Ecumene

Mercoledì, 07 Settembre 2011 19:04

Il dialogo ebraico-cristiano nelle riviste «SeFeR», «Confronti» e «Qol» (Piero Stefani)

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La Nostra aetate non è un testo in se stesso dialogico; essa piuttosto concerne alcune precondizioni indispensabili perché il dialogo possa avvenire. In definitiva si tratta dei modi con cui si guarda l'«altro».

L'incontro con l'altro

Introduce: Piero Stefani

Mi è stato chiesto di introdurre e di coordinare questo incontro fra riviste particolarmente attente al dialogo cristiano-ebraico: «SeFeR», «Confronti», «Qol». Nello stesso tempo sono qui anche nella mia qualità di redattore di una testata specifica: «Il Regno». Cercherò di venire a capo — in breve — del compito che mi è stato affidato.
Che cos'è una rivista? Qualcuno, dall'esterno, potrebbe rispondere: una pubblicazione intermedia tra un libro e un quotidiano. Si è perciò di fronte a un genere di pubblicazione votato ad approfondire e a far riflettere senza per questo trovarsi nelle condizioni di produrre delle vere e proprie monografie. Può essere che sia anche così; tuttavia, per chi ci lavora, la definizione più pregnante è un'altra: si tratta di un periodico. Vale a dire, è una testata che dichiara di essere pubblicata a date prefissate. Le sue uscite avvengono quindi secondo determinate scadenze. Nel succedersi dei cicli stagionali qualche volta capita che il tiepido primaverile ritardi, che continui a piovere quando ci dovrebbe essere il solleone, o che in montagna si facciano attendere più del dovuto le nevicate che dovrebbero dare il là alle settimane-bianche. Analogamente, anche nei periodici possono esserci ritardi. Se sono rari e contenuti, li si perdona e ci si perdona. Diverso il caso se essi sono frequenti e gravi. Si possono trovare giustificazioni, ricorrere alla estrema ratio dei numeri doppi; tuttavia il senso di colpa non è facilmente esorcizzabile. Da qui l'affanno che prende le redazioni quando si avvicina la scadenza fatidica e si constata o di essere indietro nella programmazione, o che il pezzo promesso non è giunto o che è arrivato ma è tutto da riscrivere. Quelle appena elencate sono tutte realtà ben familiari per chi lavora nei periodici. Se poi non si riesce proprio a far fronte ai ritardi, non resta che cambiare periodicità, così come è successo per la più gloriosa rivista dell'ebraismo italiano «La rassegna mensile di Israel» che, ormai da anni, conserva la scadenza dei trenta giorni solo nel titolo.
Vi è però anche il rovescio della medaglia: la rivista è un periodico esigente anche per il suo lettore. Anche lui a volte vede quella scadenza come una specie di minaccia: prima di avere completato di leggere il numero precedente gli arriva il successivo; anche per il lettore i ritardi si accumulano a ritardi; allora ci si limita a sfogliare le pagine o, peggio, si lascia la rivista dentro il suo cellophane ma si può anche toccare il fondo e prendere la decisione — non sia mai — di disdire l'abbonamento.
La rivista è un periodico pure a causa di motivi più pensosi dei precedenti. Per chi vi lavora e anche per chi la legge, il suo ritmo, meno tumultuoso di quello di un quotidiano, favorisce gli sguardi retrospettivi. Il periodico è uno strumento predisposto a misurare le stagioni della politica, della società, delle Chiese, delle religioni e via discorrendo. Gli indici delle annate — indominabili nel caso di un giornale - nel caso dei periodici si rivelano invece luoghi di riflessione per soppesare cambiamenti e continuità, per tentare periodizzazioni e valutazioni. Le riviste sono mezzi predisposti a misurare i mutamenti dei tempi, anche se sarebbe eccessivo accreditarle della capacità di leggerne i segni. È certo comunque che nel loro parlare tanto il linguaggio della cronaca quanto quello dell'analisi, i periodici sono un osservatorio privilegiato per cercare di discernere — per la piccola parte di loro spettanza — le linee guida operanti nella realtà. Va da sé che non si tratta solo di rose e fiori: lo sguardo retrospettivo non di rado evidenzia anche i propri errori interpretativi. Il «ci abbiamo preso» si alterna sempre al «ci siamo sbagliati»; l'orgoglio della prima constatazione è quindi opportunamente temperato dall'umiltà della seconda.
Per il settore che qui ci interessa, «Il Regno» rappresenta una specie di osservatorio di cronaca e di analisi relativo all'evoluzione dell'atteggiamento cattolico nei confronti del popolo ebraico. La rivista non si occupa solo di questo; per limitarci a un unico esempio: nelle sue pagine si trovano molti articoli dedicati alla situazione mediorientale o anche a fenomeni interni all'ebraismo, specie italiano. Tuttavia non si sbaglia nell'affermare che la definizione appena avanzata coglie un aspetto peculiare e qualificante del nostro impegno. Essa ben si inscrive in due tratti costitutivi della rivista: il suo essere cattolica e conciliare.
«Il Regno» non è una testata riservata in maniera programmatica al dialogo. Senza alcun dubbio non è estranea a questo mondo; tuttavia, a differenza di «SeFeR», «Confronti» e «Qol», non si presenta, in prima istanza, come una rivista che trova nel dialogo con l'ebraismo o con altre fedi il suo punto di riferimento esclusivo o almeno predominante. La sua dicitura ufficiale lo qualifica come Quindicinale di attualità e di documenti. Di fatto è una rivista cattolica impegnata a promuovere e, negli ultimi anni, sempre più anche a difendere, l'eredità del Vaticano II. Appunto in questa duplice luce si può, in relazione allo specifico del nostro incontro, riprendere l'espressione appena impiegata fa: «atteggiamento cattolico nei confronti del popolo ebraico». Non si tratta di un'espressione scelta a caso. Essa allude a uno specifico documento conciliare: la dichiarazione Nostra aetate. Il sottotitolo ufficiale del documento è «Declaratio de Ecclesiae habitudine ad religiones non-christianas». Habitudo può rendersi, in questo caso, appunto con «atteggiamento», «modo di porsi». La Nostra aetate non è un testo in se stesso dialogico; essa piuttosto concerne alcune precondizioni indispensabili perché il dialogo possa avvenire. In definitiva si tratta dei modi con cui si guarda l'«altro». Fino a quando lo sguardo è prevenuto, l'incontro è bloccato. Occorre però compiere un passo ulteriore. L'impaccio, l'incertezza, il timore restano anche se l'occhio non è completamente risanato. Per indulgere al linguaggio corrente (che in realtà sarebbe conveniente abbandonare), un autentico incontro con 1'«altro» presuppone che quest'ultimo faccia parte della nostra «identità». Senza riconoscere F«altro» che è in noi, non è attuabile alcuna reale apertura verso il «diverso» da sé.
Su un piano teologico elevato, l'incipit del n. 4 della dichiarazione Nostra aetate parla un linguaggio consono a quanto si è appena venuti dicendo. In esso infatti si afferma che è proprio scrutando il mistero della Chiesa che il concilio fa memoria del vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato alla stirpe di Abramo. Quindi si può affermare che la maniera in cui la Chiesa guarda al popolo d'Israele ha delle ricadute immediate e precise sui modi in cui essa si definisce come comunità di fede. Ciò è sempre stato vero; tuttavia, in passato, per la massima parte si parlò la lingua dell'ostilità e della «teologia sostitutiva» (visione per la quale la Chiesa era il nuovo Israele); invece dal Vaticano II in poi si cerca, non senza fatica e oscillazioni, di individuare un legame declinato sul versante positivo. In questi anni si tenta di passare da un'alterità vista come un pericolo in quanto considerata estranea e avversa a se stessi, a un'alterità considerata prima di tutto come una componente costitutiva della propria origine. Si tratta di una dinamica che, in un certo senso, richiama quella inscritta in un celebre passo biblico: «Mio padre era un arameo errante» (IV 26,5).
Il tema dell'alterità, non più vista sotto forma di contrapposizione, contraddistingue quanto meno altri due aspetti peculiari de «Il Regno». Il primo è la difficoltà, propria ancora di larga parte della società civile, a conseguire una comprensione adeguata del discorso religioso in generale e di quello cristiano in particolare. Infatti, dal punto di vista dei mass-media, la tendenza prevalente a livello di macro-informazione è di risolvere i cristianésimi nel cattolicesimo e quest'ultimo nelle gerarchie o addirittura nel papa. «Il Regno», nel limite delle sue forze, vuole prospettare, pure alla società civile, un orizzonte più ampio. In questo senso la sua vocazione ecumenica va al di là dell'attenzione, peraltro mantenuta costante, riservata ai rapporti tra le Chiese. Negli ultimi decenni è risultato evidente che una conoscenza superficiale e spesso distorta dei fenomeni religiosi è dotata, non di rado, di ricadute drammatiche sulla società. Questo atteggiamento de «Il Regno» comporta la sua funzione di pungolo — esercitato lungo itinerari, dati i tempi, percorribili solo con costante vigilanza — perché nell'ambito del cattolicesimo si abbandoni ogni traccia di confessionalismo. La battaglia è ardua; infatti, come è noto, ignoranza o conoscenza superficiale del fatto religioso da parte del mondo laico e clericalismo sono due facce della stessa medaglia.
Vi è infine un'altra estraneità che «Il Regno» cerca di sanare. Essa riguarda la sua dichiarata vocazione documentaria. Abbiamo già ricordato che la testata si qualifica come Quindicinale di attualità e di documenti. Il mondo delle Chiese, e in primis quello cattolico, è prodigo nella produzione di testi scritti. Ciò è dovuto anche alla sovrabbondanza di congregazioni, pontifici consigli, altri organismi o vaticani o legati a conferenze episcopali e così via, propri della Chiesa cattolica. Ognuno di essi fatalmente deve lasciare la propria impronta cartacea.
Dal concilio in poi si è prodotta una montagna di testi. La maggior parte di essi rimane appannaggio degli specialisti. Colto sotto questa angolatura, le Edizioni Dehoniane di Bologna — «Il Regno» fa capo al Centro Editoriale Dehoniano — è celebre per la serie dei suoi Enchiridion, strumenti indispensabili per gli studiosi. Questa produzione pletorica necessita di essere selezionata e offerta a una più ampia cerchia ecclesiale. Sulle prime, potrebbe sembrare che ciò si risolva solo in un, sia pur utile, servizio di informazione. In effetti non è solo così. Vi è un risvolto più profondo. È una constatazione inoppugnabile che anche i testi più ricchi ed elaborati e animati da un autentico spirito conciliare, in genere abbiano inciso poco sulla vita delle comunità ecclesiali. La non conoscenza si salda con la mancanza di mutamento. Anzi sì può persino giungere a sospettare che una certa modalità di produzione documentaria, nonostante i suoi contenuti, in realtà sia funzionale soprattutto a far restare le cose così come sono. Togliere i documenti dalle loro nicchie e offrirli a un più vasto pubblico ecclesiale fa perciò parte integrante della vocazione conciliare de «Il Regno». Va da sé che si tratta di una mediazione non priva di fatica, anche e soprattutto per il lettore, che si trova tra le mani una rivista da leggere — e a volte anche da studiare — e, dunque, non consona alla fruizione ormai più consueta riservata ai periodici: l'essere sfogliati.
Le considerazioni generali ora esposte valgono, nello specifico, anche in relazione ai testi del dialogo cattolico-ebraico. Su questo fronte, da un lato sono stati pubblicati e commentati tutti i documenti più rilevanti mentre, dall'altro lato, gli eventi e le polemiche più vulgate (spesso trattate in modo superficiale o inadeguato dai mass-media) sono state (e sono) interpretate alla luce di riferimenti più approfonditi e pertinenti. Non sembri frutto di una presunzione eccessiva ritenere che a volte questa esegesi di testi o discorsi sia stata considerata illuminante anche da parte di chi — in più alto loco — era stato chiamato a chiarirli.

Piero Stefani

(da Vita Monastica - rivista trimestrale di liturgia, spiritualità, ecumenismo - LXIV - n. 246   luglio - dicembre 2010)

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Letto 10360 volte Ultima modifica il Lunedì, 05 Dicembre 2011 22:01
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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