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Domenica, 11 Agosto 2019 16:47

"La stola e il grembiule"

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Riflessioni

Giorgio De Stefanis


Siamo in un periodo nel quale ostentare (rispetto agli altri) ricchezza, conoscenza, potere, superiorità, stile di vita, la disponibilità di "amicizie altolocate" ... alle quali potersi rivolgere in caso di "necessità" è diventata una cosa normale.

Tutti potremmo, giustamente, dire che sono cose che sono sempre accadute negli anni passati, ... nei millenni passati!, ma purtroppo vi è una sostanziale differenza di fondo.

Oggi vi sono corsi universitari, corsi di formazione aziendale che insegnano come scientemente si possono ottenere questi risultati.

Tutto è iniziato con l'uso distorto del marketing nei confronti dei prodotti da vendere. Lo schema si è capovolto, non ci si chiede più "di cosa ha bisogno il consumatore?", ma "io (eventualmente i miei soci) voglio fare soldi, devo trovare un prodotto per il quale creare un'immagine adeguata, affinchè molta gente si senta gratificata nel comprarlo, e possibilmente, ripetutamente. Il soggetto sono diventato "io" e non "cosa ha bisogno realmente la gente, tenendo conto anche delle conseguenze etiche, ecologiche, sociali, ...

Lo stesso accade per politici, manager, finanzieri. Si creano, con il proprio comportamento, l'immagine che ritengono utile al proprio "cammino", al curriculum che divulgano e ... via!

L'unico rischio è quello che coloro che si sono scelti un'immagine troppo diversa dalla loro realtà finiscono in cura dallo psicologo. Ma questo viene considerato un rischio marginale.

La "prova" di fine corso è quella di entrare in un bar affollato, passando davanti a tutti, ma senza provocare reazioni!


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Per quanto detto penso che rileggere le parole di Tonino Bello sia un dono!



"Forse a qualcuno può sembrare un’espressione irriverente, e l’accostamento della stola con il grembiule può suggerire il sospetto di un piccolo sacrilegio. Sì, perché, di solito, la stola richiama l’armadio della sacrestia, dove, con tutti gli altri paramenti profumata d’incenso, fa bella mostra di sé con la sua seta e i suoi colori, con i suoi simboli e i suoi ricami. Il grembiule, invece, ben che vada, se non proprio gli accessori di un lavatoio, richiama la credenza della cucina, dove, intriso di intingoli e chiazzato di macchie, è sempre a portata di mano della massaia. Eppure è l’unico paramento sacerdotale registrato dal Vangelo. Il quale Vangelo, per la Messa solenne celebrata da Gesù nella notte del Giovedì Santo non parla né di casule né di amitti, né di stole né di piviali, parla solo di questo panno rozzo che il maestro si cinse ai fianchi con un gesto squisitamente sacerdotale. La cosa più importante, comunque, non è introdurre il grembiule nell’armadio dei paramenti, ma comprendere che la stola e il grembiule sono quasi il diritto e il rovescio di un unico simbolo sacerdotale. Anzi, meglio ancora, sono come l’altezza e la larghezza di un unico panno di servizio; il servizio reso a Dio e quello offerto al prossimo.

«Si alzò da tavola»: l’Eucarestia non sopporta la sedentarietà. Non tollera la siesta, non permette l’assopimento della digestione. Ci obbliga ad un certo punto ad abbandonare la mensa, ci sollecita all’azione, ci spinge a lasciare le nostre cadenze troppo residenziali per farci investire in gestualità dinamiche missionarie il fuoco che abbiamo ricevuto. Ma «Si alzò da tavola» significa un’altra cosa molto importante. Significa che gli altri due verbi «depose le vesti» e «si cinse i fianchi con l’asciugatoio» hanno valenza di salvezza solo se partono dall’Eucaristia. Se prima non si è stati a tavola, anche il servizio più generoso reso ai fratelli rischia l’ambiguità, nasce all’insegna del sospetto, degenera nella facile demagogia, e si sfilaccia nel filantropismo faccendiero, che ha poco o nulla a che spartire con la Carità di Gesù Cristo.

Ed eccoci all’immagine che mi piace intitolare «la Chiesa del Grembiule». Sembra un’immagine un tantino audace, discinta, provocante. Una fotografia leggermente scollacciata di Chiesa. Di quelle che non si espongono nelle vetrine per non far mormorare la gente e per evitare commenti pettegoli, ma che tutt’al più si confinano in un album di famiglia, a disposizione di pochi intimi, magari delle signore che prendono il tè con le quali soltanto è permesso sorridere su certe leggerezze d’abbigliamento o su certe pose scattate in momenti d’abbandono. «La Chiesa del Grembiule» non totalizza indici altissimi di consenso. Nell’hit-parade delle preferenze il ritratto meglio riuscito di Chiesa sembra essere quello che la rappresenta con il Lezionario tra le mani o con la casula addosso. Ma con quel cencio ai fianchi, quel catino nella destra e la brocca nella sinistra, viene fuori un’immagine che declassa la Chiesa al rango di fantesca. Occorre riprendere la strada del servizio che è la strada della condiscendenza, della condivisione, del coinvolgimento in presa diretta nella vita dei poveri. E’ una strada difficile perché attraversa le tentazioni della delega: stipendiare lavapiedi perché ci evitino la scomodità di certi umili servizi. Però è l’unica strada che ci porta alle sorgenti della nostra regalità.

L’unica porta che ci introduce nella casa della credibilità perduta è la porta del servizio.

Solo se avremo servito potremo parlare e saremo creduti."



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Letto 1381 volte Ultima modifica il Lunedì, 12 Agosto 2019 17:05

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