Ecumene

Martedì, 18 Marzo 2008 23:43

Bisogna interpretare il Corano (Malek Chebel)

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Rileggere il Corano alla luce della modernità è una sfida che si impone all’islam. Invece che un attentato all’ortodossia, l’operazione potrebbe essere vivificante e creare le condizione per una vera riforma dell’islam.

Bisogna interpretare il Corano

di Malek Chebel


Che fare del Corano? Bruciarlo? Buttarlo nel mare? Metterlo sotto una campana di vetro? Oppure, come io vorrei, interpretarlo? Se l’Europa ha saputo abbandonare il mondo antico, e talora integrarlo, perché l’islam dovrebbe sottrarsi a un simile lavoro della storia?

La dimensione storica deve imporsi a ogni nuova interpretazione dei testi fondatori, cominciando dal Corano. Nella storia io comprendo l’antropologia, la psicologia, la filosofia, l’etimologia, l’archeologia e persino l’uso del carbonio 14, se ciò apparisse utile, specialmente per la datazione di certi documenti. Un apporto grazie al quale anche i pregiudizi più rigoristi devono poter tenere conto del posto che ormai è quello dell’Uomo, come pure del suo universo di comprensione.

Senza questo lavoro che ci pone in una prospettiva critica, ci urteremo continuamente contro il muro invalicabile di una fede in un Corano immutabile e increato, dato perché sia valevole per tutti i tempi e per tutti i luoghi. Soprattutto in tempo di crisi, quando la comunità dei credenti, cominciando dagli iman, non può accettare di privarsi di una parte della sua verità a vantaggio di quella degli storici e dei dotti, giudicati troppo razionali e addirittura anticlericali.

Riabilitare il senso etimologico

Interpretare il Corano non è cosa facile. Ma da due secoli è diventato una esigenza che si coglie quasi ogni giorno. Ci sono stati lodevoli tentativi, ma sono tutti falliti per mancanza di consenso. Per molti piissimi teologi il solo fatto di interpretare il Corano è una bestemmia. Ai loro occhi il fatto di cercare il senso etimologico è già una pericolosa apertura verso l’empietà. Ora non è sicuro che, senza lo sforzo permanente di interpretazione, noi possiamo comprendere l’insieme dei 6219 versetti che compongono il Corano. Partendo da questo constatazione di impotenza, suggerisco di riabilitare l’insieme delle etimologie scartate dalla pletora dei teologi conservatori che, per ragioni di potere, hanno voluto fissare dapprima il dogma invece di metterlo alla portata di tutti.

La sharia stessa, nata direttamente dal Corano, deve diventare intelligibile per i musulmani di oggi. Perciò è ormai tempo di prenderla in considerazione. E ciò per una semplicissima ragione: indipendentemente dalla qualità del suo corpus, lo sforzo di interpretazione e di adattamento deve portare risposte adatte a ogni periodo. Non si possono trarre conclusioni definitive da testi che portano il marchio originale del loro tempo. Infatti se i musulmani sono oggi sempre più penetrati dalle nozioni di modernità che si impongono nel Villaggio globale, perché privarli di un aggiornamento della loro sharia, dato che essa è a sevizio del credente e non viceversa?

La situazione è grave a più di un titolo. Quando una parola del Corano ci sfugge, i dizionari attuali non sono per lo più in grado di dare definizioni complete; spesso rimangono impassibili e muti. Bisogna ritornare al Lisan al-Arab di Ibn Manzur in venti volumi, che data dal Medioevo, per trovare delle accezioni rare o cadute in disuso.

Affrontare la responsabilità del testo

La storia musulmana è ricca di scomuniche affrettate e di esclusioni ideologiche. Di fronte al movimento dei mutaziliti (fine del VIII secolo), il cui lavoro sarebbe potuto arrivare all'instaurazione di una filosofia critica fondata su una eventuale razionalità, molti sono coloro che vogliono piegare il senso comune alla volontà del sovrano. Essi assoggettano le loro interpretazione del Corano alle attese espresse o desiderate dal potere temporale in carica.

Quanti imam preferiscono la tranquillità di una ripetizione identica di tradizioni antiche a una eventuale presa di coscienza, che si percepisce come un affrontare un rischio politico?

L’anomia attuale deve trovare soluzione nel superamento di un silenzio complice e talora irresponsabile delle autorità religiose. Penso soprattutto a istituzioni come Al-Azhar, la moschea del Cairo, la Conferenza islamica mondiale e ai luoghi d’influenza della Mecca di Qom e dei ministeri del culto in ogni paese islamico. Si è pensato per un momento di ottenere questo superamento con il grande teologo Al- Guazzali (1058 – 1111), ma la sua opera è rimasta senza reale effetto sulle masse. Poi si è pensato di averlo da Ibn-Taymiyya (1263 – 1328), l'idolo dei salafisti, ma si è dimostrato di una tristezza angosciante, un dogmatismo freddo e senza colore . Evidentemente la rottura non era in vista.

Dal riformismo all’islamismo

Nel secolo XIX, sotto l’impulso di intellettuali egiziani e siriani, aiutati dagli Ottomani e anche da alcuni pensatori cristiani, il rinnovamento tanto atteso del pensiero islamico (Nahda) ha partorito, ahimé, un topolino.

Una tesi pessimista pretende che la rapidissima laicizzazione della Turchia,portata avanti da Mustafà Kemal (1881–1939), e soprattutto l’abolizione del califfato nel 1924, abbia portato con sé, per reazione, la nascita del fondamentalismo musulmano.

Da parte sua il commentario coranico della scuola del Manat,predicato da Mohamed Abdo (1849–1905) e da Rachid Rida (1865–1935), benché promettente in sé, non è riuscito a intaccare lo zoccolo duro dell’ortodossia musulmana.

Nel 2006 l’islam si pone le stesse domande senza riuscire a trovare risposte. Bisogna seguire la via di Hassam al-Banna, il fondatore dei Fratelli musulmani, e lasciare che la Umma (la comunità musulmana) ritorni a un islam fondamentalista, sperando che dall’interno si levino delle voci libere per riformarlo? Oppure bisogna seguire l’intuizione dei riformisti del sec. XIX, sperando che essa generi rapidamente un umanesimo abbastanza popolare capace di bloccare la demagogia religiosa e politica?

L’avvenire di una religione

All’ora attuale l’agitazione planetaria dell’islam politico dà ragione ai sostenitori della prima tesi. Dobbiamo allora lasciar cadere la braccia? Che fare, per esempio, dei tanti versetti che preconizzano la poligamia, l’eredità differente per i figli di sesso diverso, le regole dell’impurità femminile, tutti precetti divenuti inapplicabili col passar dei secoli?

A questa riforma dell’interpretazione bisogna dedicarsi. Dieci teologi qualificati, provenienti da diversi paesi musulmani e rappresentanti la pluralità delle dottrine, basterebbero per trasformare l’interpretazione coranica attuale. Avrebbe allora inizio quel che l’islam non ha mai voluto tentare, il suo aggiornamento proprio nel senso di una presa di coscienza del ritardo abissale della teologia islamica e nello stesso tempo delle necessità di separazione dei due corpi (laicità), cioè di una promozione dell’individuo e dunque dell’Uomo, cosa che non è mai stata la preoccupazione principale dei pensatori musulmani del passato.

Epurata così, la sharia parlerebbe di nuovo ai musulmani, invitandoli a perfezionare la loro adesione a una religione di avvenire che predicherebbe la tolleranza e la pace.

(da Le monde des religions, n.19, pp. 36-37)

Letto 3421 volte Ultima modifica il Mercoledì, 02 Giugno 2010 13:46
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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