E’ la parte più profonda di noi: pensieri, sentimenti, avvenimenti sedimentati, desideri, atteggiamenti difensivi, aspetti emozionali ed istintivi.
Ignorando questa parte profonda che, con la parte cosciente, è nella nostra dimensione spirituale, noi arriviamo a conoscere il nostro essere interiore dove è il Signore Dio. Il quale come dicono gli induisti, dimora “nella caverna del nostro cuore”, nella parte più profonda del nostro essere.
Quando arriviamo a scoprire questa parte ci avviciniamo al Signore, infatti, quando iniziamo a conoscere la nostra identità più profonda, allora scopriamo in essa il Dio vivente.
Questo richiede l’umiltà che non è una nostra conquista ma un dono, di cui ci dobbiamo rendere conto per accettarlo.
Dice S. Agostino:
“L’umiltà è pressoché l’unica disciplina cristiana” (Discorsi 351,3,4)
e Giovanni Cassiano aggiunge che essa è
“la maestra di tutte le virtù” ed inoltre, proprio per evitare all’ascoltatore inutili rischi ed illusioni, continua:
“Essa è il dono proprio e magnifico del Salvatore” (Conferenze 15,7)
Allo stesso proposito anche Giovanni Climaco dice:
“Credere di non essere orgogliosi è una delle più chiare manifestazioni che lo si è” (la scala del Paradiso 23,128)
Umiltà, parola spesso mal compresa, ma realtà indispensabile.
E ancora S. Bernardo di Chiaravalle:
“senza un abbassamento molto concreto non c’è umiltà”, umiltà come abbassamento; S. Paolo, riferendosi a Gesù, nella sua lettera ai Filippesi dice:
“Egli si è abbassato, per questo è stato innalzato” e Gesù stesso dirà:
“Chi si abbassa, sarà innalzato” (Mt 23,12) Si tratta dunque di percepire, in ogni azione, la nostra debolezza ed, allo stesso tempo, l’aiuto di Dio che ci accompagna. Naturalmente abbiamo tante maschere e tante difese più o meno inconsce; non c’è che da attendere che il Signori le elimini … attraverso le umiliazioni derivanti dalle tentazioni.
Umiltà è, allora, saper riconoscere la propria miseria.
Proviamo a guardarci dentro, come dall’alto, e così avremo una nozione della nostra piccolezza e della vanità e superficialità di tante nostre agitazioni, preoccupazioni e di tanti nostri pensieri.
Il guardare se stessi, giungere alle radici del nostro essere, attraverso i sentieri paludosi d’atteggiamenti formali, d’apparenze da salvare, porta a percepire Colui alla cui immagine e somiglianza siamo stati fatti, Colui che in noi aspetta di essere scoperto per crescere.
Il non conoscere il proprio cuore, il proprio essere interiore, il proprio io profondo conduce ad una vita essenzialmente esteriore, che porta ad identificarsi con i propri successi, con ciò che si possiede, con l’aspetto fisico, con il proprio essere psicologico, con pensieri e
sentimenti, con nozioni ed erudizione.
“Il regno di Dio è dentro di noi” (Lc 17,21) ed è soltanto per mezzo dello Spirito Santo che arriviamo alla consapevolezza del nostro essere interiore.
Per molte persone questo essere profondo si è addormentato, o non si è mai svegliato, “sonnecchia”, direbbe S. Bernardo.
Lo Spirito vuole e può svegliarlo in noi e renderci manifesta la bellezza che deriva dall’essere immagine e somiglianza di Dio, può e vuole manifestarci la realtà divina del nostro cuore, nella nostra vita.
Discendere dentro noi stessi, come dicevamo sopra.
Questo inevitabilmente ci porterà a scoprire degli aspetti del nostro essere che assolutamente non ci piacciono. Ciò fa parte delle umiliazioni cui abbiamo accennato, ma queste saranno una grazia, perché conoscendo la nostra miseria, non giudicheremo gli altri, ci apriremo invece
conformando i nostri desideri a quelli altrui.
Ci verrà allora richiesto di diventare piccoli, di diventare, davanti al Signore, come bambini.
Saremo guidati a cedere, a permettere a Dio di agire dentro di noi, ed allora comprenderemo che ci si arricchisce essendo poveri nello spirito, si cresce divenendo piccoli nella Sua mano, si sale discendendo (è l’abbassamento).
Ma questo discendere in noi e questo spogliamento progressivo, opera del Signore, porteranno alla gioia dell’incontro ed alla pace che ne deriva.
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