Il problema, credo, sia che noi immaginiamo un prigioniero in un tribunale che chiede pietà al giudice. Sta al giudice stabilire se uccidere o liberare quest’uomo. La sola speranza dell’imputato è di umiliarsi e perorare la sua causa, e scongiurare il giudice di essere clemente.
Immaginati, piuttosto, l’uomo nella parabola di Gesù (Lc 10,30-37) che era stato derubato e picchiato sulla via di Gerico, poi lasciato mezzo morto. La sua impotenza era così estrema che non era nemmeno capace di chiedere pietà ai passanti, e il sacerdote e lo scriba passarono oltre, attraversando la strada. Tuttavia, il Samaritano lo vide e ne ebbe compassione, e lo salvò dalla morte.
Questo è il genere di “misericordia” che chiede la preghiera di Gesù. Non stiamo tentando di cavarci dagli impicci per un crimine ma piuttosto stiamo riconoscendo quanto l’infezione del peccato ci abbia danneggiato. Rivelando tutta l’intensità della nostra infermità al medico celeste, cerchiamo la sua compassionevole guarigione.
La parola ebraica è hesed, che ha il senso di amore paziente. Il profeta Hosea sposò una donna che era una prostituta. Sebbene lo avesse tradito molte volte, egli continuò a cercarla e a riportarla a casa. Questo è l’amore hesed, l’amore che tutto sopporta, un amore che è valoroso e irrompe nelle mura della filautìa e dell’orgoglio.
In greco, la parola è eleos, e molti nelle chiese d’occidente ancora pregano in greco “Kyrie, eleison” cioè “Signore, pietà”.
Nella chiesa dei primi secoli eleos doveva fare eco con elaion, che significa olio. Forse la tua esperienza con l’olio d’oliva potrebbe limitarsi all’insalata, ma nell’antico mondo mediterraneo, l’olio d’oliva era usato in un un’ampia gamma di situazioni e assolveva a funzioni essenziali. Uno stoppino messo in una lampada a olio poteva bruciare e illuminare una stanza. Le erbe medicinali erano combinate con l’olio d’oliva per la guarigione. Il Buon Samaritano “gli [all'uomo picchiato] fasciò le ferite, versandovi olio e vino” (quest’ultimo per le qualità antisettiche dell’alcool). L’olio d’oliva era anche un solvente per erbe per farne profumi. E ovviamente, era ed è un ottimo cibo: in una regione dove le risorse di grasso erano scarse, l’olio d’oliva era un alimento essenziale. Una quantità sufficiente di grasso nella dieta conferisce un colorito sano, e il salmista ringrazia Dio perché Egli dono “il vino che rallegra il cuore dell’uomo, l’olio che fa brillare il volto” (Salmo 104,15). Tutta questa eco poetica tra eleos e elaion contribuisce a un senso più pieno di “pietà”, rispetto all’italiano.
Credo che la maggior parte dei cristiani con i quali parlo non senta il bisogno di misericordia. Pensano al pentimento come a un iniziale gradino verso la salvezza, ma una volta che diventano seguaci di Gesù Cristo, una volta che si battezzano e vanno regolarmente in chiesa, si sentono pronti. Nell’Occidente contemporaneo, il pentimento è considerato come un’attività propedeutica alla vita in Cristo (quando lo si considera così…). In Oriente, il pentimento dura un’intera esistenza. La salvezza significa guarire dall’infermità del peccato: avremmo sempre a che fare con il peccato che ci infetta e dobbiamo sempre cercare di essere guariti a un livello ogni volta più profondo.
Frederica Mathewes-Green
tradotto da: F.M.G., The Jesus Prayer, pp. 80-82
D’altra parte, la nostra traduzione del “Kyrie eleison” con “Signore abbi pietà”, anche se esatta quanto ai termini, non ne altera forse il senso pieno? Il termine pietà, in italiano, ha assunto una sfumatura leggermente peggiorativa; “quella persona mi fa pietà”, diciamo talvolta con commiserazione; e ci capita anche di respingere la pietà di qualcuno, segno d’orgoglio o di presunione o più ancora di impotenza ad amare: “Io non voglio la vostra pietà!”
Per i Padri la pietà di Dio è lo Spirito Santo, è il Dono del suo amore. “Signore abbia pietà” vuol dire: ”Tu che Sei, manda su di me, su tutti, il tuo Soffio, il tuo Spirito, e tutto sarà rinnovato; che la tua Misericordia, la tua Bontà sia su di me, su tutti; non guardare alla mia impotenza ad amarti, a respirare in te, fa’ rifiorire il mio desiderio, trasforma il mio cuore di pietra in cuore di carne…”
Jean-Yves Leloup
tratto da J-Y.L., Esicasmo: che cos’è,
come lo si vive, Gribaudi, pp.116-117
Pregare, è innanzitutto tendere la mano verso Dio per ricevere. L’uomo, diceva Sant’Ireneo, è per essenza ricettacolo della bontà di Dio. Occorre però che egli accetti questo ruolo umile e magnifico, e dichiari di accettarlo pregando prima di ricevere e ringraziando dopo aver ricevuto: due gesti che nascono dalla medesima disposizione interiore, quella della creatura indigente davanti al Creatore che è al contrario infinitamente ricco e senza alcuna indigenza [...] Ciò che per [i grandi asceti] è supremamente desiderabile è Dio stesso, la sua grazia, la sua benevolenza, la sua carità, la sua salvezza. Le loro frequenti invocazioni o supplici esclamazioni non fanno che dare una spontanea espressione a qualcosa che in loro è permanente: l’atteggiamento perenne del mendicante davanti al Signore del cielo e della terra, o quanto meno la costante convinzione della necessità di tale atteggiamento.
Il trattato di San Nilo lo esprime chiaramente: «Prega innanzitutto per ottenere le lacrime, per ammorbidire col lutto la durezza che è nella tua anima; e, dopo aver confessato le tue iniquità al Signore, chiedi a Lui il perdono». Qui siamo ben lontani dall’attaggiamento di chi invoca il Nome per risvegliare in sé le energie della vita divina. Si tratta di un uomo che si riconosce peccatore e che ha bisogno della misericordia del suo Signore per ritrovare la sua primitiva bellezza. In questo atteggiamento è sottesa tutta una teologia che vede in Dio il Creatore e nell’uomo la creatura; una teologia che designa Dio Redentore e Salvatore in Gesù Cristo, e l’uomo peccatore salvato in Cristo stesso.
Per avere l’essenziale della preghiera del cuore, occorre un nome del Salvatore che contenga un atto di fede nella sua qualità di Messia, di Figlio di Dio, di Dio, ossia un atto di adorazione e duna domanda di pietà, ossia un atto di penitenza. “Abbi pietà di me” significa anche “dammi il tuo Santo Spirito, che io possa vivere la vita stessa del Figlio rivolto al Padre fin dall’inizio, che io possa vivere quella vita Trinitaria che è insieme il Paradiso perduto ed il Regno che deve venire”.
Jean-Yves Leloup
tratto da J-Y.L., Esicasmo: che cos’è,
come lo si vive, Gribaudi, pp.164-166
Restò l’adultera e il Signore, restò colei che era ferita e il medico, restò la grande miseria e la grande misericordia.
Sant’Agostino
(En. in ps. 50, 8 )
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