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Sabato, 17 Marzo 2018 17:27

La pesca nel lago di Galilea al tempo di Gesù - Parte prima

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sintesi del Corso

tenuto dal Prof. Dario Vota


Premessa

Negli ultimi anni è cresciuto l’interesse per il contesto in cui sorse il movimento di Gesù e per gli aspetti socio-economici della Galilea citati nei Vangeli: studi basati su documenti antichi (papiri, epigrafi) e su dati archeologici. Ma la pesca è ancora un argomento poco studiato; cosa sorprendente considerando che alcuni discepoli di Gesù erano pescatori e molti passi evangelici hanno a che fare con la pesca.

L’argomento non è mai stato veramente approfondito, e per di più, quando è stato toccato, è stato quasi sempre trattato all’interno di ricostruzioni poco precise dell’economia della Galilea nel I secolo d. C. (spesso guardata con i criteri dell’odierna economia di mercato) o con idee di base superficiali (es. pensando che i pescatori di allora operassero in un vuoto socio-politico, liberi di pescare dove e quando volevano; invece la vita dei pescatori di Galilea era inquadrata in ben precise strutture organizzative e di controllo).

Ma un argomento come “La pesca nel lago di Galilea al tempo di Gesù” non è una semplice curiosità; è invece un tema la cui conoscenza può essere molto utile:

- per una corretta esegesi dei racconti di pesca nei Vangeli;

- per una ricostruzione storica adeguata della vita che si svolgeva in quei luoghi della Galilea in cui Gesù trascorse buona parte della sua missione; e quindi per capire la realtà concreta in cui vivevano i pescatori di Galilea che Gesù ha chiamato e le persone di quella zona a cui egli si rivolgeva riferendosi alla loro esperienza di vita. Insomma, per sentire quei brani evangelici più radicati dentro l’esperienza concreta che hanno vissuto Gesù, i suoi discepoli e la gente a cui Gesù si rivolgeva. Cosa che dovrebbe aiutarci di più a calare i brani evangelici nel concreto della nostra esperienza di vita di tutti i giorni.

La presente trattazione si basa su un recente articolato studio sull’argomento, la tesi di dottorato di Facundo D. Troche, Il sistema della pesca nel lago di Galilea al tempo di Gesù, Università di Bologna 2015.

(Testo completo in internet: http://amsdottorato.unibo.it/7098/1/Troche_Facundo_Tesi.pdf)

Kinneret, il “mare” di Galilea

Noto anche come Mare di Galilea, Lago di Tiberiade, Lago di Gennesaret, il Kinneret è un lago naturale che fa parte del sistema della valle del Giordano; è alimentato in gran parte dal Giordano e in parte minore da vari torrenti che si immettono sia dalla Galilea sia soprattutto dalle alture del Golan.

Sue dimensioni attuali: lunghezza max 22 km N/S, larghezza max E/W 12 km, per una superficie di 167 km2. La profondità max è di 43 m. La sua superficie si trova a 210 m sotto il livello del mare.

Notizie da fonti antiche (Giuseppe Flavio e Plinio il Vecchio) danno cifre un po’ diverse: traducendo in km i loro dati in miglia romane, risulta un lunghezza max N/S di 23,6 o 24,8 km. Sono, è vero, dati da prendere con cautela (per l’imprecisione nelle misure che spesso caratterizza le fonti antiche e la poca attendibilità di Giuseppe Flavio su numeri e distanze); ma ci sono vari indizi moderni per credere che le dimensioni del lago in antico fossero effettivamente un po’ diverse da quelle attuali:

- all’estremità NE del lago la località di Et-Tell (identificata con l’antica Bethsaida) è oggi a 3 km di distanza dalla sponda, mentre i Vangeli e Giuseppe Flavio la segnalano come posta sulla costa;

- scavi archeologici a Magdala hanno individuato strutture portuali di età romana a circa 250-300 m dalla costa attuale.

Ciò fa pensare che in età romana il livello dell’acqua del lago fosse superiore a quello di oggi; e poiché il dato di Giuseppe Flavio sulla lunghezza N/S sembra preciso (in riferimento alla posizione costiera di Bethsaida), la forma antica del Kinneret doveva essere più lunga sull’asse N/S.

Il Kinneret è un lago “monomittico” (= i suoi strati d’acqua si mescolano solo una volta l’anno). L’inverno, quando la temperatura in superficie arriva fino a 15°, è il periodo omeotermico (= la temperatura dell’acqua in superficie e sul fondo è simile), il momento che permette il mescolamento delle acque di tutto il bacino; nel resto dell’anno (da marzo a novembre) la temperatura in superficie (che può arrivare fino a 30°) è più alta di quella del fondo, cosicché gli strati dell’acqua restano separati. Questo fenomeno ha effetti importanti sulle abitudini stagionali di alcune specie di pesci, e quindi anche sull’attività della pesca.

La piovosità media è di 400-500 mm/anno. Le precipitazioni si concentrano tra settembre e maggio.

Il Kinneret è navigabile tutto l’anno, ma è noto per improvvise tempeste (come si deduce anche dai Vangeli: Mt 8,23-27; 14,28-31; Mc 4,35-41; 6,45-51; Lc 8,22-25; Gv 6,16-21). I venti in estate e in autunno spirano, provenendo dal Mediterraneo (distante circa 45 km), quasi ogni giorno al pomeriggio e si amplificano a causa della depressione geografica, creando talvolta maltempo, per cessare verso sera; in inverno sono più forti e irregolari, provenendo talora da SW talora da E, e possono provocare tempeste (la più temuta dai pescatori è la sharkia, con forte vento dalle alture del Golan e onde che si abbattono sulla costa W).

La regione attorno al lago aveva buona disponibilità di acqua, fornita dal Lago stesso, dai torrenti della Galilea a W e da quelli del Golan a E. C’erano inoltre sorgenti nella zona di Cafarnao e vicino a Tiberiade. I terreni della regione erano fertili, e vi si coltivavano prodotti agricoli fondamentali nel mondo antico: grano, olivo, vite e lino. Il lino era utilizzato nella tessitura (vestiti), per fabbricare reti da pesca, corde, vele per le barche, olio come isolante; era quindi un prodotto fondamentale per la pesca.

I pesci del Kinneret

Il lago oggi ospita 25 specie di pesci (ma solo alcune sono endemiche) e produce circa 2000 tonnellate di pesce all’anno.

Ma la fauna ittica del Kinneret non è rimasta invariata nel tempo: molte delle specie di pesci che vi abitano oggi sono state introdotte nel corso del ‘900 (es.: il pesce più grande attualmente presente nel lago è un tipo di Carpa introdotto nel 1966; la specie commercialmente più importante è un tipo di Cefalo introdotto negli anni ’50); alcune specie si sono probabilmente estinte nel corso del tempo; inoltre l’ecosistema del lago e dei suoi dintorni è cambiato negli ultimi 50 anni, per il prosciugamento del lago di Hula nel 1970 e la costruzione di una diga sul fiume Giordano.

La fauna ittica originaria del Kinneret attualmente presente consiste in 18 specie, di cui 10 pescate e commercializzate. I pesci commestibili sono di solito divisi in 3 gruppi: Tilapie, Barbi e Sardine.

Tilapie

Rientrano nella famiglia delle Ciclidae, pesci con una lunga spina dorsale che si stacca facilmente dalla carne e con poche altre spine. Sono tra i pesci oggi più mangiati in zona. Nel lago si muovono in branchi e si avvicinano alla costa stagionalmente. Non si sviluppano con temperatura sotto i 12°, d’inverno si spostano verso zone poco profonde, attratti dalle acque calde provenienti da sorgenti vicino a Tabgha (presso Cafarnao). Vengono pescati quando tendono ad avvicinarsi alla costa. Le specie più tipiche di questo gruppo sono: la Tilapia Galilea, la più comune (da 15 a 30 cm di lunghezza), la Tilapia Aurea (25-30 cm), la Tilapia Zillii (10-20 cm, di poco pregio commerciale) e la Tristramella Simonis (10-26 cm, abbondante e ben venduta).

Barbi

Comprendono 3 specie di Carpe (Cyprinidae): le più grandi e apprezzate sono il Barbus Longiceps (fino a 70 cm di lunghezza, anche 6-7 kg di peso) e il Barbus Canis (fino a 50 cm, 3-4 kg).

Sardine

Appartengono anch’esse alle Cyprinidae, ma sono assai più piccole. Sono i pesci commerciali più piccoli del Kinneret (da 15 a 20 cm), ma si pescano in grande quantità (circa il 50% del pescato annuale). Sono simili alle sardine di mare e si raggruppano in grandi banchi, cosa che ne facilità la cattura in grande quantità ogni volta. Vivono vicino alla superficie ma non al litorale.

Un caso a parte è un tipo di pesce chiamato Karakinos, una specie di pesce-gatto molto grande di color nero. Poiché non ha squame, non può essere mangiato dagli ebrei; per questo viene pescato poco. Probabilmente nell’antichità era pescato dai non ebrei che abitavano sulla costa est del lago.

Le reti da pesca

Sulle tecniche di pesca nel Kinneret nel I secolo i dati archeologici sono scarsi: solo pesi di rete e ancore. Per una ricostruzione bisogna ricorrere a dati etnografici, sulle tecniche di pesca tradizionali usate fino a inizio ‘900: non è garantito che queste fossero rimaste immutate dall’antichità fino a un secolo fa, ma possono dirci qualcosa perché:

- se i grandi cambiamenti nell’ecosistema locale si sono avuti solo nel corso del ‘900, le zone di pesca di poco più di 100 anni fa non devono essere state molto diverse da quelle di 2000 anni fa (dato lo stretto rapporto tra tecniche di pesca e caratteristiche del lago);

- i metodi di pesca sono cambiati molto solo nel corso del ‘900; prima erano molto semplici, basati su tecnologie e conoscenze che erano disponibili già nell’antichità.

La “sagena”

E’ la tecnica tradizionale, ben nota anche nell’antichità, più usata nella pesca commerciale (nei Vangeli è citata da Mt 13,47).

Era una rete molto lunga che si distendeva a una certa distanza dalla riva per poi essere trascinata a terra; in alto aveva una corda dotata di galleggianti, in basso una corda con pesi, in modo che una volta distesa formasse come una parete tra la superficie e il fondale; l’altezza variava da 8 m al centro a 3-4 m ai lati, la lunghezza era di 150-200 m.

La rete veniva portata al largo su una barca e distesa parallelamente alla costa, collegandola a terra a un estremo con una corda perpendicolare alla costa e all’altro estremo con una corda tirata verso riva dalla barca. Trascinando la rete verso riva, si catturavano i pesci tra la rete e la costa; il capobarca durante l’operazione andava verso la rete ed eventualmente si tuffava per disincagliarla se era rimasta incastrata in qualche punto. Quando la rete si avvicinava alla riva, i pesci si trovavano ammucchiati nella parte centrale, più alta, che formava come una sacca, fatta di maglia più stretta e da fili più resistenti. Si tirava a riva prima la corda di fondo per evitare che i pesci scappassero da sotto e poi la parte alta con i galleggianti.

Questo tipo di rete era fatta per una pesca su grande scala: la sagena catturava tutto ciò che incontrava e che non sfuggiva alle sue maglie (era dunque una rete “a strascico”). Quando la rete era a terra, bisognava separare i pesci e gettare in acqua quelli non mangiabili. Poi la rete doveva essere eventualmente riparata, se qualche maglia si era rotta, riavvolta e sistemata di nuovo sulla barca; e quest’operazione poteva essere ripetuta alcune volte durante la giornata.

L’uso di reti di grandi dimensioni presuppone l’impiego di barche abbastanza grandi.

 

La rete da lancio

Molto utilizzata nell’antichità, era una rete circolare con pesi, usata da un solo pescatore in barca o a piedi. A questo tipo di rete si riferiscono i Vangeli in Mc 1,16-18 e Mt 4,18. Si trova raffigurata in molti mosaici di epoca romana.

Per la pesca di sardine si usava una rete a maglia stretta con piccoli pesi. Il pescatore andava al largo con la barca (le sardine si spostano in banchi lontano dalla costa); individuato il banco, lanciava la rete distendendola sull’acqua mentre un altro pescatore teneva in posizione la barca; i pesi facevano affondare la rete e il pescatore la chiudeva (tirando delle corde che scorrevano in anelli) formando una specie di sacca che catturava i pesci. Per pesci più grandi si usava un tipo di rete a maglia più larga con pesi più grandi.

Reti statiche

Semplicemente si calavano in acqua e si lasciavano ferme aspettando che i pesci ci finissero dentro; erano utilizzate di notte per catturare pesci in banco. Un tipo di rete statica, utilizzata ancora a inizio ‘900 (ma del cui impiego in antico non c’è prova) era il “tramaglio”, una rete con tre maglie in parallelo, più larghe quelle esterne e più stretta quella interna: i pesci potevano passare attraverso le maglie larghe ma si insaccavano in quella stretta senza più riuscire a scappare.

Produzione e manutenzione delle reti

Materiali

Le reti antiche erano fatte con fibre vegetali, soprattutto lino e canapa. In Palestina la canapa doveva essere importata (non ci sono notizie di una sua coltivazione in zona), era quindi un materiale costoso e difficilmente era usato per fabbricare le reti per la pesca nel Kinneret. Il lino invece era comune nella regione ed era probabilmente il materiale della maggior parte delle reti da pesca impiegate in Galilea. Era ideale per le reti perché quando è bagnato è più resistente e si asciuga in fretta. Data la deperibilità di questo materiale, pochi esempi di reti antiche in lino si sono conservati in Palestina (una rete di lino del II secolo d.C. è stata trovata presso il Mar Morto).

La Palestina è citata in fonti antiche per la produzione del lino; in Galilea la zona di Bethsaida, la piana NE del Kinneret, era il terreno ideale per la coltivazione del lino (terreno alluvionale e disponibilità di acqua).

La coltivazione del lino impoverisce molto il terreno, per cui veniva praticata ogni 4-5 anni (= ogni produttore piantava il lino su ¼ o 1/5 del terreno coltivabile a sua disposizione); ma, considerando la resa e il prezzo della fibra, si è calcolato che questa coltura in antico fosse più vantaggiosa di quella del grano. Il lavoro più intenso sul lino (la lavorazione delle fibre per produrre fili, tessuti e corde) veniva fatto in inverno quando non si lavorava nei campi (era quindi un’attività che si incastrava bene con i periodi di lavoro del grano, della vite e dell’olivo) e, anche se richiedeva tempo e manodopera, per una famiglia di contadini poteva essere un’attività conveniente.

Il processo di lavorazione

Per estrarre le fibre, le piante di lino dovevano essere raccolte ed essiccate in piccoli fasci; i fusti venivano tagliati e fatti macerare in acqua stagnante per 10-20 giorni (per favorire la fermentazione, che fa staccare le fibre dalla parte legnosa) e fatti nuovamente essiccare. Per “sfibrare” i fusti li si batteva con mazze di legno e poi li si passava nella “gràmola”, che separava le fibre; queste venivano poi “pettinate” con una specie di spazzola metallica che separava le fibre più fini da quelle più grosse. Si poteva allora passare alla filatura: le fibre venivano avvolte sulla conocchia, poi si legava un pezzo di fibra al fuso, che si faceva ruotare, creando così il filo, che veniva poi avvolto man mano che si allungava. Il filo veniva poi estratto e arrotolato a formare matasse, pronte per la produzione di corde e reti o per fabbricare tessuti tramite il telaio.

Queste operazioni venivano effettuate dalla stessa famiglia che coltivava il lino o da esperti di filatura che prendevano il materiale dai coltivatori. Le matasse venivano vendute agli artigiani tessili o ai pescatori che fabbricavano reti.

Fabbricazione delle reti

Anche se nell’antichità esisteva il mestiere di “fabbricante di reti” (in greco linoplòkos), è probabile che in Galilea la fabbricazione delle reti fosse un lavoro in famiglia: ogni pescatore aveva le conoscenze necessarie per produrre una rete, dovendone poi fare la manutenzione ordinaria. Per piccoli gruppi di pescatori era più conveniente produrle da sé.

Il tipo di rete più semplice consisteva nel solo incrocio delle corde, che costruiva una rete senza veri nodi, e quindi poco resistente. Ma è probabile che le reti più usate fossero quelle con nodi ad ogni incrocio delle corde: si usava un ago da rete (in metallo, osso o legno) da 10 a 30 cm (ne sono stati trovati lungo la costa del Kinneret a Magdala e Beit Yerah).

Una rete di lino durava poco (impiegata ogni giorno non durava più di due mesi) e richiedeva una manutenzione costante: lavaggio e asciugatura + riparazione dei buchi.

Le reti richiedevano dei galleggianti e dei pesi, I galleggianti potevano essere fatti con corteccia di albero (il materiale più adatto, il sughero, in Palestina non c’era), ma nessun galleggiante antico si è conservato. Più facili da trovare sono i pesi, in piombo (ad anello o a cilindro) o in pietra (semplici ciottoli con un buco o con una scanalatura per legarli), lunghi da lavorare ma reimpiegabili in reti nuove.

Ami e trappole

La pesca a scopo commerciale era fatta con l’uso di reti (che garantiva il miglior rapporto tra forza-lavoro e resa economica), ma si pescava anche con strumenti semplici.

Pesca con l’amo

Veniva sicuramente praticata nel Kinneret: negli scavi archeologici di Bethsaida sono stati ritrovati 13 ami, probabilmente usati per pescare Barbi. Era verosimilmente una tecnica usata da pescatori occasionali in cerca di un pasto per il giorno. Secondo una notizia di fonte antica, era un tipo di pesca libera e aperta a chiunque nel lago purché fatta dalla costa e non su una barca al largo ( le tecniche che implicavano l’uso di barche o di reti grandi erano controllate per conto di chi deteneva la proprietà del lago).

Nasse, trappole, ceste

Anche questo modo di pescare, che utilizzava strumenti a mo’ di trappola per i pesci e che era un’attività economicamente modesta, era probabilmente aperto a tutti, purché non ponesse ostacoli alla navigazione. Non abbiamo informazioni dirette, ma è probabile che questo tipo di pesca fosse praticato nel Kinneret in antico (era un metodo comune in molte regioni mediterranee): Probabilmente non si usavano grandi trappole permanenti, ma solo nasse o piccole trappole fatte con giunchi o pezzi di legno e reti. Era un sistema buono per un pescatore occasionale che si accontentava di qualche pesce e poteva dedicarsi ad altri lavori durante la giornata (sia pure col rischio di lasciare le nasse incustodite e quindi facilmente derubabili da altri).

 

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Letto 41139 volte Ultima modifica il Domenica, 18 Marzo 2018 15:38

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