E' POSSIBILE VEDERE DIO?
Contemplare vuol dire vedere. Vi sono, però, diversi modi di vedere.
- La prima visione più spontanea si raggiunge con gli occhi corporali ed in genere con i sensi. In questo mondo non vediamo altro che la superficie degli oggetti: negli uomini si osserva il loro corpo; nella Sacra Scrittura la lettera; nella natura visibile le forme, i colori, i profumi, ecc.
- La seconda visione è per mezzo della mente, dell'intelletto. Questa visione va più in profondità. Negli uomini scopre le doti della loro anima; nella Sacra Scrittura si studiano i contesti storici ed i sensi filologici; la natura visibile diviene oggetto della scienza naturale. In questo modo si possono studiare anche le cose divine come scienza teologica che, però, non è in se stessa preghiera.
- All'orazione appartiene la terza visione (la theòria spirituale) che si raggiunge con il cuore puro. «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8).
Ogni cosa è stata creata da Dio, tutto il mondo è santificato dallo Spinto Santo: deve, quindi, avere un senso divino, spirituale. La contemplazione è una ricerca di questo senso. Tutto ciò può essere espresso anche diversamente. Dio ha creato il mondo per mezzo della sua Parola e Saggezza. I contemplativi sono capaci di sentire questa Parola ed ammirare le tracce della Sapienza divina, ciò che Dio vuole dirci per mezzo degli eventi, dei fatti del mondo.
ESISTONO DEI GRADI NELLA CONTEMPLAZIONE?
Evagrio distingue cinque gradi della theòria:
1) contemplazione naturale o delle cose visibili;
2) contemplazione delle cose invisibili;
3) contemplazione del giudizio;
4) contemplazione della Provvidenza;
5) contemplazione della SS. Trinità, cioè la "teologia".
- La contemplazione naturale si esercita nel cercare di vedere in ogni cosa creata un simbolo, un segno delle cose divine. Essa segue la linea tracciata dal vangelo: guardate gli uccelli del cielo..., i gigli dei campi... (Mt 6,26ss). Santa Caterina da Siena, come si legge nella sua vita, traduceva in senso spirituale tutto ciò che vedeva: la scala di casa le ricordava che deve continuamente salire a Gesù; il fiore, la bellezza dell'anima, ecc.
- La contemplazione delle cose invisibili sembra essere complicata. Invece si può esercitare in maniera semplice. Invisibili sono i nostri pensieri, eppure dobbiamo contemplarli, saper distinguere i buoni dai cattivi per fare una scelta continua.
- Contempla il giudizio colui che si rende conto che ogni nostra opera porta delle conseguenze: ogni male che abbiamo fatto ritorna, più tardi, come punizione. Perciò, quando soffriamo qualche ingiustizia, dobbiamo esaminare quando e come abbiamo noi stessi fatto torto a qualcun altro.
- La contemplazione della Provvidenza è tipica per la Bibbia. Gli Ebrei, riflettendo sulla loro storia, hanno capito che essa non è spiegabile se non collegata alla mano di Dio che la dirige. E così ogni cristiano deve scoprire quotidianamente (per es. esaminandosi la sera) come Dio entri di continuo nella sua vita, dato che ogni uomo ha una storia sacra, una storia dell'anima.
- La teologia, la contemplazione della SS. Trinità, è il grado più elevato della theòria e si realizza specialmente nei cosiddetti stati mistici.
QUALE È L'ORGANO DELLA CONTEMPLAZIONE?
La conoscenza umana comincia con i sensi. Rimane tuttavia mutilata se si sofferma solo alle impressioni sensibili. Contro il pericolo dello scetticismo (che affermava che ognuno vede secondo il suo proprio modo), gli antichi filosofi greci mettevano in rilievo l'infallibilità della ragione umana che conosce la realtà e, quindi, anche Dio. Al contrario, la Bibbia insegna la trascendenza di Dio e dei suoi misteri. Con la ragione noi conosciamo Dio in quanto egli è la prima causa di tutto. Ma Dio come Padre si rivela solo a coloro che sono di cuore puro.
CON QUALE METODO SI PURIFICA IL CUORE?
I Padri rispondono: vivendo cristianamente, purificandosi dal peccato e dalle passioni, praticando le virtù. Tutto ciò viene espresso in greco col termine praxis. Ne segue un principio, secondo la forma dell'aforisma: la praxis conduce alla theòria, la vita cristiana alla conoscenza di Dio, alla contemplazione.
QUALE È LA RELAZIONE FRA LA CARITA' E LA CONTEMPLAZIONE?
Fra tutte le virtù, la prima è la carità. Senza di lei è quindi impossibile conoscere Dio in modo cristiano, come amore. Scrive un autore russo, B. Vyseslavcev: «E' profetica, rispetto ad ogni intellettualismo recente, questa espressione di Leonardo da Vinci: "Un grande amore è figlio di una grande conoscenza". Noi cristiani orientali possiamo dire il contrario. Una grande conoscenza è figlia di un grande amore».
MA TUTTI I CONTEMPLATIVI SONO MISTICI? CHE COSA È LA MISTICA?
In passato si chiamavano mistici solo certi fenomeni straordinari, riservati a pochi eletti. Ma questo atteggiamento è cambiato specialmente negli ultimi anni. Tutta la vita cristiana, dai suoi primordi, viene vissuta nel mistero dell'amore divino; è quindi, per natura sua, una ascesa mistica. Una ascesa che nella tradizione cristiana si esprime metaforicamente come una salita sul monte.
Mosè che salì la montagna del Sinai per poter parlare con Dio è divenuto per san Gregorio di Nissa il simbolo dell'anima nelle elevazioni mistiche.
Schematicamente, si possono distinguere quattro gradi fondamentali di questa salita.
Il primo grado della vita spirituale è simboleggiato dagli Ebrei che stavano nella pianura davanti al monte e non osavano avvicinarsi. Vedevano i fulmini e sentivano i tuoni, avvertivano la potenza del Signore e lo temevano. L'inizio della saggezza è il timore di Dio.
Il secondo grado è il grado della cosiddetta "teologia positiva". Il suo simbolo è Mosè che sale progressivamente in alto. L'anima sale quando impara ogni giorno di più, acquista sempre più una nuova nozione sulle cose di Dio leggendo le Scritture e meditandole.
Il terzo grado è rappresentato da Mosè quando arriva sulla cima del monte: non può proseguire oltre e scopre che Dio non è ancora lì. Questo stadio viene definito quello della "teologia negativa". È la scoperta del mistero divino, più alto di tutto quello che l'intelletto può concepire, incomprensibile, inesprimibile. Questo stato viene chiamato la "dotta ignoranza". Dopo aver studiato le cose divine, sappiamo di conoscere poco.
Il quarto grado, infine, è quello della teologia mistica. Non potendo comprendere Dio, lo desideriamo lo stesso, anzi ancora di più, lo cerchiamo non più nella luce (cioè nella comprensione), ma nelle tenebre. L'anima prende le ali dell'amore e vola nell'estasi, rapimento del cuore, verso il Desiderato. L'uomo è grande nella misura in cui è grande il suo amore, e secondo la grandezza del suo amore comincia a rendersi conto di quanto sia grande l'oggetto del suo amore.
«Io dormo, ma il mio cuore veglia», dice la sposa nel Cantico (5,2). Dio, come prima causa dell'universo, viene scoperto con gli occhi dell'intelletto. Ma Dio come carità si rivela solo a coloro che lo amano: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli" (Mt 11,25).
COME SI PUO' PREGARE SEMPRE?
«Non ci è stato prescritto - dice Evagrio - di lavorare, di vegliare e di digiunare costantemente, mentre invece è per noi legge pregare senza interruzione». Così infatti leggiamo nella prima lettera di san Paolo ai Tessalonicesi: «Pregate incessante mente» (1Ts 5,17). Gli autori spirituali, tuttavia, si sono divisi nell'interpretazione delle due parole: pregare e sempre.
I messaliani (cioè gli "oranti", una tendenza spirituale fra i monaci siriaci) hanno preso il comandamento più alla lettera: pregare è dire le preghiere, e sempre è rifiutare ogni opera profana, soprattutto il lavoro manuale. I monaci, secondo la loro opinione, devono essere "Maria", mentre i secolari 'Marta".
Gli acemeti (cioè "coloro che non dormono", membri di un monastero famosa Costantinopoli) credevano di realizzare l'orazione perpetua con la collaborazione, l'avvicendamento della comunità, la successione nelle ufficiature da parte dei diversi gruppi di monaci, in modo che la preghiera non fosse mai interrotta dentro alle mura del convento. Per questo coloro che vivevano nel vicinato li chiamarono "quelli che non dormono".
La soluzione classica del problema, tuttavia, viene espressa da Origene: «Prega senza posa colui che unisce la preghiera alle opere necessarie e le opere alla preghiera. Soltanto così possiamo realizzare il precetto di pregare senza posa». Questo consiste nel considerare tutta la vita come una grande preghiera in cui ciò che abbiamo l'abitudine di chiamare preghiera è soltanto una parte. Questa dottrina iu generalmente accettata sia in Oriente che in Occidente e viene espressa anche dal motto benedettino Ora et Labora.
SI DEVE PREGARE SPESSO?
Origene pensa che basti pregare, nel senso stretto, tre volte al giorno. Alessandro, fondatore degli acemeti, creò ventiquattro esercizi quotidiani per corrispondere alle ventiquattro ore della giornata. Più tardi si è sviluppata la disciplina delle sette ore canoniche. Ma quasi ogni santo ha organizzato a suo piacimento i tempi della sua preghiera.
Perché questa diversità? La soluzione classica suppone che le opere valgano come preghiera. Vi è, però, una condizione: devono essere eseguite con una buona disposizione del cuore, con retta intenzione. Questa buona disposizione svanisce facilmente se non è nutrita e rafforzata con preghiere esplicite. Perciò i monaci hanno sempre cercato di aumentare la loro pratica nelle preghiere.
COME ARRIVARE ALLO "STATO" DELLA PREGHIERA?
La buona disposizione del cuore, purificata e rafforzata, costituisce di per sé una preghiera. Le preghiere frequenti, recitate con la bocca o le meditazioni intellettuali producono spesso fatica e quindi anche distrazione. Al contrario, la vita è uno stato, una disposizione abituale del cuore, un atteggiamento. Bisogna dunque dare al cuore una disposizione tale che, in qualche modo, meriti il nome di preghiera di per se stessa, indipendentemente dagli atti che produce più o meno frequentemente.
«Francesco non pregava - leggiamo nella Vita del santo di Assisi - Francesco è divenuto preghiera». Gli autori orientali chiamano questo stato abituale dell'anima continuamente rivolta a Dio "preghiera del cuore". Chi la raggiunge, prega ininterrottamente, senza fatica, con una grande pace. La domanda che un discepolo poneva al suo padre spirituale era proprio un consiglio sul come arrivare a questo stato d'unione perpetua con Dio.
CHE COSA SONO LE PREGHIERE GIACULATORIE?
Non si giunge di colpo alla preghiera incessante. Per essere meglio uniti con Dio, già i Padri egiziani hanno inventato le orazioni giaculatorie. La loro caratteristica è la bontà, la brevità e la semplicità. Una piccola preghiera - dicevano - è un grande tesoro. Non è distratta, perché è breve, e quando è ripetuta spesso crea una disposizione stabile. Si sceglie liberamente secondo i bisogni particolari del momento.
Per questo motivo, notiamo una grande varietà di preghiere giaculatorie presso i Padri. Ma, col tempo, se ne comincia a favorire qualcuna (ad esempio il versetto del salmo 69,2: «O Dio vieni in mio aiuto, Signore affrettati a soccorrermi»). Alla fine, presso i monaci orientali, si escludono altre formule a vantaggio della preghiera di Gesù.
CHE COSA E' LA "PREGHIERA DI GESÙ"?
È generalmente detta "preghiera di Gesù" (o piuttosto "a Gesù") quella che si esprime con la formula tradizionale: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore». Dal quattordicesimo secolo è molto diffusa in Oriente. L’occidente l'ha conosciuta in tempi recenti, specialmente per mezzo delle numerose traduzioni dei Racconti sinceri di un pellegrino russo al suo padre spirituale.
Secondo il racconto, il pellegrino, semplice contadino, cerca una risposta alla questione tradizionale del come pregare senza posa. Uno staretz (letteralmente un "anziano", cioè un padre spirituale) gli consiglia un metodo semplice: cominciare con l'invocazione ripetuta di Gesù. Pian piano il pellegrino passa da 3000 a 6000, fino a 12000 invocazioni al giorno. Poi non le conta più, perché le sue labbra si muovono da sole, senza sforzo, anche durante il sonno.
Dopo qualche tempo, passa alla seconda tappa: il movimento si trasferisce dalle labbra, che debbono restare immobili, alla sola lingua. Poi dalla lingua la preghiera scende nel cuore: il pellegrino si accorge che la sua preghiera si è uniformata al ritmo dei battiti del cuore, come se il cuore si mettesse, in qualche modo, a recitare: 1. Signore, 2. Gesù, 3. Cristo, e così via di seguito.
La conclusione che scaturisce dalla lettura di questo racconto è la seguente: colui che unisce la preghiera al battito del cuore non potrà mai cessare di pregare, perché l'orazione diventa come una funzione vitale della sua esistenza. E' già preghiera perfetta? Il pellegrino non vuole affermarlo, ma si crede sulla buona strada per giungere alla "preghiera del cuore".
COME SPIEGARE IL TERMINE "CUORE" E LA SUA FUNZIONE NELLA VITA SPIRITUALE?
La nozione di "cuore" occupa il punto centrale nella mistica, nella religione, nella poesia di tutti i popoli. Come la pupilla dell'occhio è, per così dire, il punto di contatto tra i due mondi - l'esterno e l'interno - così deve esserci nell’uomo, pensano gli autori spirituali, un punto misterioso attraverso il quale Dio entra nella vita dell'uomo con tutte le sue ricchezze.
La definizione classica della preghiera (elevazione della mente a Dio), fu quindi, già dai Padri della Chiesa, modificata nel senso di elevazione del cuore verso Dio.
Ed è proprio questa definizione della preghiera che ci aiuta a capire meglio che cosa si intende con il termine "cuore": il "cuore" è l'integrità dell’uomo, la collaborazione di tutte le facoltà umane, lo stato e la disposizione costante della persona. Dio deve essere amato e servito non con una facoltà sola o con un atto isolato, ma con tutte le forze, con tutta l'anima, con tutta la vita.
POSSIAMO FIDARCI DEI SENTIMENTI DEL CUORE?
È facile giudicare se un "atto" è buono o cattivo. A questo servono i principi e le nozioni morali. Ma lo stato dell'uomo è un mistero che solo Dio conosce perfettamente. Tuttavia, anche noi abbiamo una specie d'intuizione, un sentimento del cuore di fronte alle altre persone o a noi stessi. Spesso tali sentimenti sono così forti che ci fanno prendere atteggiamenti decisivi anche contro le ragioni evidenti. Poi ci scusiamo: non potevo agire diversamente, il mio cuore me lo dettava! Possiamo fidarci di questi "sentimenti"?
La risposta degli autori spirituali orientali cristiani non lascia dubbi: i sentimenti dei cuore sono ispirazioni divine, a condizione che il cuore sia perfettamente purificato; in tal caso è come una fontana nella quale si riflette il cielo.
La pratica della preghiera del cuore comporta quindi due stadi principali:
1) l'attenzione alla purificazione del cuore;
2) poi l'attenzione alle ispirazioni divine.
COME STARE ATTENTI ALLA PUREZZA DEL CUORE?
La storia del Paradiso, dicevano i Padri, si ripete ogni giorno. Il nostro cuore, creato da Dio, è un Paradiso nel quale cerca di introdursi il serpente sotto forma di pensiero cattivo. Ma non può entrarvi senza il nostro permesso, perché il male nasce dal consenso deliberato. Questo consenso tuttavia non viene dato subito. I Padri della scuola sinaitica elaborarono una descrizione psicologica di questo processo.
1) Il primo stadio è la suggestione, una semplice idea del male.
2) Poi viene il conversare, il colloquio con l'idea suggerita, come fece Eva nel Paradiso terrestre che, invece di respingere il serpente, si mise a conversare con lui.
3) Segue la lotta, perché l'anima cerca di liberarsi dal pensiero cattivo.
4) Stanca del combattimento, talvolta cede e dà il suo consenso al male.
5) Quando l'uomo acconsente, spesso nasce una passione, una abitudine al male.
Per la pace della coscienza, bisogna sapere che il vero peccato interviene solo nel quarto stadio, con il consenso. Però gli stadi precedenti disturbano la tranquillità del cuore.
Possiamo evitare le suggestioni del male? È impossibile, dicono gli autori spirituali: in ogni luogo ed in ogni momento siamo esposti ai pensieri cattivi. Però possiamo apprendere l'arte di troncarli subito (non fare cioè lo sbaglio commesso da Eva che ha conversato con il male). Come è detto nella letteratura spirituale, bisogna mettere davanti alla porta del nostro cuore un angelo con la spada di fuoco che scacci ogni serpente al suo apparire. L'angelo si chiama "attenzione" e la spada sono i testi della Scrittura pronti nella memoria che contraddicono ciò che viene suggerito dal diavolo. Così ha combattuto la suggestione al male Gesù Cristo stesso, quando è stato tentato dal diavolo nel deserto (Mt 4,1ss).
I Padri chiamarono questa pratica antirrhesis (rispondere), ed imparavano i testi della Scrittura adatti a respingere ogni tentazione. Tale pratica fu più tardi semplificata con la preghiera a Gesù. L'invocazione del nome di Gesù è, come essi dicevano, una forte arma per mettere in fuga tutti i demoni. Appena si presenta un pensiero cattivo, gli si risponde e lo si scaccia con la breve preghiera giaculatoria.
COME SI ASCOLTA LA VOCE DEL CUORE?
Il cuore che non è turbato "da fuori" sente le voci che vengono "da di dentro", le ispirazioni divine. Sant'Ignazio di Loyola, scrivendo le note sul discernimento degli spiriti, fece proprio questa esperienza: un pensiero che non è causato da nessuna impressione esteriore viene da Dio, perché il Signore, che è il padrone, solo lui può entrare nella nostra mente senza cause precedenti.
Una simile esperienza viene fatta da tutti coloro che praticano la preghiera del cuore. E' difficile descriverla: una tale preghiera si impara solo pregando. Ma chi la pratica scopre quante belle ispirazioni divine suggerisce Dio a coloro che cercano di essere di cuore puro. La preghiera diventa allora un ascolto di Dio che parla.
(Tratto da Tomàs Spidlìk, Pregare nel cuore – Iniziazione alla preghiera, ed. Lipa a cui si rimanda vivamente per l’approfondimento).