convinzione di non essere solo seguaci, ma "appartenenti" a Cristo (il termine christianòs infatti è piuttosto singolare, formato com'è aggiungendo al termine greco Christòs il suffisso latino -ianus: costruzione inconsueta in greco, riscontrabile solo in termini che esprimono l'idea di appartenenza a colui al cui nome è aggiunto il suffisso);
In ogni caso ad Antiochia i cristiani cominciarono ad essere riconosciuti come un gruppo autonomo, e se non vennero confusi con dei giudei è perché tra loro erano sempre più numerosi gli ex-pagani;
Il significato della comunità cristiana di Antiochia per la diffusione del messaggio di Gesù fu più rilevante di quanto lascia trapelare il racconto di At: essa divenne, accanto a Gerusalemme, un secondo centro cristiano, che sviluppò un'attività missionaria a vasto raggio. E in questo un ruolo fondamentale fu svolto da Paolo.
Sui primi tempi della sua azione come seguace di Gesù abbiamo pochi dati diretti, costituiti da passi di alcune sue lettere (tutte successive al 50 d.C.) in cui egli fa riferimenti alla sua vita. Il brano più importante in questo senso è Gal 1,13-24: egli afferma che dopo la "conversione" non andò subito a Gerusalemme, ma cercò per circa tre anni di fare opera missionaria nella regione dei Nabatei, a sud-est di Damasco; ma poiché si trovò perseguitato, fuggì da Damasco e andò a Gerusalemme, dove incontrò Kefa e si fermò per 15 giorni; poi si recò per più di un quindicennio "nei territori della Siria e della Cilicia", dove continuò la sua opera missionaria fino al Concilio degli apostoli, avendo come punto di partenza Antiochia.
Apertura ai pagani e reazione dei giudeo-cristiani integralisti
Gli "ellenisti" nella loro opera di evangelizzazione non obbligavano i cristiani provenienti dal paganesimo a rispettare le Ieggi giudaiche rituali e di purificazione, tra cui la circoncisione degli uomini. Ma ciò provocò la reazione di alcuni gruppi di giudeo-cristiani rigorosi e integralisti (i "giudaizzanti"), che erano convinti che la via della salvezza dovesse includere l'osservanza di tutta la legge mosaica. Le comunità cristiane vennero 'cosi a trovarsi in una seria crisi, che richiedeva una decisione di fondo.
Conosciamo la questione per come si manifestò nella comunità di Antiochia. Qui, verso Ia fine degli anni 40, giunsero da Gerusalemme dei giudeo-cristiani rigorosi che chiesero la circoncisione per, i cristiani convertiti dal paganesimo, mettendo così in discussione la libertà "pastorale" della comunità cristiana antiochena e tutta I'opera missionaria degli ellenisti tra i pagani; per far prendere una decisione su questo scottante problema, la comunità di Antiochia mandò alla comunità-madre di Gerusalemme Paolo e Barnaba. Le trattative avvennero tra vivaci discussioni, ma il contrasto sembrò risolto nel corso di un'assemblea grazie alla mediazione di Giacomo fratello di Gesù (figura di grande prestigio nella comunità giudeo-cristiana di Gerusalemme). L'episodio è raccontato, con alcune divergenze, da Paolo (Gal 2,1-14) e da Luca(At 5,1-21).
• At 15 affronta due problemi diversi relativi alla missione ai gentili (circoncisione o no per gli ex-pagani convertiti a Gesù e osservanza di regole di purità per la convivenza tra cristiani di origine giudaica e pagana) e li presenta come discussi nel corso della stessa assemblea di Gerusalemme (nota come "concilio degli apostoli");
• in Gal 2 Paolo tiene distinti i due problemi e assegna all'assemblea di Gerusalemme solo la discussione del primo, mentre il secondo viene dibattuto in riferimento al cosiddetto "incidente di Antiochia".
Nella comunità di Gerusalemme, e in particolare presso i suoi capi (sono citati Giacomo fratello di Gesù, Pietro e Giovanni), le posizioni sul problema non erano così radicali come quelle sostenute dai giudeo-cristiani integralisti giunti ad Antiochia, e si poté giungere a una soluzione di compromesso:
• secondo Gal 2, essa prevedeva:
- il riconoscimento da parte del gruppo dirigente di Gerusalemme della legittimità della missione antiochena "alle genti" senza l'imposizione della circoncisione e dell'obbligo dell'osservanza della legge mosaica;
- il riconoscimento da parte di Paolo e Barnaba della legittimità della missione ai giudei con il mantenimento dell'obbligo delle osservanze;
• secondo At 15 il problema della circoncisione venne invece risolto sulla base di un intervento di Pietro che appare in linea con la prospettiva di Paolo, conformemente alle esigenze armonizzatrici di Luca (che si sforza di stemperare i conflitti).
Questa decisione, che diede , ufficialmente via libera alla missione tra i pagani svincolata dalla legge ebraica, fu senza dubbio una delle scelte più importanti della Chiesa antica; però non aveva risolto i problemi legati alla convivenza tra giudeo-cristiani e pagano-cristiani: si potevano determinare dei contrasti anche accesi quando i giudeo-cristiani (che, pur accettando la non circoncisione dei pagano-cristiani, ritenevano però necessarie le regole di purità) si fossero trovati nella situazione di cui si ebbe un esempio ad Antiochia (il cosiddetto "incidente-di Antiochia": Gal 2,11 ).
Pietro fu per qualche tempo ad Antiochia (non si sa esattamente quando e per quale motivo) e qui dapprima non ebbe problemi a unirsi alla mensa comune tra pagano-cristiani e giudeo-cristiani, passando sopra alle prescrizioni giudaiche di purità; ma quando alcuni giudeo-cristiani rigorosi chiesero di osservare le prescrizioni giudaiche circa i cibi, Pietro e altri tra cui Barnaba si ritirarono dalla mensa comune, facendo arrabbiare Paolo. Fu probabilmente in seguito a questo che, in un'occasione a noi sconosciuta; fu emanato il cosiddetto "decreto degli apostoli" (che l'autore di At, mancando forse di informazioni precise, riporta come una disposizione supplementare del concilio degli apostoli) con cui, i giudeo-cristiani richiesero ai pagano-cristiani di rispettare almeno qualche regola d'ambito giudaico: astenersi dalle carni sacrificate agli idoli, dal sangue degli animali soffocati e dai disordini sessuali.
L'insistenza dei giudeo-cristiani integralisti continuò però ancora, anche in territori lontani dalla Palestina. Ne abbiamo un esempio nella vicenda che provocò Paolo a scrivere la lettera i Galati (tra 53 e 54 d.C.): un gruppo di zelanti giudeo-cristiani arrivò in Galazia, riuscendo quasi a convincere la comunità fondata da Paolo a tornare a pratiche giudaiche; Paolo sentì di dover intervenire con molta decisione, scrivendo con toni duri ai Galati per ricordare loro che la salvezza si ottiene non in base alle opere della legge ma con la fede nell'azione di Dio in Gesù.
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