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Lunedì, 09 Aprile 2007 14:29

LUCA 18, 9-14

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La preghiera del discepolo

«Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: “Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.

Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo.

Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato».

Meditatio

Luca conosce alcuni pericoli tipici dei cristiani: proporsi ideali troppo alti, sentirsi migliori degli altri, fare della preghiera un narcisismo. Ecco, allora, due modelli di preghiera: il fariseo presuntuoso e l’umile pubblicano.

Vediamoli da vicino.

Il fariseo.

E’ legalmente perfetto: sale al tempio due volte al giorno per la preghiera pubblica e questo gli da sicurezza. Ritiene di meritare la salvezza. La sua preghiera è lunga, ma con una breve preparazione: si mette li e comincia a pregare ruotando intorno a se stesso. Prega stando ritto. Si riempie la bocca di parole, fa un monologo. Non guarda Dio, ma se stesso con compiacenza. Non ritiene di aver bisogno né di perdono né di conversione. Non ha coscienza di essere peccatore e perciò non invoca la salvezza. Comincia con un ringraziamento a Dio e continua con l’autoincensazione e la condanna degli “altri”.

Il pubblicano.

E’ un esattore delle tasse, membro di una categoria altamente disprezzabile. Ha e manifesta una viva coscienza del suo essere peccatore. Non ha nulla di cui vantarsi. La sua preghiera è breve. Rimane indietro nel tempio, non osa alzare lo sguardo. Si percuote il petto, prega con il corpo, non osa paragonarsi agli altri, non osa alzare gli occhi al cielo. Dimostra con i fatti la sua miseria spirituale, il suo peccato. Invoca la misericordia di Dio. La sua preghiera è un vero dialogo, perché sa attendere...

Sappiamo, come per Luca, il pubblicano torna a casa giustificato perché ha riconosciuto la propria verità e l’ha offerta a Dio nel pentimento e il sedicente “giusto” torna a casa abbandonato. La preghiera gradita a Dio è quella in cui ci offriamo senza trucchi!

Essere perdonati, allora, vuol dire essere giustificati. Noi a volte rischiamo di “sfruttare” Dio per mettere in buona luce noi stessi, preghiamo noi stessi, adoriamo noi stessi. E’ necessario, invece, avvertire la distanza da. Dio per riconoscere chi siamo realmente dinanzi a Lui. Il perdono non lo si ottiene con i nostri meriti o le nostre virtù. Ciò che vi è di “nostro” ci allontana da Dio, solo ciò che vi è di suo in noi ci avvicina a Lui.

Ancora, la giustificazione si ottiene con la preghiera che è il luogo in cui incontrare Dio, il luogo in cui far crescere nel proprio intimo lo Spirito di Gesù. Pregare è fare esperienza della risurrezione. Gli Atti degli Apostoli parlano spesso di una comunità orante. Nella preghiera sperimentiamo la liberazione, i sensi di colpa perdono la loro forza, le “tombe si aprono”...!

Abbiamo visto il rapporto tra il fariseo e Dio e tra il pubblicano e Dio. E abbiamo anche visto il “giudizio” di Dio su entrambi. Vorrei proporvi anche di riflettere un momento sul rapporto tra il fariseo e il pubblicano, tra di loro per trarne spunti di verifica nel rapporto tra di noi.

Spesso, infatti, ci comportiamo come il fariseo nei confronti dei fratelli. Forse ci capita di storcere il naso sui “nuovi arrivati” nel nostro gruppo, associazione, ambiente, o su coloro che non hanno alle spalle un passato onorevole. Ma proprio costoro, avendo sperimentato la grazia del perdono, sono i più cordiali. Chi vive il perdono come liberazione perdonerà anche agli altri di cuore! Per Gesù l’uomo in sé non è cattivo. A volte manca il bersaglio della sua vita e perciò si rifiuta e condanna se stesso. Ma Gesù, con la sua morte, ci ha donato una nuova comprensione di noi stessi, un nuovo modo di vedere la nostra vita. Gesù ci apre gli occhi per guardare a noi stessi e al mondo con occhi diversi! Questa è la conversione! E non ci si converte con la forza, ma è Gesù che rende possibile l’incontro con Lui.

Chi si mette su questo cammino che Gesù ha aperto, realizza in pieno la propria vita.

Ora, in un congruo spazio di silenzio, applica la Parola che hai letto a te stesso/a e chiediti, sempre di fronte alla Parola, se:

  • Ti sei riconosciuto/a?

  • Ti accade di sentirti meglio degli altri?

  • Cerchi davvero di conoscere lealmente te stesso/a?

ORATIO

Ora quello che la parola ti ha detto e quanto è scaturito dalla meditato trasformalo in preghiera

Ciò che conta è che sgorghi dal tuo cuore. Non importa che sia breve o che non appaia sublime.

 

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