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Domenica, 12 Febbraio 2017 19:37

5 - Esilio e ricostruzione - Seconda Parte

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dal Corso Biblico del Prof Dario Vota


III. LA RICOSTRUZIONE DI UNA NUOVA COMUNITA' GIUDAICA

1. Operazioni di ritorno e loro guide: la spiegazione tradizionale.

Continuità della famiglia reale di Giuda. L'opinione comune secondo cui il regno di Giuda sarebbe finito con la conquista babilonese di Gerusalemme nel 586 a.C. e la morte di Sedecia, in realtà non coglie nel vero: non solo Yehoyakin, il re esiliato a Babilonia nel 597, non perse mai il titolo di re e tale continuò ad essere almeno idealmente per i rimasti nella provincia babilonese di Giudea; ma anche dopo di lui la famiglia reale di Giuda mantenne un ruolo centrale nei rapporti con il potere dominante.

Sulla fine di Yehoyakin non sappiamo nulla: l'ultima notizia su di lui viene da un passo biblico (2Re 25,27) che accenna al già citato privilegio a lui concesso nel 561 dal re Awil-Marduk, successore di Nabucodonosor, di sedere alla mensa del sovrano e di avere libertà di movimento. Quanto sia ancora vissuto dopo quel momento non è dato sapere; ma è chiaro che a uno dei suoi figli fu riconosciuta la continuità del titolo di re-vassallo, se è accettabile la notizia biblica di Esd 1,7-8 della consegna a Sheshbassar, principe ereditario di Giuda, degli arredi sacri del tempio di Gerusalemme, presi da Nabucodonosor e restituiti da Ciro di Persia dopo la sua vittoria su Babilonia. Era, insomma, ancora la vecchia famiglia regnante di Giuda a fungere da referente privilegiato.

Dominio persiano e primi progetti di ritorno. Ciro conquistò Babilonia nel 539 a.C., sostituendo l'impero persiano a quello babilonese, con una visione universalistica della politica e un atteggiamento di apertura verso i popoli già soggetti ai Babilonesi. E' l'idea che sottostà al celebre "Cilindro di Ciro" (oggi al British Museum), un'iscrizione in cui il re persiano dichiarava tra l'altro di aver fatto tornare alle loro sedi con le immagini dei loro dèi i popoli da lui "liberati" dal dominio babilonese:

(...) Per le città di (...) agli dèi la cui dimora è in mezzo a loro, io ho concesso di ritornare ai loro luoghi e alle loro case in dimore durature. Ho raccolto insieme i loro abitanti e li ho restituiti alle loro abitazioni (...)

Sulla base di questo documento un passo biblico più tardo (Esd 1,2-4) immaginò che lo stesso Ciro avesse promulgato fin dal suo primo anno di regno in Babilonia un editto che concedeva ai Giudei in esilio il ritorno in patria e la ricostruzione del tempio di Yahweh. Un editto apposito per gli Ebrei va considerato un'invenzione, ma il contesto – una politica di tolleranza religiosa verso i popoli conquistati – è attendibile.

A Sheshbassar, figlio di Yehoyakin, furono affidati gli arredi del tempio. Come egli abbia agito in seguito, se abbia guidato un primo rientro in Giudea di alcuni esiliati e sia stato coinvolto in qualità di governatore della provincia persiana di Giudea (Yehud) in qualche progetto di ricostruzione del tempio di Gerusalemme, non è facile precisare. Più rilevante sembra essere stato il ruolo di suo nipote Zorobabele.

Il principe e i sacerdoti. Figlio di Shealtiel, altro figlio di Yehoyakin (a meno che Sheshbassar fosse, come suggerito da qualche studioso, il nome babilonese di Shealtiel; cosa che farebbe di Zorobabele il figlio di Sheshbassar), anch'egli aveva un nome babilonese (zēr-bāb-ili = "seme di Babilonia"), a conferma del forte legame con Babilonia della famiglia reale di Giuda. A lui la tradizione biblica attribuisce con chiarezza il ritorno a Gerusalemme alla guida di un gruppo di esuli che avevano deciso di rientrare e l'iniziativa della ricostruzione del tempio, in qualità di governatore della Giudea, in un momento databile intorno al 520 a.C., agli inizi del regno di Dario I di Persia (521-486).

E' difficile spiegare perché Zorobabele abbia lasciato una condizione tranquilla e agiata in Babilonia per trasferirsi in una terra depressa e marginale dell'impero, se non ipotizzando un incarico impostogli dall'autorità persiana per i Giudei in esilio: alcuni di questi, interessati a tornare nella terra dei padri, potevano aver ottenuto un appoggio presso la dirigenza imperiale. Si trattava del gruppo dei sacerdoti, a giudicare dalla posizione paritaria a quella di Zorobabele con cui il loro esponente Giosuè guidò l'operazione di ritorno.

Durante l'esilio l'ambiente sacerdotale si era riorganizzato secondo una rigida gerarchia: solo un gruppo ristretto aveva piene funzioni sacerdotali e in esso uno era il Sommo Sacerdote. Fondamentale era per loro l'autorizzazione persiana a ricostruire in Gerusalemme un nuovo tempio, che spettava a loro gestire. Era ovvio che ciò avrebbe creato tensioni e contrasti con i continuatori di quei sacerdoti rimasti in patria che probabilmente avevano garantito una qualche permanenza di culto a Gerusalemme e in altri centri di Giuda.

Tra Zorobabele e i sacerdoti provenienti da Babilonia era probabilmente intercorso un accordo. Stando ad Ag 1, i lavori sul tempio cominciarono nel 520; e la comunità di Gerusalemme, tra rimpatriati e rimasti, si organizzò dapprima sotto la guida dei due capi: il governatore Zorobabele, esponente dell'antica famiglia reale di Giuda, e il sommo sacerdote Giosuè, della stirpe sadocita affermatasi durante l'esilio.

Ma gli interessi del gruppo dei rimpatriati non potevano non entrare in contrasto con la realtà socio-economica dei rimasti, che erano per lo più sparpagliati nelle aree rurali di Giuda (mentre chi rientrava puntò ad occupare e far rinascere l'ex-capitale): c'erano le premesse per un conflitto tra Giuda e Gerusalemme.

 

2. Il progetto di una città-tempio.

Potere persiano e sacerdozio sadocita: interessi convergenti. Qualunque tentativo di ricostruire la situazione della provincia persiana di Yehud nei primi tempi dell'età post-esilica si basa quasi unicamente su testi biblici: documenti esterni mancano e l'archeologia si limita a fornire elementi per conoscere la cultura materiale. Ma i testi biblici che in modo più o meno diretto si riferiscono a quel periodo mostrano di avere alla base concezioni diverse e discordanti su come poté ricostruirsi Israele sotto la dominazione persiana. Il processo della restaurazione post-esilica si mosse dunque su un gioco contrastante di interessi.

Anzitutto è difficile spiegare in che modo i rimpatriati, soprattutto l'élite di sacerdoti e scribi, riuscissero a ottenere il controllo di un territorio che era stato occupato dai rimasti. Ma è chiaro che il loro primo obiettivo fu la ricostruzione del tempio; e questo progetto doveva rientrare nella politica dell'impero persiano. Non era più semplicemente l'interesse di Ciro al rientro nei loro paesi d'origine di élites esiliate che possedevano autorità e un sapere amministrativo; due decenni dopo, intorno al 520 a.C., il re Dario incoraggiava la ricostruzione di templi locali nel quadro di una strategia di mantenimento del potere imperiale attraverso forti autorità locali sostenute dalla Persia. Nel caso di Yehud, il risorgere a Gerusalemme di un tempio come centro organizzativo del territorio significava disporre di una base d'appoggio importante per il controllo persiano di un'area vicina all'Egitto, da poco conquistato (525 a.C.) ma in fermento; e il gruppo sacerdotale sadocita poteva ricevere dal potere persiano un sostegno alla sua autorità in una Giudea riorganizzata attorno a un nuovo sistema incentrato sul tempio.

I sacerdoti rimpatriati erano infatti venuti a contatto in Babilonia con un modello templare diverso dalla vecchia realtà del tempio in ambito palestinese (che era per lo più legato al palazzo reale e controllato dal re): un organismo complesso, con notevole potere economico e rilevante peso politico, vero e proprio centro direttivo che gestiva l'economia di una città e del suo territorio. Nel tornare a Gerusalemme i sacerdoti sadociti portarono sicuramente con sé quest'idea di tempio, che avrebbe fatto del santuario di Gerusalemme il centro di una nuova comunità giudaica e di loro la guida capace di dirigere le decisioni legislative e l'organizzazione sociale ben più del governatore, per quanto costui discendesse dalla vecchia famiglia reale.

Contrasti tra rimpatriati e rimasti. Quale che fosse il numero dei reduci (Esd 2 e Ne 7 danno una cifra totale superiore a 40.000 persone, ma è probabile che mettano insieme gruppi rientrati in momenti diversi), questi occuparono in gran parte Gerusalemme e in parte molto minore alcuni insediamenti circostanti.

Ma anche i discendenti di chi era rimasto non dovevano essere molto numerosi data la situazione assai depressa in cui era caduto il territorio di Giuda nel corso del VI secolo a.C. Verso costoro – in prevalenza contadini con modeste strutture organizzative e una sostanziale povertà culturale – l'atteggiamento dei rimpatriati era generalmente di disprezzo. Le basi di un conflitto tra i rientrati e i rimasti c'erano tutte. Ma i contrasti erano anche all'interno degli uni e degli altri: tra i primi c'era la posizione di quanti intendevano contrapporsi con una netta chiusura al "popolo della terra" e la posizione più conciliante di chi cercava un compromesso o era anche disposto a una fusione; ma anche tra i rimasti dovevano confrontarsi atteggiamenti di rifiuto e di disponibilità all'integrazione.

I sacerdoti, guida della comunità giudaica. Come si sia schierato Zorobabele tra questi contrasti non è noto: forse si pose dalla parte della gente del paese o provò a mediare tra le parti, sperando magari in una restaurazione del potere della vecchia famiglia reale, mentre Giosuè e il sacerdozio sadocita erano certamente per la chiusura. Zorobabele giocò un qualche ruolo nei pochi anni tra il rientro e l'inaugurazione del tempio (515 a.C.); poi scomparve, forse eliminato in modo violento, e il controllo della situazione fu interamente in mano al sacerdozio, che assunse la guida della comunità giudaica, ormai organizzata attorno alla città-tempio.

 

3. Le origini del "Secondo Tempio": un'ipotesi alternativa.

Settanta anni dopo. Il quadro qui delineato trovava un tempo fa un sostanziale consenso tra gli studiosi. Esso si basava sull'idea che le notizie bibliche di Esd 1-6, Ag e Zc 1-8 fossero dati accettabili per una ricostruzione storica degli inizi dell'epoca del "Secondo Tempio" tra Ciro e i primi tempi di Dario I.

Ma negli ultimi anni nuovi studi hanno messo fortemente in discussione questo quadro. L'intervento che più ha sfidato l'interpretazione passata è della studiosa americana D. Edelman. La sua ipotesi muove da una ridiscussione dell'attendibilità storica delle fonti bibliche (Esd 1-6, Ag, Zc 1-8, Ne), che la porta a sostenere la priorità storica delle informazioni fornite dal libro di Neemia (secondo cui una vera e propria ripresa insediativa di Gerusalemme dovette avvenire solo sotto il governatorato di Neemia a partire dal 445 a.C.), e da un esame di quanto l'archeologia attesta sul quadro insediativo di Giuda e dintorni nel periodo persiano. Ne deriva l'idea che la ricostruzione del tempio vada collocata assai più tardi rispetto alla data tradizionale.

Quale interesse poteva avere un re persiano a favorire la riedificazione di un tempio in Giuda? E' difficile trovare una motivo ai tempi di Ciro o di Dario, quando Gerusalemme rimaneva ancora in rovina e la sua regione sopravviveva in una condizione di sottosviluppo. E' più sensato pensare all'epoca di Artaserse I (464-425 a.C.), quando nel quadro di una ricostruzione di Gerusalemme poteva ben inserirsi il progetto di dotare la città di un luogo di culto per la divinità della sua terra e di farne una sede fiscale della provincia.

Ma allora perché i testi biblici separano di parecchi decenni la ricostruzione del tempio da quella della città? Un elemento chiave può venire, secondo la Edelman, da un'analisi delle notizie genealogiche contenute nel libro di Neemia, che porterebbero a ridurre la distanza temporale tra Zorobabele e Neemia; e grazie a un appoggio extrabiblico (una lettera trovata in Egitto e datata 408 a.C., che nomina i figli di Sanballat, governatore di Samaria al tempo di Neemia), sembra accettabile una data intorno al 445 a.C. (cioè a quel 20° anno di regno di Artaserse I a cui la Bibbia data l'inizio dell'opera di Neemia) per la ricostruzione delle mura di Gerusalemme e del ripopolamento della città.

Quanto al tempio, perché Ag e Zc lo indicano come riedificato nei primi anni di Dario I? Le date fornite da questi profeti potrebbero essere delle aggiunte posteriori: un più tardo editore avrebbe voluto collegare la ricostruzione del tempio alla profezia di Geremia (Ger 25,11-12 e 29,10) che aveva preannunciato 70 anni di desolazione della terra di Giuda dopo l'attacco babilonese, un settantennio che terminava nei primi tempi del regno di Dario I. Ambientare la ricostruzione del Secondo Tempio negli anni di Ciro o di Dario sembrerebbe dunque storicamente discutibile.

Un progetto persiano. Il quadro insediativo delineato dall'archeologia per la provincia persiana di Yehud a metà del V secolo a.C. (negli anni di regno di Artaserse I) segnala la nascita di una serie di siti con funzioni amministrative che collegavano la pianura costiera e la valle di Be'er-Sheba' con Gerusalemme, e il sorgere di fattorie nelle loro vicinanze. Non è improbabile che in quel periodo il re persiano, che ereditava una provincia d'Egitto in rivolta, decidesse di rivitalizzare la Giudea per inserire meglio nel sistema stradale, postale, militare ed economico dell'impero un territorio vicino all'Egitto. Per questo poteva essere utile spostare il capoluogo della provincia da Mizpah a Gerusalemme (situata in posizione più strategica) e accrescerne gli abitanti: una popolazione che poteva essere in parte mobilitata nel caso di un intervento militare verso l'Egitto e che intanto poteva dare incremento alla produzione agricola della zona e garantire così una riserva alimentare per un eventuale invio di truppe in direzione egiziana.

Più che a un succedersi, da Ciro in poi, di vari ritorni in patria di gruppi di giudei esiliati, si dovrebbe allora pensare a un solo spostamento organizzato di coloni verso Yehud, nel quadro di un progetto persiano di rilancio di una provincia depressa situata in prossimità dell'Egitto. E la ricostruzione di Gerusalemme implicava anche la riedificazione del tempio.

 

 

BIBLIOGRAFIA

Il presente contributo non ha note, per facilitare la lettura del testo che ha taglio divulgativo. I contenuti si basano sugli studi elencati nella seguente bibliografia.

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