La mistica ebraica, la Kabbala, raccomanda, più che un’unione a Dio, una comunione con lui: essa è tensione, cammino, itinerario dell’anima condotta da Dio. È ritorno alla sorgente della realtà, alla vita della vita.
Infatti il kabbalista rifiuta ogni identificazione del Creatore con la creatura , considerandola come una deificazione dell’uomo. Egli sa che la sua meditazione non è solitaria: la si pratica all’interno di un gruppo di meditanti, questo almeno nella linea della tradizione.
Lungamente nascosta, a volte rifiutata, esiste una mistica meditativa ebrea (qabalah chél kavanot), praticata presso gli hassidim (uomini pii) i cui primi circoli fiorirono in Germania nel XII secolo.
Più tardi, nel XVIII secolo fu sviluppata dall’hassidismo polacco di Baal Chem Tov.
Il rappresentante più conosciuto della meditazione Kabbalistica è rabbi Abraham Aboulafia (1240-1292). Maestro spagnolo, creò un sistema di meditazione fondato sull’alfabeto ebraico.
Le 22 lettere dell’alfabeto ebraico vi sono considerate come delle vie reali verso la sorgente sacra che è in noi.
Esse detengono le forze della creazione.
Il corpo è implicato nell’esperienza della meditazione. Poco importa la postura. Uno che è agli inizi può usare anche la posizione coricato a terra, sul dorso.
Il meditante inizia con degli esercizi di respirazione preliminari simili a quelli della respirazione yoga: inspirazione, ritenzione del respiro, espirazione. Anche qui l’espirazione deve durare almeno il doppio dell’inspirazione.
Questa respirazione meditativa prosegue con un esercizio di vocalizzazione.
L’espirazione si accompagna con l’emissione di un suono, in generale una delle 10 vocali, che ha come scopo di regolare la lentezza ed il ritmo del respiro producendo delle vibrazioni particolari.
Aboulafia utilizza soltanto 5 vocali: holam (O), qamats (A), hinq (I), tséré (E’), qoubouts (OU).
L’esercizio consiste nel fare 5 respirazioni mormorando ogni volta un suono differente dopo la ritenzione del respiro. Bisogna concentrarsi sull’emozione che viene risvegliata dalla vocale.
Così il corpo è energetizzato, come le lettere che gli danno fondamento.
Nel pensiero ebraico il mondo non preesiste al linguaggio, si forma in lui e per mezzo di lui.
Sia che si tratti di una seduta di respirazione o di vocalizzazione dedicatele al massimo dieci minuti.
Per il kabbalista, prima di avere un senso, in lettera, “cavallo di fuoco”, è un grafismo. Private la lettera della sua funzione di lettera che appartiene al linguaggio e consideratela soltanto come una forma grafica.
Si produce allora un fatto decisivo: in presenza di questa lettera voi provate un sentimento differente. Tutto comincia con il meravigliarsi.
Appaiono un’altra lingua, un senso vivo. Avete dato una nuova forma al vostro sguardo ed avete rotto con la percezione classica.
Per alcuni Kabbalisti questo cambiamento di significato permetterebbe di percepire il brusio dell’assoluto.
Di fronte alla nuova lettera, sfuggite ai significati stereotipi. L’uomo si inventa man mano che inventa nuovi significati.
La meditazione ebraica è uno sforzo costante di emancipazione e di ritrovamento del sé.
Una tradizione ebrea tramanda che : “Ogni brano della Torah ha 600.000 volti, significati, secondo il numero dei figli di Israele che si trovavano sul Sinai. Ogni volto è visibile soltanto per uno di loro, rivolto verso lui solo, non può essere aperto che da lui.”
Aboulafia raccomanda vivamente di utilizzare le forme delle lettere come supporto della meditazione: “Nella calma e nella penombra, prendete una penna, dell’inchiostro ed un foglio”. Tracciate una serie completa di lettere dell’alfabeto ebraico e lasciatevi impregnare da esse. Scrivete le lettere fino a poterle memorizzare.
Gli occhi chiusi, meditate visualizzando tutto ciò che quella lettera evoca per voi a livello individuale e collettivo.
Occorre mettersi nella situazione mentale di aleph, bèt, guimel, ecc.
Potete praticare ciò da solo o in gruppo.
Se siete gruppo discutete tra voi le evocazioni risvegliate da queste lettere; se siete soli, annotatele in un quaderno.
Quando si scopre l’esercizio, ci si concentra su una sola lettera (ed una sola vocale) per seduta.
In seguito fate la stessa cosa meditando sulle lettere del vostro nome ebreo, poi su quelli dei vostri ascendenti, poi su quelli dei vostri figli in modo da iscrivervi in un valore temporale vivente che riassume passato e futuro.
Per la tradizione ebraica non esiste futuro senza passato.
Non dedicate a questo più di due ore al giorno.
Questo esercizio sui nomi è un preliminare al lavoro sui nomi divini. L’uomo fonda la sua energia sul nome di Dio.
I meditanti esperti consacreranno numerose sedute al nome di Dio.
L’uomo attinge la sua energia dal nome di Dio, il tetragramma YHVH (Yod-Hé-Vav-Hé), dal quale derivano tutti gli altri nomi e parole, applicandovi le diverse tecniche di respirazione.
Attenzione bisogna dissociare la visualizzazione mentale dalle lettere della vocalizzazione: il tetragramma, quattro consonanti senza vocale, è impronunciabile e non può essere vocalizzato.
È scritto, non per essere detto; ma può essere commentato, meditato, tradotto con altre lettere, con altri nomi (Aboulafia).
Ma potete andare più lontano. In ebraico ogni lettera ha un valore numerico: la lingua è il risultato di combinazioni infinite (così, per esempio, aleph vale 1, bét vale 2, vav vale 6, yod vale 10 ecc.)
Ogni associazione di lettere può divenire parola e numero.
L’analisi combinatoria praticata dai kabbalisti consiste nello scoprire e nello spiegare tutte le combinazioni possibili. Il kabbalista erra all’interno di una parola: si parla di livello zero del senso.
“Il senso comune di una parola abita al pianterreno, si può salire e scendere il gradino di una parola” (G. Bachelard).
Queste parole che non vogliono più dire nulla parlano per dire il nulla.
Il linguaggio diviene silenzio ugualmente potrà mettere in relazione ed interrogare filosoficamente delle parole aventi pari valore numerico.
Si tratta di un punto di partenza mistico per il pensiero per aiutarlo ad andare “al di là del versetto”.
Gioco di destrezza di lettere,di cifre, di parole, queste combinazioni di lettere e di cifre sono un esercizio preparatorio all’estasi, una delle scale dell’anima alla ricerca dell’Uno.
La pratica ne è progressiva ed orientata, per passare per balzi successivi da una sfera ad un’altra.
Permutando le lettere che compongono una parola, cercandone il valore numerico cambiando, sostituendo, combinando, separando le parole e le cifre il kabbalista è trascinato in una lunga meditazione che lo conduce al cuore dell’energia che risiede nelle lettere.
Per l’hassidismo, l’uomo non esiste, egli deve inventarsi ugualmente, i testi sacri, sempre nuovi, debbono liberare per ogni scintilla spirituale, il suo potenziale di senso e di santità.
Perciò, dobbiamo educarci ad uscire da noi stessi, a superarci, ad iscriverci in un movimento creatore.
La meditazione diviene allora un’arte di lettura e di interpretazione dei testi dove il linguaggio esplode per introdurci maggiormente nell’infinito.
Fare
Non cercate di comprendere il testo, ma di comprendere voi stessi davanti al testo.
Lo studio dei testi: Bibbia, Talmud, Zohar è uno dei livelli più alti della meditazione. Senza di esso, spirito e meditazione si disseccano.
NON FARE
Praticare la meditazione troppo in solitudine.
Cadere nella trappola del simbolismo delle lettere.
Ad ogni meditazione esse debbono avere un’interpretazione differente.
Fermarsi ad una sola interpretazione.
Continuare la meditazione anche se porta alla tristezza.
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