Questo documento è una testimonianza dell'amore di Dio verso gli ultimi, verso i sofferenti e della loro risposta alla sua Parola.
Se lo leggiamo con attenzione ed apertura di cuore e di mente esso è attualissimo, ed ha molto da insegnarci per "vivere" oggi.
Qui di seguito vi proponiamo parte del primo capitolo, nel quale è descritto l'incontro tra: Gesù, le povere recluse e ed un giovane prete.
In coda troverete l'Indice che vi permetterà di intuire, nella sua interezza, la grandezza del cammino di queste "persone".
E' un'esperienza concreta per chi vuole vivere la propria vita ascoltando e vedendo cosa gli accade accanto.
giorgio de stefanis
Utopia in carcere
Cap. 1
QUEL GIORNO A CADILLAC
Le carceri femminili nell'800
1864. Nel sud-ovest della Francia, nei pressi di Bordeaux, a Cadillac, c'è un grande carcere femminile. È l'antico castello trasformato nel 1822 in un istituto di pena per coloro che sono state condannate all'ergastolo. L'edificio che per anni era stato il vanto del paese, ne è adesso la vergogna. I cittadini di Cadillac evitano persino di nominarlo, cercano di dimenticarlo, di passare lontano dall'edificio che nella fantasia della gente ha assunto tinte fosche.
Sono quelli gli anni in cui nascono le prime industrie. La gente attratta dalla fabbrica che da lavoro e guadagno abbandona le campagne per venire in città ma il lavoro, quando c'è, non da nessuna garanzia. I sindacati sorti soltanto vent'anni prima si trovano ancora in uno stato embrionale. Senza garanzie, né prevenzioni sociali, né ferie, né tutela di alcun genere gli operai finiscono il più delle volte in terribili situazioni di solitudine, dì miseria, di sradicamento.
Si cerca allora di evadere dalla fatica quotidiana attraverso l'alcol e il sesso. C'è una percentuale altissima di alcolizzati, anche tra le donne: bere è spesso l'unica possibilità di sfuggire all'inferno delle 10, 14, 16 ore di lavoro in fabbrica. La prostituzione si diffonde e si organizza, con il suo corteo di violenze e di furti, e molte donne venute in città per migliorare la loro condizione ne sono catturate. La delinquenza aumenta in modo impressionante. Anche nelle campagne i delitti passionali non si contano più, in un ambiente di estrema povertà. Molte mogli, abbandonate dal marito immigrato in città, spesso si vendicano uccidendo chi le ha tradite o chi le sfrutta e le umilia.
Gli aborti vengono fatti a catena. È l'epoca delle «faiseuses d'anges», delle procuratrici di aborto, che operano in condizioni clandestine, spaventose e spesso letali. Le carceri rigurgitano di donne che, spinte dall'illusione di trovare un lavoro meno faticoso di quello dei campi, hanno lasciato il loro paese e si sono bruciate nelle fabbriche, dove chi lavora si riduce in una condizione che non ha più niente di umano. Abbrutite dalla miseria e dalla fatica, sono schernite e disprezzate, umiliate, considerate solo un pezzo dell'ingranaggio produttivo. Molte detenute sono state condannate come «infanticide»: così sono chiamate indifferentemente le donne che hanno abortito e quelle che hanno ucciso il bimbo appena nato. Hanno sedici, venti, trentanni e sono state condannate a cinque, dieci, vent'anni di carcere, qualche volta all'ergastolo.
In questa situazione di crescente violenza, il castello di Cadillac è stato trasformato in carcere, per far fronte all'aumento improvviso della popolazione carceraria femminile. È una «casa di pena» dalla triste fama. Negli ultimi tempi ci sono state più volte giornate «calde» a causa delle rivolte. Il lavoro forzato, il silenzio continuo, la divisa avvilente, l'incubo delle «guappe», del ricatto, dei clan, delle soffiate, le cantine buie in cui le donne, anche per la più piccola trasgressione al regolamento, debbono scontare giorni di reclusione tremenda, senza altro letto che la paglia umida e assalite dai topi, rendono più tragica una convivenza estremamente difficile. Molte donne non riescono a sopportare il rimorso che le rode, l'angoscia della separazione dalle loro famiglie, l'isolamento totale in cui vivono. La piaga maggiore a Cadillac, come del resto in tutti i carceri femminili dell'epoca, è il suicidio, a catena.
Per rendere meno cupa l'atmosfera disperata di questa «casa di pena», il direttore ha chiamato alcune Suore, le Figlie della Sapienza, perché affianchino il personale di vigilanza. Sono queste Suore che d'accordo con il cappellano chiedono, nel 1864, un sacerdote esterno che venga a predicare gli esercizi spirituali. È la prima volta che accade da quando il carcere esiste.
E Dio bussò alla porta del carcere
È così che il 14 settembre 1864, nel carcere, alle quattro e mezzo del mattino — le prediche devono essere rubate al tempo dedicato al sonno — entra un giovane domenicano di 33 anni, Jean-Joseph Lataste, prete da poco più di un anno. L'hanno chiamato, ha accettato, ma con molti dubbi e esitazione. Varca il pesante cancello con una stretta al cuore, pensa che la sua venuta sarà forse inutile. Come confesserà lui stesso in seguito, è «influenzato dai pregiudizi popolari della gente che prova solo schifo per queste donne».
Tuttavia, si è preparato con grande impegno e serietà. Porta sotto il braccio i fogli dove ha scritto con cura tutto il testo di ciò che dirà. Sono parole ispirate all'amore di Dio e che vanno contro tutto ciò che il mondo di allora pensa.
Il giovane domenicano inizia a parlare: «Carissime sorelle: capite perché vi chiamo così? Voi, in realtà, chi siete per me? Se usciste di qui, e se si sapesse da dove venite, sareste segnate a dito. È ingiusto e crudele, lo so, ma purtroppo, è così. Ed io, sacerdote, vengo a voi spontaneamente, senza aspettare di essere chiamato da voi. Vi tendo le mani, vi dico: "Carissime sorelle"! Vi chiederete perché mi siete così care, voi che il mondo dimentica e disprezza? Vi rispondo: sono il ministro di un Diogene vi ama malgrado i vostri errori, di un amore che non ha uguale sulla terra, di un Dio che vi perseguita con il suo amore, e che, anche nel momento in cui vi parlo, è già nel vostro cuore».
Poi continua: «Siamo in famiglia, e possiamo dirci la verità. Ne avete fatte delle grosse. Dio vi poteva lasciare in balia di voi stesse e invece vi ha fermate. Vi ha portate qui, perché lo ritrovaste. La vostra reclusione mi ricorda quello che dice il profeta Osea nella Bibbia (2,16): "La condurrò nella solitudine e parlerò al suo cuore". Ed è ciò che ripete anche a voi, come lo dice alle religiose che hanno risposto alla sua chiamata».
Per Dio conta solo d'oggi
Le donne lo ascoltano attonite, mai nessuno ha parlato loro in questo modo. Il predicatore fa un parallelo fra la vita delle ergastolane e quella delle religiose: «Anche le Suore — dice — fanno una vita dura come la vostra: hanno poco cibo, dormono poco, fanno un lavoro molto faticoso, vivono nel silenzio, segregate dal mondo. Hanno rinunciato per amore di Dio a tutte quelle cose di cui voi avete abusato. Ma se poteste ascoltare le loro ricreazioni, le sentireste ridere di cuore... Se poteste frequentarle, scoprireste in loro una pace» una gioia, una felicità, che farebbero invidia a tutte coloro che, normalmente, sono considerate donne privilegiate. Cosa rende tanto felice una vita così austera? Una sola cosa: l'amore di Dio. Amare Dio ed essere amate da lui. Ora questa gioia può diventare vostra. Per Dio non conta ciò che siamo stati, ma ciò che oggi siamo. Dio ricorda solo la fatica che avete fatto, ha già dimenticato il male che avete commesso, se siete ritornate a Lui con cuore sincero e fiducioso, come il figlio prodigo, come la Maddalena. Il Padre del ciclo vi vuole consolare, rifare nuove. Se lo volete, potete subito considerarvi alla pari con le vostre sorelle Suore, anzi potete gareggiare con loro in amore, magari in santità.
«Potete, come queste vostre sorelle, scegliere di sopportare liberamente, per amore, la vostra condizione. Voi che siete emarginate e disprezzate dal mondo, potete diventare per Dio preziose quanto le religiose, anzi forse di più, se più Lo amerete.
«Per Dio non c'è nessuna differenza tra voi e loro, se siete pronte a cambiare ta vostra ribellione in amore, la vostra superbia in umile tenerezza. Se saprete abbandonarvi fiduciosamente al Padre».
Su 400 carcerate, 380 seguono tutte le prediche. Sono state lasciate libere di scegliere, eppure ogni mattina, alle quattro e mezzo, e ogni sera fino alle undici, sono là. Alcune si fermano sulla porta, non hanno il coraggio di entrare nella cappella, ma non perdono una parola. All'inizio, il domenicano aveva davanti a sé un mare di capi chini, tutti uguali, avvolti nel fazzoletto della divisa, che stringeva la fronte e dava a quei volti, ricorderà lui, un aspetto brutto, quasi «ripugnante». Ma, a poco a poco, le teste si rialzano. Nascono persine dei sorrisi. Alcune piangono. Quando lui, al confessionale, chiede, un po' ingenuamente, se quelle lacrime sono causate dalla durezza della vita del carcere, c'è chi gli risponde, con sua grande sorpresa: «Piango per la gioia, Padre. Non sapevo di essere così amata da Dio. Ora ci credo. La mia vita è cambiata. Sono libera!».
2. LA CONVERSIONE DEL PREDICATORE
La Maddalena apostola degli apostoli
Jean-Joseph Lataste, ancora novizio, aveva spesso pensato con stupore all'atteggiamento di estremo rispetto di Gesù per i peccatori o per coloro che sono giudicati tali. La vita della Maddalena lo aveva colpito e, in particolare, il coraggio che aveva avuto nell'affrontare il disprezzo di tutti quando era andata (Le 7, 36-50) a manifestare in silenzio e con umiltà a Gesù il proprio amore, la propria tristezza per avere commesso tanti sbagli. Non solo, ma aveva voluto usare per questo atto di pentimento tutto ciò che aveva fatto parte della sua vita dissipata: «Venne con un vasetto di olio profumato; e inginocchiatasi ai piedi di lui, piangendo cominciò a bagnarli di lacrime, poi lì asciugò con i suoi capelli, li baciò e li cosparse di olio profumato» (Le 7, 38). Vi aveva aggiunto però le lacrime di un cuore trasformato dall'umile amore dimostratole da Gesù. Il pentimento non è rimorso spietato fatto di superbia delusa o di umiliazione rabbiosa, non è sorgente di disperazione, bensì di tenerezza contrita per aver amato solo se stessi!
Jean-Joseph Lataste aveva anche spesso ripensato con una certa meraviglia all'ammirazione di Gesù nei confronti della Maddalena, quando, per difenderla contro le critiche scandalizzate della gente perbene, aveva affermato: «In verità, vi dico: in tutto il mondo, ovunque sarà predicato questo Vangelo, sarà pure narrato quello che essa ha fatto, a ricordo di lei» (Mt 26, 13).
II giovane domenicano, già prima di entrare nel carcere di Cadillac, aveva capito che per Dio conta più l'amore di tutti i «mea culpa» del mondo. Aveva anzi notato che proprio alla Maddalena era stato affidato il più importante messaggio mai diffuso, che doveva cambiare la faccia del mondo, quello della Risurrezione. E se gli apostoli, forse ancora dominati dai pregiudizi verso di lei, non avevano creduto alla sua testimonianza, quando aveva assicurato di avere visto il Cristo risorto (Gv 20, 18), era pur vero che proprio lei era stata incaricata da Gesù di annunciare a Pietro e al mondo, la sua vittoria sulla morie e quindi sul male!