Ricominciare dalle Dieci Parole
di Andrea Pacini
Preceduta da molte attese e da non poche difficoltà è avvenuta il 17 gennaio la visita di papa Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma che segna in ogni caso un rilancio del dialogo e dei rapporti tra Chiesa cattolica e comunità ebraica, non solo a livello locale, ma anche a livello universale. È’ chiaro che la visita del Papa - vescovo di Roma, ma anche pastore universale della Chiesa cattolica - alla Sinagoga romana assume una valenza che supera il livello cittadino. La visita è avvenuta al termine di almeno due anni di travaglio, in cui non sono mancati elementi di tensione con la comunità ebraica.
Tali elementi sono stati essenzialmente tre: la promulgazione del nuovo oremus pro Iudaeis per il rito romano straordinario della messa, la revoca della scomunica ai vescovi ordinati da monsignor Lefebvre, di cui uno - monsignor Williamson - noto per le sue posizioni negazioniste nei riguardi della Shoà, e infine l'inizio di apertura del processo di beatificazione di Pio XII dopo che a dicembre 2009 ne è stata proclamata l'eroicità delle virtù. Sul primo elemento le obiezioni sono di tipo teologico: almeno una parte di ebrei ritiene che il nuovo oremus, esplicitando la richiesta perché essi riconoscano il Cristo come Salvatore, metta in dubbio il valore salvifico attuale dell'alleanza di Dio con il popolo di Israele, e proponga quindi esplicitamente una prospettiva di conversione alla fede cristiana.
Proprio a causa di questo oremus due anni or sono l'assemblea dei rabbini d'Italia sospese il dialogo tra comunità ebraica e Chiesa cattolica. Gli altri due elementi sono invece di ordine storico e vertono sulla Shoà e la sua tremenda valenza per il popolo di Israele e per tutta l'umanità, e sulla posizione di Pio XII in tale contesto.
Bisogna riconoscere che l'opera di mediazione attuata nei confronti della comunità ebraica è stata ampia e articolata in questi anni: subito dopo lo scoppio delle polemiche per il nuovo oremus vescovi di somma autorevolezza teologica e "dialogica" quali il cardinale Kasper, monsignor Ravasi, monsignor Bruno Forte, hanno offerto spiegazioni efficaci inerenti il nuovo oremus, che per un verso non può che esprimere la speranza escatologica cristiana di un "raduno" di tutti i popoli presso il trono di Cristo redentore, per altro verso non intende sminuire il carattere salvifico dell'alleanza di Dio con il popolo di Israele, che mantiene tutta la sua attualità, anche se, in prospettiva cristiana, non può che trarre la sua efficacia dal mistero di Cristo cui tale alleanza è finalizzata.
Si sono dunque distinti l'autocoscienza propria della fede religiosa cristiana in rapporto all'ebraismo, e il riconoscimento "religioso" ribadito della comunità e fede ebraica. Sebbene manchino informazioni dettagliate sul decorso dei rapporti, le giustificazioni devono essere parse esaurienti, se l'assemblea rabbinica di Italia ha tolto la sospensione al dialogo permettendo la ripresa della celebrazione della Giornata per la conoscenza dell'ebraismo il 17 gennaio 2010. Se sulla Shoà non esistono contenziosi aperti, dal momento che essa è stata più volte condannata dal magistero pontificio, rimangono invece divergenze di valutazioni storiche sull'operato di Pio XII.
La rinnovata distensione dei rapporti tra Chiesa cattolica e comunità ebraica, su cui ha influito senz'altro anche la visita del Papa in Israele la scorsa primavera, ha avuto dunque piena manifestazione lo scorso 17 gennaio con la visita del Papa alla Sinagoga di Roma. In tale sede da parte ebraica sono stati ancora puntualizzati due argomenti: l'importanza di non recedere dagli insegnamenti del concilio Vaticano II in rapporto all'ebraismo, e la richiesta di una valutazione storica più esauriente dell'operato di Pio XII in rapporto alla persecuzione degli ebrei attuata dal nazismo. Non ci si può nascondere che il dialogo con i cattolici scismatici di monsignor Lefebvre viene seguito con apprensione dal mondo ebraico, che ben conosce le obiezioni teologiche poste dal vescovo scismatico sia rispetto alla libertà di coscienza, sia rispetto all'ecumenismo e al dialogo interreligioso: sono queste infatti le ragioni per cui monsignor Lefebvre non ha accettato l'insegnamento del concilio Vaticano II L'assenza del Rav Giuseppe Laras, presidente dell'assemblea rabbinica in Italia, all'incontro con il Papa in Sinagoga ha voluto ribadire questo disagio e timore. In questa prospettiva le ripetute assicurazioni da parte della Santa Sede che il dialogo teologico con la Fraternità di San Pio X non potrà mettere in questione l'insegnamento magisteriale del Concilio sono quanto mai importanti ed eloquenti.
Infine è importante sottolineare almeno due aspetti del discorso del papa Benedetto XVI in Sinagoga. Il primo aspetto riguarda la tragedia della Shoà e le responsabilità per quegli orrori. Il Papa ha sottolineato con incisività che il male è stato causato da «ideologie terribili che hanno avuto alla loro radice l'idolatria dell'uomo, della razza, dello Stato e che hanno portato ancora una volta il fratello a uccidere il fratello. Il dramma singolare e sconvolgente della Shoà rappresenta, in qualche modo, il vertice di un cammino di odio che nasce quando l'uomo dimentica il suo Creatore e mette se stesso al centro dell'universo».
Ricordando la sua visita ad Auschwitz del 28 maggio 2006, Benedetto XVI ha riaffermato che l'uccisione di tanti uomini esprimeva in effetti il fatto che i fautori di tale ideologia intendevano «uccidere Dio». Sottolineando la tragicità della Shoà, il Papa ne ha però penetrato anche in modo profondo il significato "universale", mettendo in risalto il pericolo insito in ogni visione totalitarista del mondo che esclude Dio: sono questi pericoli ancora attuali.
Il secondo aspetto è la proposta del Papa di valorizzare nel dialogo tra cristiani ed ebrei i dieci comandamenti o le Dieci Parole. Essi costituiscono un patrimonio fondamentale comune e, pur essendo rivelati da Dio, sono però accessibili anche alla ragione naturale di ogni persona di retta coscienza. Il decalogo, afferma il Papa, «costituisce un faro e una norma di vita nella giustizia e nell'amore, un "grande codice" etico per tutta l'umanità; in quanto tale offre alla ragione un orizzonte con cui confrontarsi per costruire vissuti umani degni dell'uomo e della sua dignità, e dunque conformi alla volontà di Dio che è il grande "garante" della dignità dell'uomo».
Nella valorizzazione del decalogo si nota un'ulteriore valorizzazione da parte di papa Benedetto XVI di un tema a lui caro, ovvero quello della ragione. Senza escludere la possibilità e anche la necessità del dialogo teologico - necessariamente appannaggio di specialisti - il Papa propone con forza un dialogo e una collaborazione delle religioni tra loro e con tutti gli uomini sulla base della retta ragione cui la fede porta luce, ma che è in grado di identificare e di aderire a principi etici fondamentali universali a tutela della dignità ,della persona umana sul piano individuale e associato. E nella convergenza su tali valori - che nel decalogo sono sintetizzati - e nella loro applicazione concreta che il dialogo tra le religioni può portare quei frutti di rinnovato umanesimo, promotori di giustizia, pace, rispetto tra i popoli e per ogni uomo, disinnescando le forze che hanno prodotto le tragedie del XX secolo.
(da Vita Pastorale, n. 3, 2010)