Ecumene

Venerdì, 04 Giugno 2010 20:40

Maimonide (1135 – 1204) (Salomon Malka)

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Pensatore formato agli studi rabbinici e alla filosofia greca e araba, giudice e capo della comunità ebraica d’Egitto nel sec. XII, Mosè Ben Maimon ha lasciato un’opera che nutre ancora oggi il pensiero ebraico.

Maimonide (1135 – 1204)

di Salomon Malka

Sulla piccola piazza di Barrio de la Juderia, l’antico quartiere giudaico di Cordova,  si erge, non lontano dalla sinagoga, la sua statua dal profilo elegante, volto fine, barba corta ben tagliata, e testa cinta di un turbante. Mosè ben Maimon, detto Maimonide, chiamato con il suo acrostico Rambam e soprannominato “L’aquila della sinagoga”, è considerato il maggior pensatore ebraico dopo il Medioevo. Ha praticato insieme lo studio, il pensiero, la leadership, la riflessione e l’azione e così ha riunito la tradizione giudaica, il pensiero aristotelico e il pensiero del “kalam”. A questo titolo rimane il più illustre rappresentante dell’età d’oro andalusa.

Maimonide è nato nel 1135 a Cordova in Spagna, una sera di Pessah. Suo padre, giudice rabbinico, fu il suo principale maestro. A 13 anni fugge la persecuzione religiosa degli Almoadi che hanno conquistato l’Andalusia, erra con la famiglia attraverso la Spagna cristiana e si rifugia, quando ha 25 anni, a Fez in Marocco. Di là si reca per breve tempo in Terra santa, devastata dalla seconda crociata, e si stabilisce a Fostat, la vecchia città del Cairo, dove diviene, per gli ebrei d’Egitto, un maestro incontestato.Educato nell’amore del Talmud e delle scienze, nutrito di una duplice cultura – studi rabbinici e filosofia greca e araba – formato alla medicina, Maimonide è nominato medico di corte da Saladino, poi “naguid”, cioè insieme rabbino, giudice e capo della comunità ebraica d’Egitto. Sono  richieste dovunque le sue cure. Riccardo Cuor di Leone gli fa delle proposte che egli rifiuta. Si trova bene in Egitto dove è ricolmato di onori e di considerazione. Là dunque vive e scrive fino alla fine della sua vita, prima di essere seppellito, a sua richiesta, a Tiberiade. Su quel che si suppone sia la sua tomba, una mano aveva scritto: “Qui giace un uomo, eppure non un uomo. Se tu fosti un uomo, sono degli esseri celesti che ti hanno generato”. L’iscrizione fu in seguito cancellata e sostituita con queste parole: “Qui giace Mosè Maimonide, l’eretico messo al bando”. Iscrizione ancora una volta cancellata e sostituita da una terza, più chiaramente visibile: “Da Mosè a Mosè, non ci fu uno eguale a Mosè”.

Il portavoce del razionalismo

L’opera di Maimonide comporta tre sezioni. I suoi scritti religiosi, e prima di tutto il Mishneh Torah, alla lettera “la ripetizione della Tora”, compilazione e sintesi delle leggi giudaiche quali derivano dalla Torah, dalla Mishnah e dal Talmud. Egli lascia anche un’opera di medicina scritta in greco, che apre la strada alla medicina psicosomatica: la sua effige rimane sul frontone della facoltà di medicina di Parigi. Infine i suoi scritti filosofici, fra cui la Guida degli smarriti, scritta in arabo ma in caratteri ebraici, rivolta a coloro che erano turbati dallo studio delle scienze profane e che faticavano a mettere d’accordo la ragione e la fede. Basando la religione sulle sole virtù dell’intelligenza e della morale, egli scarta le magie, le superstizioni e confronta l’ebraismo con le correnti di pensiero del suo tempo. Una grande parte del libro è consacrata al linguaggio della Bibbia, agli antropomorfismi –la mano di Dio, il volto di Dio... – che egli traduce in termini allegorici, evitando così le speculazioni mistiche. Tradotta in ebraico dal suo discepolo Samuel Ibn Tibbon, quest’opera fa il giro dell’Europa e dell’Africa settentrionale, provocando insieme l’entusiasmo, le passioni, le controversia e la polemica in seno al  mondo rabbinico. Dopo la sua morte si assiste a un vero kulturkampf: il codificatore è accusato di aver reso inefficace il Talmud. Si diffida persino dei suoi tredici dogmi che riassumono il “credo” del giudaismo – le sue principali credenze, oggi recitate quotidianamente alla fine dalla preghiera del mattino. Gli viene rimproverato di aver rinchiuso la religione in un busto. Ma nello stesso tempo l’opera conosce un successo immenso nel mondo ebraico. L’uomo che ha scritto di non aver mai conosciuto “l’ozio in cui gli uomini si insabbiano” rimane il simbolo di un giudaismo aperto, in dialogo con il suo  tempo, che parla alla ragione e all’intelligenza ed evita tutto quello che assomiglia alle superstizioni e alle credenze freddolose. Nel sec. XII è stato il portavoce più eloquente e più convincente del razionalismo ebraico. Rimane anche il simbolo di una Spagna delle tre religioni, luogo di un ribollimento culturale del quale gli ebrei sono stati al contempo i beneficiari e gli attori.

Monoteismo e sentieri della Torah

Più di ottocento anni dopo la sua morte, la filosofia di Maimonide continua a nutrire il pensiero ebraico. In Israele Avi Ravizky, responsabile del dipartimento di pensiero ebraico all’università ebraica di Gerusalemme, ha pubblicato uno studio che evoca, fra l’altro, le relazioni del giudaismo con il cristianesimo e l’islam. Egli dimostra che l’approccio di Maimonide è più complesso di ciò a cui lo si è spesso cercato di ridurlo – l’idea che gli altri due monoteismi preparano in modo eguale la venuta del messia. Di fatto il filosofo andaluso riteneva che l’islam è più vicino al monoteismo puro che il cristianesimo. E viceversa, per quel che riguarda lo studio, la pratica dei comandamenti, la vicinanza ebraica è maggior con i cristiani, più legati alla Bibbia, anche se la interpretano a loro modo, la spiegano diversamente. L’atteggiamento di Maimonide si può riassumere così: il giudaismo è più vicine all’islam sul piano teologico, più vicino al cristianesimo sul piano testuale e storico, egualmente vicino all’uno e all’altro sul piano escatologico.Come già prima Léo Strauss, così Ravinsky si interessa al rapporto fra la filosofia e l’uomo d’azione. Al suo rapporto con la pedagogia e con la lingua. È uno degli aspetti più invitanti della Guida degli sviati, che si apre con un breve poema di tre righe e si chiude con un altro poema altrettanto breve. Si tratta di due avvertimenti al lettore: chiunque si sente sviato sui sentieri della Torah potrà trovarvi di che nutrire la sua fede, a condizione di non compiacersi nell’ignoranza e a condizione di averne la volontà. La finalità del libro è spiegata fin dalle prime righe.

La cura della pedagogia

Nella sua introduzione alla traduzione inglese della Guida, Léo Strauss insiste sullo stile proprio dell’opera, che unisce scrittura e insegnamento orale. Una specie di conversazione intima con un alunno supposto (o reale), in cui l’autore si dà la pena, a ogni tappa del ragionamento, di verificare se è stato seguito e di rispondere a eventuali domande. Si rivolge a lui ora in maniera diretta, ora in maniera allusiva. Riprende spesso la stessa frase modulandola, attenuandola, come se il filosofo dovesse sempre preoccuparsi della ricerca della verità senza trascurare le verità del momento. Come se occorresse esprimersi al tempo stesso per un pubblico scelto e per la persona qualunque. Lo dice d’altronde nella sua introduzione, precisando che”dissimulerà” affinché “chi può comprendere comprenda”.

Questa dissimulazione è pedagogica. Maimonide credeva alle virtù di una educazione filosofica. Compito del filosofo è di far passare il suo lettore dal “timore di Dio” – che è dato a tutti – all’”amore di Dio” – prerogativa dei profeti e dei sapienti. Ma questo compito è anche politico: la città ideale è il luogo dove i filosofi sono possibili. Ecco la grande e bella idea di Maimonide, che rimane oggi più che mai terribilmente attuale.

(da Le monde des religions, n. 29, pp. 46-47)

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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