Nell'uomo l'immagine di Dio è inalienabile, anche se la rassomiglianza è contraddetta dal non riconoscimento del Creatore e dalle scelte di morte che l'uomo fa misconoscendo il cammino della vita. E questa immagine di Dio deposta nel cuore dell'uomo è una presenza dinamica, efficace, che chiede all'uomo di tornare a Dio, di tornare al Padre dall'allontanamento dovuto al peccato che ha fatto perdere la rassomiglianza. Anche in Dio c'è questa passione, questo amore che vuole l'uomo di fronte a lui, anzi capace di stare davanti a lui in comunione, sicché potremmo vedere il rapporto tra Dio e l'uomo come una ricerca l'uno dell'altro, un amore così autentico da essere capace di sofferenza l'uno per l'altro, una nostalgia dell'incontro di una vita in comunione tra l'uno e l'altro... Sì, Dio ha creato ogni uomo nel Figlio (cf. Col 1,16) e lo ha «destinato» fin da prima della fondazione del mondo (cf. Ef 1,4-5) a essere figlio nel Figlio; e affinché questo avvenisse Dio ha mandato suo Figlio perché diventasse uomo e primo tra gli uomini riportasse a lui tutta l'umanità restituita alla piena rassomiglianza grazie alle energie dello Spirito santo effuso sulla creazione.
Ecco, occorre ora parlare di questo cammino di andata al Padre, di questo itinerario che è la vita spirituale, un cammino che l'immaginazione umana ha descritto a volte come una salita verso il cielo, una scala che dalla terra arriva a Dio stesso, altre volte, più rare, come una discesa. Poco importa l'immagine: c'è un passaggio da compiere, un itinerario da fare dalla dissomiglianza alla conformità a Dio, un ritorno da attuare, un esodo da vivere che trova comunque sempre un compimento pasquale nella morte. L'uomo che accetta di «camminare nello Spirito» (Gal 5,16), di vivere una vita sotto la signoria dello Spirito deve accettare di vivere la Pasqua in cui offre se stesso in olocausto puntualmente a Dio e così si ritrova in lui quale Figlio di Dio stesso, vivente della stessa vita di Dio.
1) Un cammino di conversione
La vita spirituale cristiana, oggi e qui, è vissuta da uomini e donne la cui fede il più delle volte è data dalla tradizione familiare: cristiani dunque battezzati dalla nascita, istruiti dal catechismo e approdati alla vita ecclesiale. A costoro non si darà mai la qualifica di «convertiti», mancando in loro quell'evento, quel mutamento che segna un prima e un dopo. Oggi però all'orizzonte ecclesiale riappaiono - ed è per grazia - dei cristiani che si dicono convertiti: o perché hanno conosciuto in modo imprevedibile Gesù e l'evangelo, o perché hanno maturato lentamente questa adesione al cristianesimo, oppure perché, fenomeno oggi vistoso, ricominciano, riprendono il cammino cristiano dopo un lungo esilio dalla fede e dalla chiesa. Insomma oggi riappare la conversione, e questo forse aiuterà i cristiani tutti a capirne l'essenzialità, l'assoluta necessità nella vita cristiana. Infatti le sante Scritture parlano della vita dei credenti in termini di conversione, di ritorno (teshuvà-metànoia), dunque di cambiamento di direzione, di mutamento di mentalità, di modo di pensare e di operare.
Tutti i profeti hanno incessantemente chiesto ai credenti di convertirsi, e il Nuovo Testamento si apre con il pressante invito del Battista e di Gesù: «Convertitevi e credete all'evangelo!» (Mc 1,4 e 15). All'inizio della vita spirituale sta dunque un atto ben preciso del cristiano: la conversione9. Ciò significa ripudio degli idoli e accettazione del Dio unico e vivente (cf. 1Ts 1,9), ma questo evento, non ci si illuda, è un evento voluto e plasmato dallo Spirito santo: «Fammi ritornare a te, o Signore, e io ritornerò» (cf. Ger 31,18). Solo lo Spirito può chiamare, attirare a Dio, solo lui può dare le energie necessarie per questo ritorno.
Tuttavia nella vita spirituale gli idoli cui si è rinunciato all'inizio dell'itinerario di fede sono ancora presenti, e il cristiano scopre che peccato e conversione non sono nel suo passato, come se nel presente regnasse in lui solo la grazia, ma che nella vita quotidiana gli idoli sono ancora seducenti, che altri nuovi idoli sorgono e di essi si esperimenta la schiavitù. Peccato, conversione e grazia sono coesistenti nel cristiano, e la sua vita spirituale appare dunque lotta contro gli idoli, decisione e atto di ripudio e di adesione alla volontà di Dio, presenza efficace dello Spirito stesso che è «remissione dei peccati»10 e vita divina. Si, fatica e grazia contraddistinguono la vita spirituale, perché il cristiano è uno che ha sempre bisogno di conversione (cf. Lc 15,7), ma sempre incontra colui che è venuto perché sia possibile il ritorno al Padre. Non si è credenti una volta per tutte, se non nel senso che c'è stato un atto di adesione al Signore voluto come definitivo, un atto sigillato dal battesimo ma che non ha reso esenti dal peccato.
Vita spirituale è dunque innanzitutto vita di un peccatore perdonato, di un peccatore che torna a Dio. Vale per il cristiano un detto riguardante la vita spirituale dei monaci: «Fu chiesto a un anziano monaco: "Abba, cosa fate voi qui nel deserto?". L'abba rispose: "Noi cadiamo e ci rialziamo, cadiamo e ci rialziamo, cadiamo ancora e ci rialziamo ancora!"»11.
Nessuna illusione, dunque, e nessun idealismo: la vita spirituale cristiana non è una inarrestabile ascesa verso l'alto, non è un cammino di perfezione dopo un no al peccato detto una volta per tutte all'inizio, ma è questo incessante tornare a Dio, questa incessante arte di riprendere la conformità a Cristo, questo costante ricorso al calice di Cristo che purifica nel suo sangue i nostri peccati. Proprio per questo Gregorio di Nissa ha detto che a colui che si alza occorre sempre rialzarsi, e a colui che corre verso il Signore non mancherà mai davanti lo spazio per correre... Nella vita cristiana infatti si va «di inizio in inizio attraverso inizi che non hanno mai fine»12.
Dunque la vita spirituale dev'essere innanzitutto «vita di conversione in atto», un continuo cedere alla grazia che ci attira e ci salva e un continuo alzarci dal peccato che ci vince. Lo Spirito santo che è in noi è non solo il maestro di questa lotta, ma è lui stesso a lottare in noi rinnovando sempre la nostra persona affinché possa essere, nonostante le nostre contraddizioni, dimora di Dio.
Ritorno al Dio vivente e vero, a colui che ci ha dato la vita, che ci ha amati per primo, che ci attira a sé...
b) La sequela di Gesù il Signore
In questo cammino di ritorno al Padre colui che ci precede è il Signore Gesù. Egli ha fatto conoscere tutto ciò che ha imparato dal Padre e ci propone di seguirlo: «Opìso mou! Seguimi!». Questa parola continua a echeggiare nel cuore di molti cristiani: si tratta, nella vita spirituale, di ascoltare questa voce come chiamata personalissima, si tratta di aderire ad essa con amore e libertà, si tratta di cogliere questa voce come voce «per me», indicante una forma di sequela richiesta a me! La chiamata non è mai una chiamata generale, spersonalizzata, e tanto meno è chiamata legittimata da un'utilità alla chiesa o all'umanità... E' sempre un evento in cui la parola personalissima del Signore Gesù chiede di essere là dove lui è (cf. Mc 3,14 e Gv 12,26), chiede di seguirlo «ovunque egli vada» (Ap 14,4).
Così la vita del cristiano «è nascosta con Cristo in Dio» (Col 3,3), perché è la vita stessa di Gesù, l'assunzione dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti (cf. Fil 2,5), un «camminare come lui ha camminato» (1Gv 2,6), uno stare nel mondo tra i fratelli «facendo del bene» (At 10,38), un vivere e un morire come lui è vissuto ed è morto. Vita spirituale diventa allora il vivere l'esistenza umana come l'ha vissuta Gesù, in perfetta obbedienza a Dio e in un'estrema fedeltà alla terra, cioè nell'amore senza fine e senza condizioni. Ecco perché tutti gli uomini possono, se vogliono, vivere in pienezza la vita spirituale: questa non è un'«altra» vita, non richiede di uscire dal mondo, e neppure di dimenticare la carne debole segnata dal peccato che l'uomo è: no, è vivere la vita umana come opera d'arte e scoprire che questo è il capolavoro cristiano che Dio attende da noi e del quale ci ha dato la forma nell'esistenza umana di Gesù.
Ecco, occorrerebbe ribadire oggi che questa esistenza umana di Gesù è stata esistenza buona, esistenza vissuta in pienezza, mi si permetta di dire esistenza «felice», in cui l'amore diventa un canto di comunione, la speranza un essere convinti fino alla fine, la fede un aderire giorno dopo giorno al proprio essere creatura di fronte al Creatore13. Sequela di Gesù è anche guardare il cielo e tentare di leggerne i segni, è amare i fiori dei campi, è sedersi alla tavola gioiosa degli amici e di quelli che sanno accogliere, è vivere con gli altri in un'avventura di amicizia e di progetto comune... Certo, all'orizzonte della sequela c'è la croce, ma noi dobbiamo guardare ad essa attraverso chi vi è salito sopra e non viceversa! E' lui, Gesù, che sulla croce svela la gloria autentica: cioè l'umiltà di Dio, il
Ecco perché nella vita spirituale questa sequela richiede come condizione che la si assuma giorno dopo giorno, senza rinnegare la fatica e a volte il pianto necessario, ma in libertà e per amore, sedotti, vinti dall'amore di Dio mostrato in Gesù. Perché chi non vive la sequela da figlio libero, ma da schiavo, prima o poi se ne va e non dimora sempre accanto al Signore (cf. Gv 8,35).
Non va comunque dimenticato mai che la sequela può solo essere vissuta nella luce pasquale della resurrezione... Noi abbiamo diritto, certo, di ispirarci a Gesù nella sua esistenza umana e a tutte le tappe di evoluzione che essa ha conosciuto, per ricevervi insegnamento e lezione, ma il nostro atto di fede in lui può solo trovare fondamento nella resurrezione! Una vita spirituale che vuole essere sequela di Gesù deve vigilare per non diventare «imitazione di sue situazioni umane»: questo rischierebbe di essere un cercare tra i morti colui che è vivente, e comporterebbe una regressione anziché essere comunione con lui, crescita alla sua statura.
Lo Spirito santo, «compagno inseparabile»14 di Cristo in tutta la sua vita, resta anche per noi colui che ci accompagna nella conoscenza di Cristo e nella sua sequela, non solo ricordandoci le parole, gli atti e gli eventi di Gesù, ma permettendoci di viverli con lui, sempre in comunione con lui (syn), in modo che sia formato Cristo in noi (cf. GaI 4,19: morphothé Christòs eri hymîn) e sia in noi vita.
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