Nell’islam di oggi, una riflessione dall’interno
La situazione della donna musulmana nella società contemporanea è il risultato di un’eredità storica sulla quale pesano il modello sociale tradizionale e i resti di un sistema di asservimento basato sulla clientela e sulla sottomissione in ambito politico, sociale ed economico, e governato dal conflitto interno tra le sue varie componenti.
La donna musulmana si trova tra due correnti: la prima, lontana dal nucleo dell’islam, è basata su tradizioni consunte, sul fanatismo e l’estremismo religioso; la seconda, anch’essa estranea a questo nucleo, oscilla tra i valori islamici e quelli occidentali, cerca di leggere il Corano e la Sunna con la lingua di Marx, Freud, Jacques Derrida o attraverso il pensiero orientalista, senza far attenzione alla peculiarità della società arabo-islamica, producendo una donna estranea alla sua stessa identità, governata dalla relatività e dalla dualità dei valori. Quest’ambivalenza si palesa in alcuni di coloro che si fanno chiamare «illuminati» e che a volte raccomandano la necessità di una lettura nuova e contemporanea della storia islamica e dei testi sacri – e quindi anche una rilettura della questione del velo – mentre confessano, in altre occasioni, che la donna senza velo è ribellione al Creatore e che il velo è un obbligo divino per tutte le musulmane.
Sotto il cumulo delle tradizioni
Varie correnti di pensiero hanno cercato, a partire dall’epoca della rinascita araba, di scoprire le problematiche e le ragioni dell’arretratezza e della debolezza della società araba e fino a che punto la religione sia responsabile di questa crisi. La condizione della donna musulmana oggi è il risultato dell’accumularsi di idee prodotte durante centinaia di anni, dove il tempo ha elevato al grado della sacralità ciò che era inizialmente oggetto di discussione e sforzo intellettuale; questi valori si sono così trasformati in tabù sui quali è vietato non solo dibattere ma anche riflettere.
Tutto ciò potrebbe essere ricondotto fondamentalmente all’aver fatto della jabariyya (1) la categoria filosofica sulla quale la società islamica ha costruito il proprio sistema di pensiero e la propria metodologia di comportamento, spogliando così la sua umanità dalla categoria di libertà, dalla necessità di giudicare secondo ragione e dallo sforzo dinamico al quale incita il Corano: «Potete forse ordinare alla gente la probità e dimenticare voi stessi, mentre pur leggete il Libro? Non ragionate dunque?» (Sura 2,44).
La religione è venuta a organizzare la vita umana e a elevare la creatura, in virtù delle leggi poste da Dio nel mondo. L’islam si rivolge all’uomo anzitutto in quanto essere umano e poi in quanto musulmano, allo scopo di costruire una società civile che si innalzi a principi di umanità, prendendo in considerazione tanto i valori da considerarsi stabili quanto quelli che invece mutano a seconda dei tempi e dei luoghi.
Il problema che si pone dunque oggi è come comprendere il patrimonio islamico e poter dare applicazione pratica ai suoi ideali, così da produrre modelli viventi ed efficaci che liberino la religione dalla prigionia delle tradizioni che hanno acquisito una nota di sacralità.
Il potere in famiglia
L’uomo musulmano contemporaneo non vieta alla donna il diritto all’istruzione, come in passato. Ma nonostante egli abbia riconosciuto che essa è pienamente sviluppata dal punto di vista delle capacità intellettuali e nonostante desideri, in linea di principio, vederla partecipare alla vita economica, tuttavia teme le sue capacità e continua così a impedirne il contributo a livello legislativo, giudiziario e politico e a tenerla in posizione d’inferiorità nell’alveo familiare.
Ciò si può ricondurre all’interpretazione sbagliata di alcuni versetti del Corano concernenti diritti e doveri della donna, la cui applicazione si è trasformata in una pratica sociale tradizionale che ha prodotto donne e madri soddisfatte, loro per prime, di questa situazione di sottomissione e di resa. L’espressione coranica «Rimanete con dignità nelle vostre case» (Sura 33,33) è stata interpretata in modo sbagliato dall’uomo e presa come pretesto per nascondere la donna in casa e impedirle di compiere il suo ruolo effettivo di «altro polo» della società. Le è stata imposta la sottomissione e il suo ruolo è stato limitato a quello del lavoro domestico e della riproduzione. Non ci sono dubbi sul fatto che il ruolo della madre e le sue responsabilità nell’educazione dei figli siano tra i compiti più importanti e più grandi che Dio ha riservato alla donna. Quello che ella semina nelle anime dei suoi figli e delle sue figlie gioca un ruolo essenziale nella formazione della loro personalità, e i modelli di pensiero veicolati nelle famiglie di origine si rispecchiano, nella maggior parte dei casi, nel comportamento dei giovani giunti all’età adulta. Accade però che la madre sia spesso profondamente influenzata dalle consunte abitudini della società e che pratichi sui figli, inconsciamente, le stesse ingiustizie da lei subite; quelli che domani saranno uomini godono così, sin dall’infanzia, di una sorta di «immunità sacra», ereditando un gran numero di privilegi ingiusti, come quello della differenza tra maschi e femmine della famiglia, e abituandosi a considerarsi indipendenti da qualsiasi sistema di valori, senza darsi troppa cura degli autentici principi della religione. Spesso la questione principale nella famiglia arabo-islamica si riduce all’assicurare alla ragazza un marito capace di proteggerne l’onore e la rispettabilità.
Sono pochissime le ragazze che avvertono il grande divario esistente tra la loro formazione e quella dei maschi della famiglia, che si fanno domande sulla pratica profondamente radicata dei diritti e dei doveri, che hanno preso a discutere e ad analizzare i testi religiosi, scontrandosi con l’ambiente circostante, in particolar modo con le loro madri, portatrici di una maniera di pensare arretrata; e oltretutto non è raro che vadano incontro alla sconfitta, schiacciate tra le due correnti citate, quella del dominio delle tradizioni e quella dell’ambivalenza, a tal punto che non possiamo essere assolutamente certi dell’esistenza di una classe di giovani donne in grado di uscire da queste due correnti per realizzare un cambiamento qualitativo.
C’è poi la questione dell’uomo preposto alla donna, presente nella Sura 4,34 del Corano: «Gli uomini sono preposti alle donne, a causa della preferenza che Allah concede agli uni rispetto alle altre e perché spendono [per esse] i loro beni». L’uomo è preposto alla donna nel farsene amorevolmente carico dal punto di vista morale e materiale, e inoltre per quanto riguarda le differenze inerenti al diritto di eredità, ma ciò non significa certo un permesso alla pratica del predominio e dello sfruttamento.
E questo è l’unico punto sul quale l’uomo ha un vantaggio sulla donna, come è detto nella Sura 2,228: «Esse hanno diritti equivalenti ai loro doveri, in base alle buone consuetudini, ma gli uomini sono superiori». L’islam riconosce in realtà alla donna la capacità di gestire il proprio denaro, il diritto di amministrare le proprietà personali, quello di essere tutrice di un minore, e il diritto di partecipare alla vita politica, sociale e intellettuale. Se la società non le riconoscesse questi diritti come potrebbe poi considerarla pari all’uomo nell’applicazione della pena quando viene perpetrato un crimine?
Donne predicatrici
Un secondo campo di analisi interessante è quello riguardante il ruolo esercitato oggi dalla donna, in vari contesti sociali, nella diffusione della religione. Abbiamo la figura della promotrice, che si attiva per attirare il maggior numero possibile di altre donne a lezioni che hanno luogo settimanalmente nella moschea o in abitazioni private. Raramente tuttavia la promotrice parla delle principali problematiche presenti nella nostra civiltà islamica, sulle quali sarebbe necessaria una maggiore presa di coscienza: i diritti umani, la libertà di pensiero e il rispetto delle opinioni altrui, la maniera di affrontare tutte le forme di colonialismo, gli interessi scientifici, letterari e filosofici, nodi che si trovano prima alla base della coscienza umana, e poi di quella religiosa.
Il risultato del comportamento di queste promotrici e del continuo riproporre idee relative a modelli stabiliti, senza attivare alcun raziocinio, è spesso quello di danneggiare i figli della famiglia islamica. A mio avviso il problema è che, reputando sé stesse responsabili dell’orientamento religioso e della formazione della coscienza delle donne, non si interessano molto alla comprensione dei fondamenti sostanziali del diritto islamico, occupandosi perlopiù della scorza delle cose, ripetendo formule tradizionali e rafforzando così l’arretratezza di pensiero dominante in questa fascia di popolazione. Va anche aggiunto che il moltiplicarsi dei movimenti islamici, intorno ai quali si muovono le promotrici, ha condotto alla dispersione delle donne e ha generato meccanismi ideologici di scontro tra i vari movimenti, causando divisioni tra le file delle musulmane. Si sono moltiplicati gli scopi, gli orientamenti, le appartenenze ideologiche, ed è di conseguenza impedita la possibilità di un dialogo costruttivo tra le donne e questo genere di movimenti, così come la possibilità di dialogo tra donne e uomini.
Per quello che riguarda invece il ruolo delle insegnanti di religione nella scuola pubblica o privata, esso si limita alla ripetizione incessante dei programmi approntati dal Ministero dell’educazione. Si tratta essenzialmente di una materia secondaria fondata sulla memorizzazione, senza che si agisca in vista della correzione di concetti errati e dello sviluppo del senso critico degli studenti.
La sessualità, oltre il velo
A questo proposito un discorso va fatto sulla coscienza religiosa dell’uomo e sulle sue responsabilità al riguardo. Possiamo considerare il sesso una delle forze nascoste che muovono la società. Esso può esser concepito come un bisogno animale istintivo puro, come mangiare e bere, venendo quindi separato completamente dal sistema dei valori morali; ciò allora giustificherebbe il fatto di ricorrere a ogni mezzo possibile per soddisfarlo. Oppure va considerato come un bisogno subordinato a un sistema di valori morali ben preciso, attraverso il quale l’essere vivente si solleva dal livello dell’animalità a quello dell’uomo razionale ed etico.
La donna è quella creatura affascinante che, per prima, entra in dialogo con la mente dell’uomo, colei verso la quale si dirigono i suoi comportamenti, così come l’uomo è il simbolo che agisce nell’anima della donna e colui che influisce sulla sua esistenza. L’interazione tra i due prende corpo attraverso linguaggi con i quali entrambi si esprimono, ivi incluso il linguaggio della relazione sessuale. Il Corano ha ammesso la forza che il desiderio sessuale esercita nell’essere umano, maschio e femmina: «Dio vuole rendervi i pesi leggeri, poiché l’uomo fu creato debole» (Sura 4,28). Il sesso è una responsabilità etica collettiva collegata radicalmente alla responsabilità individuale dell’uomo, ma la realtà della condizione maschile nella nostra società è contraddittoria, giacché egli rimane in una fase di adolescenza sessuale.
Dal tempo dell’arretratezza e della mancanza di comprensione della natura femminile e della sua stessa natura, l’uomo ha appreso a considerare l’occhio come mezzo fisico di connessione del desiderio, come porta di compensazione dei propri complessi sessuali, e non vede nella donna che un corpo femminile mediante il quale spegnere le proprie tensioni fisiologiche. Ella è, a suo avviso, una sorta di «ricettacolo» creato per lui, che egli modella per il suo piacere, ponendo nel suo intelletto ciò egli si raffigura e nel suo corpo ciò che da lui trabocca. Da una parte vedi l’uomo che osserva ammirato i movimenti e i vestiti delle donne svelate mentre dall’altra lo trovi pieno di vergogna qualora appaia il minimo segno di femminilità sulle ragazze della sua famiglia; rovesciando semplicemente su di esse la sua idea della donna che provoca il desiderio maschile, ordina che siano velate e nascoste in casa. L’intenzione di custodirsi dalla seduzione è diventata così pretesto, nella maggior parte dei dottori della legge e dei fanatici, per allontanare la donna musulmana dalla sua società, dimenticando tuttavia che il Corano dice anche agli uomini di abbassare lo sguardo e di preservarsi.
Come se non bastasse i valori morali sono stati divisi tra valori maschili e femminili: la castità, il pudore, la preservazione dell’onore sono qualità femminili, mentre l’uomo si libera dal fardello della custodia della propria castità e del proprio pudore, collegando l’idea del proprio onore al comportamento della madre, della sorella o della moglie, senza minimamente badare all’onore della donna o alla sua dignità, quando è lui, ad esempio, che la tradisce.
L’islam non chiude certo la donna in casa per il fatto che essa è una seduzione irresistibile per l’uomo, altrimenti avrebbe allontanato l’uomo dalla donna; così come non le attribuisce la responsabilità del sentimento di debolezza che l’uomo prova di fronte alla sua femminilità, al punto che alcuni musulmani, al tempo del Profeta, si sentirono così oppressi da chiedere il permesso di evirarsi, temendo di non essere in grado di custodirsi attraverso l’istituto legale del matrimonio (degno di nota che il Profeta non consentì loro di evirarsi ma consigliò piuttosto di digiunare).
Il linguaggio del rapporto sessuale è una comunicazione tra due sposi che si accettano reciprocamente e non è certo partecipabile ad altri. La donna musulmana velata vuole dire, mediante il suo velo, che ella non è di dominio pubblico, che il suo corpo non è un luogo dove possano soffermarsi gli sguardi, né punto di transito dei desideri; quando poi una donna si sceglie un compagno con il quale usare questo linguaggio in armonia e affetto, solo allora toglie il velo in sua presenza, significando che lo ha voluto come proprio compagno.
Al tempo del Profeta la donna si mostrava all’uomo che desiderava sposare, come verifica del reciproco gradimento, senza che ciò significasse per la donna scalfittura dell’onore o riduzione della castità e della dignità. Anzi, a quel tempo gli uomini giungevano a consultare le donne su svariati argomenti, compresi quelli riguardanti i rapporti sessuali. Allo stesso modo molti saggi e scrittori, come Ibn Hazm (994-1064), Ibn Qayyim al-Jawziyya (1292-1350) e Ibn al-‘Arabî (1165-1240) hanno molto discusso le problematiche dell’amore e delle relazioni sessuali tra uomini e donne nell’islam, senza vergogne né fanatismi.
Non solo, alcuni di essi hanno espresso chiaramente il diritto della donna al piacere sessuale e al rispetto della sfera del suo appetito sessuale, nonché l’attribuzione all’uomo della responsabilità di proteggerla e di mostrare finezza nell’intimità sessuale per non provocarle disgusto o altro pregiudizio. Il filosofo e dottore della legge Abû Hâmid al-Ghazâlî (1058-1111) ha, per esempio, radicalmente criticato l’idea che sia l’uomo il soggetto attivo, per via della sua condizione fisiologica, e la donna quello passivo, ed esige dall’uomo che si unisca alla sua sposa secondo le necessità di quest’ultima.
Nonostante questi problemi facciano intimamente parte dei diritti delle donne e che la donna non si trovi più nel tempo dell’arretratezza della società islamica, ella non ha mai osato dibattere su tali argomenti. Il sesso è considerato tabù, e il discorso religioso tradizionale si limita a quello che è il piacere dell’uomo e ai suoi diritti sulla donna in questo ambito. La donna musulmana per prima dovrebbe accorgersi che il prodotto del pensiero islamico è un discorso maschilista per eccellenza, centrato sulle esperienze, le rappresentazioni, le interpretazioni dei testi riguardo a ciò che spetta all’uomo, il quale poi si riserva di enunciare ciò che spetta alla donna.
Ma in realtà l’islam s’indirizza alla donna sul piano della ragione e della sensibilità femminile, facendola esistenzialmente pari all’uomo, responsabile di fronte a Dio e partecipe dello stesso significato in quanto essere umano: «I credenti e le credenti sono alleati gli uni degli altri. Ordinano le buone consuetudini e proibiscono ciò che è riprovevole» (Sura 9,71).
Questione importante è anche il diritto di ogni musulmana di leggere il sacro Corano, di discuterne le idee, di farne l’esegesi e l’ermeneutica in modo personale e oggettivo, in accordo con la realtà e con le sue aspirazioni, rimanendo attaccata ai principi ma senza il minimo fanatismo. È lei che può meglio capire i propri diritti e doveri, che meglio conosce il proprio essere e che può giungere, di conseguenza, a una forte coscienza del proprio ruolo alla luce del suo credo religioso.
In passato la donna musulmana ha esercitato un ruolo efficace in molti ambiti, dedicandosi al Corano, ai hadith (2) e alla giurisprudenza, giungendo fino alla mistica; il primo trasmettitore dei detti di Muhammad è una donna, Umm Ma‘kil al-Asadiyya, che ci ha trasmesso dieci hadith, né mai si è avuta notizia di qualche sapiente che abbia rifiutato le sue parole o ne abbia messo in dubbio la veridicità per il semplice fatto che fosse una donna. La storia è piena della grazia e della scienza di donne come questa, tra le quali ci piace ricordare Sitt al-‘Arab, precettrice del grande teologo e giureconsulto Ibn Taymiyya (1263-1328). La strada che porta a una piena coscienza religiosa è lunga e irta di difficoltà, e non è sufficiente un rifiuto silenzioso delle idee dominanti e consunte da parte della donna musulmana; al contrario, ella deve infrangere questo silenzio e lavorare per purificare le menti e partecipare pubblicamente ed efficacemente con la sua voce di essere umano e di donna alla creazione di un modello vivente che possa risollevare la società islamica e rendere a tutte le donne i loro diritti. L’uomo contemporaneo non potrà che constatare il proprio fallimento totale nel momento in cui pretenderà di tenere in mano le redini della società in modo esclusivo: la prova è quanto avviene nella nostra società immersa nel materialismo e nella relatività dei valori, lontana dalla spiritualità e da principi morali assoluti.
La società islamica non riuscirà a realizzare l’equilibrio e la compiuta civilizzazione, prima dal punto di vista umano e poi da quello islamico, se non mettendo in pratica quanto detto dal Profeta dell’islam: «Le donne sono sorelle degli uomini».
Shîrîn Daqûrî *
Note
1) Corrente e dottrina che insiste fortemente su destino e predestinazione.
2) Detti e fatti attribuiti a Muhammad.
* Shîrîn Daqûrî, musulmana sunnita, ricercatrice presso la Facoltà di filosofia dell’Università di Damasco.