Il cronista Nestor (XII sec.) scrive:
Seguendo il corso del Dnjepr, l’apostolo giunse fin dove ora è la città di Kiev. Ivi, salito sulle colline, piantò la Croce, mentre diceva ai discepoli: "In questo luogo splenderà la grazia di Dio, vi saranno costruite chiese a Cristo, e la luce della verità scorrerà da qui come il fiume per tutto il paese".
Nel "fiume della verità", la leggenda può diventare storia sacra o addirittura "tradizione". Nella coscienza della vecchia Rus’ pensare che la propria fede avesse origine direttamente dalla benedizione apostolica aveva un significato considerevole e la figura di sant’Andrea era percepita come quella del precursore del suo battesimo. Per questo egli è considerato il padrino lontanissimo di quella che si chiama ancora "la santa Rus’", la cui capitale rimane sempre la "Gerusalemme celeste".
Un altro inizio del cristianesimo russo, è da ascrivere ai grandi predicatori del Vangelo Cirillo e Metodio, "pari agli apostoli", come essi sono considerati nel calendario dei santi, che hanno illuminato la terra di Moravia nell’Est dell’Europa e hanno creato la lingua slava ecclesiastica che, fino ad oggi, dopo alcune trasformazioni dovute al tempo, è utilizzata come lingua di preghiera dei popoli slavi.
2. LA CONVERSIONE DI VLADIMIR E IL BATTESIMO DELLA RUS' DI KIEV
Da queste due tendenze apostoliche prende l’origine il gran fiume del cristianesimo russo. All'inizio si trovano le due figure di gran principi come la principessa Olga che fu battezzata nella metà del X secolo, quando la società era ancora prevalentemente pagana ed in seguito suo nipote Vladimir, giovane principe di Kiev che era tutt'altro che un cristiano devoto. I riti pagani più selvaggi, celebrati anche con sacrifici umani, la poligamia, le innumerevoli concubine, le guerre crudeli hanno marcato l’inizio del suo regno, ma la mano della Provvidenza lo ha sospinto al battesimo e questo sacramento ha attuato in lui un profondo cambiamento interiore.
La tradizione racconta che San Vladimir inviò dei messageri in tutti i paesi, per conoscere la fede migliore. Dopo numerosi approfondimenti, optò per la fede ortodossa, colpito dal racconto della magnificenza della liturgia celebrata nella chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli.
Una interpretazione per spiegare il suo cambiamento di vita dopo il battesimo, pur se meno mistica, può essere suggerita da un preordinato calcolo politico, manifestando l'intenzione di sposare una principessa bizantina. Ma Dio, che secondo il Vangelo, "può far sorgere da queste pietre i figli d’Abramo", ha trasformato il cuore del principe guerriero, violento e amante dei piaceri, in un cuore genuinamente cristiano. La sua conversione, infatti, fu ardente e sincera, e subito dopo il battesimo il principe abolì la pena capitale (e questo nel X secolo!) perché condannare un reo alla morte era contrario alla legge evangelica. Questa sua clemenza fece crescere il brigantaggio e, gli stessi vescovi bizantini venuti nella Rus’ lo persuasero ad adottare pene più ferree. La vera vocazione del principe neobattezzato diventò però la carità: desiderava sfamare tutti i poveri del suo principato e se alcuni erano invalidi, e non potevano muoversi, mandava loro carri con il cibo. Lo stesso battesimo della Rus` (o per essere più preciso, della città di Kiev) avvenne per volere del principe, che non ebbe altre manifestazioni di violenza se non quella della eliminazione delle statue di legno degli dei pagani, gettate nel fiume Dnjepr. Insomma, San Vladimir fu il vero sovrano cristiano, il primo e forse l’ultimo che ha provato a costituire nella sua terra un vero regno di giustizia evangelica.
Dopo la sua morte, la santità da lui esaltata in Russia sembrò lasciare questo regno che si spinse invisibilmente verso il regno di Dio il quale non si oppone a quello della terra, non lo combatte, ma semplicemente sta allontanandosi da esso. E questa svolta storicamente, ma anche misticamente avvenne nella scelta nuova ed inaspettata dei due figli di San Vladimir.
Numerosa era stata la sua discendenza, originata dalle molte donne con le quali era convissuto quand’era ancora pagano. Dopo la sua morte, nel 1015, uno dei suoi figli, Sviatopolk, decise di eliminare i propri fratelli considerandoli probabili concorrenti nella lotta per il trono. Si trattava della solita faida tra principi, in un tempo in cui il fratello muoveva guerra al fratello e lo uccideva a tradimento per impadronirsi del suo dominio e del suo patrimonio. Insolito fu invece il comportamento degli altri figli del principe: Boris e Gleb. Erano giovani entrambi; Gleb era poi quasi adolescente e non aveva pretesa alcuna al trono paterno e nessuno ne desiderava la fine ma tuttavia, entrambi muoiono, ed anche volontariamente, perché non fuggono davanti ai servi del loro assassino e non mostrano alcuna resistenza; Accolgono la morte con rassegnazione, e si inchinano alla volontà di Dio e al proposito omicida del loro fratello maggiore.
3. L'ANTICA RUS' E IL SUO MONACHESIMO
Il figlio di Vladimir, il gran principe Iaroslav, soprannominato il Saggio (1019-1054), fedelissimo al Cristo, secondo le parole di cronista Nestor, ha continuato il lavoro apostolico del padre. L’antica Rus’ da Kiev fino alle terre del Nord più lontane è decorata con belle chiese e con icone stupende. I modelli di quest’arte vengono prestati da Bizanzio, ma lo spirito del giovane cristianesimo russo sa trasformare l’arte classica greca con un’espressione spiritualmente ed artisticamente nuova. Anche ai nostri giorni le cattedrali costruite nell’antica Rus’ rimangono insuperabili per la bellezza e la purezza delle loro forme. Se l’iconografia ortodossa è chiamata "una speculazione nei colori", le chiese antiche sono come "preghiere in pietra".
Ma il tempo dell’antica Rus’ non fu solo quello del trionfo del cristianesimo. Ancora per qualche secolo nel popolo si nascondeva la cosiddetta "doppia fede", cristiana sopra, pagana sotto. Il paganesimo russo che non era particolarmente perseguitato, preferì a mescolarsi con la religione ufficiale, creando a volte un ibrido bizzarro rito. La "doppia fede" fu sconfitta dal lavoro pastorale della Chiesa, ma soprattutto dall’influenza dei monasteri.
Il monachesimo nasce in Rus’ nel XI secolo. Il primo monaco conosciuto d’origine russa, Sant'Antonio è venuto in Rus’ dal monte Athos e ha fondato un eremitaggio in una grotta vicino a Kiev per vivere nella preghiera permanente e praticare l’ascetismo più severo. Tale vita dimostrò sempre attrazione quasi irresistibile per il cristiano russo. Dall’inizio (cioè dal momento che caratterizza la fede ortodossa in generale) il cristianesimo vero, pieno e responsabile era rappresentato dal monachesimo e moltissimi laici (e fra di loro anche Ivan il Terribile) cercavano di indossare l’abito monastico almeno qualche instante prima di morire.
I principi della vocazione monastica, nella visione ortodossa sono stati espressi dal primo discepolo di Sant’Antonio, san Feodosij:
Vi supplico, fratelli, diceva egli ai monaci, dobbiamo operare nel digiuno e nella preghiera. Preoccupiamoci della salvezza delle nostre anime; torniamo dalla malizia e dalle strade del peccato, come fornicazione, brigantaggio, calunnia, vaniloquio, ubriachezza, peccato di gola, inimicizia per il fratello. Dopo esserci chiamati monaci, dobbiamo ogni giorno pentirci dei nostri peccati. Il pentimento è un cammino che porta da Dio: esso è la chiave del Regno, senza di questa chiave nessuno può entrare nel Regno dei Cieli. (1)
Questa regola è diventata norma per i monaci russi dai tempi più antichi fino ad oggi. Feodosij che ha trasformato il solitario eremitaggio in una piccola comunità dei fratelli è considerato come padre del monachesimo russo. La dimora della sua vita, cioè le grotte vicino a Kiev è diventata la culla dei monasteri russi. Il grande monastero Laura di Kiev esiste ancora nei giorni nostri e fu riaperto recentemente dopo la persecuzione durante l'epoca sovietica.
Il gran principe Iaroslav ha diviso le terre russe tra i suoi cinque figli. Questa divisione ha avuto le conseguenze fatali per il destino dell’antica Rus’. Lo Stato formato dal principe san Vladimir si è frazionato in alcuni principati tra i quali spesso esplodevano conflitti locali. Le discordie principesche lasciarono così la Rus’ di Kiev quasi indifesa davanti ad una terribile invasione che accadde nella metà del XIII secolo. L'unica forza di unità in quest’epoca era la chiesa che per qualche secolo perdurava come una lontana metropolia del Patriarcato di Costantinopoli; essa era anche una stabilità di pace tra i principi fratelli che spesso combattevano per il potere.
L’antica Rus’ ha creato una civiltà cristiana irrepetibile. Il giovane cristianesimo russo ha trovato le due altissime espressioni del suo spirito nell'arte figurativa delle costruzioni delle chiese e nell'arte del "combattimento interiore", cioè nella espressione della sua vita spirituale che era prevalentemente monastica. La spiritualità orientale ha sentito la Buona Notizia come l’annuncio della trasfigurazione radicale di questo mondo, ma anche come la vittoria sugli spiriti che vogliono possedere l’uomo. La santità umana passa attraverso questa lotta che dura tutta una vita per aprirsi alla santità di Dio, per vivere davanti ai suoi occhi, avvicinarsi al miracolo della sua presenza, dalla sua scintilla accendere un fuoco nella nostra anima. La santità ortodossa è come un sacramento dove s’incontra il "lavoro del Signore" e gli sforzi dell’uomo.
Nelle antiche vie dei santi, troviamo l'incarnazione letteraria di quell'arte di santità raccolta nei così detti "Patericon".
Inoltre, l’antica Rus’ ha sviluppato anche un altro tipo di santità che non si è più ripetuta, quella del sovrano cristiano che attraverso il proprio atteggiamento era predestinato a diventare martire.
NOTA
(1) La storia della Chiesa Russa, p. 40.
4. LA RESISTENZA ALL'OCCIDENTE. LA ROVINA DELL'ANTICA RUS’
Fra questi principi, dopo san Vladimir, il più famoso è sant’Alessandro di Neva. Il suo nome, come la sua gloria, sono legati alla resistenza nei confronti dell'aggressione dall’Occidente, prima fra le altre quella degli svedesi (con la vittoria su di loro vicino al fiume Neva arricchì infatti il suo nome), seguita dall'aggressione dell’Ordine teutonico tedesco che mirava ad imporre il cattolicesimo romano sulla Russia ortodossa con il ferro e con il fuoco. Con la grande sconfitta dei tedeschi sul ghiaccio del Lago Ciudskoe (1242) Alessandro riuscì a difendere il Nord del paese, ma all’epoca non era possibile salvare tutta la Russia dall’invasione.
Già a quest’epoca la Chiesa russa aveva una chiara consapevolezza dell’autencità della propria fede che configurava il nucleo dell’identità nazionale russa per cui doveva essere tutelata con qualsiasi mezzo o sacrificio contro i tentativi di trasformazione. Per questo motivo la Rus’ si è mostrata più resistente all’invasione dall’Ovest che aveva uno scopo apertamente missionario, piuttosto che all’invasione dall'Est, incurante della religione, ma micidiale per attacchi militari e per intenti politici.
Siamo alla metà del XIII secolo; le orde straripanti dei mongoli venute dal lontano Est sotto il comando del khan Batyj, nipote di Ghengis-chan (XII sec.) trasformavano in deserto tutte le terre che percorrevano. Dopo le conquiste della Cina e dell’Asia Centrale si diressero verso la Rus’ di Kiev e la distrussero. La resistenza delle guardie armate dei principi era coraggiosa, ma la vecchia rivalità fra di loro si trasformò in una condanna per tutti. Kiev, con le sue cupole d’oro fu bruciata completamente; tutte le sue chiese, in cui la popolazione cercava la salvezza erano trasformate in raccolte di cadaveri. E lo stesso destino colpì anche gli altri centri di diffusione di civiltà nella Rus’ antica. Per questo motivo, questa parte della storia russa si chiama la Rus’ pre-mongola.
A differenza dei tedeschi, i mongoli (che all'epoca erano chiamati "tartari") erano pagani, adoravano il sole e mostravano una gran tolleranza per le altre religioni. La chiesa perdette una gran parte del suo gregge, del suo clero dei tempi di pace, ma non la sua indipendenza; il disastro ha risvegliato il pentimento nel popolo e la sete di purificazione interiore. Nell’anno 1274 il metropolita Cirillo (1249-1281) convocò nella città di Vladimir il primo concilio della Chiesa russa. Il Consiglio prese le decisioni di liberare la giovane Chiesa russa dalle abitudini pagane, ancora molto diffuse in una parte del popolo. Per esempio, tutti quelli che morivano negli incontri di pugilato (il divertimento crudele e più amato dai russi) erano scomunicati, i preti visti ubriachi venivano allontanati dall’ordine sacro. Allora (come, peralto, anchi nei giorni più recenti) un flagello sociale o naturale in Russia era sempre percepito come una punizione divina per i peccati commessi dai principi e dal popolo e soprattutto per la loro infedeltà ai precetti.
5. LO SVILUPPO DI MOSCA
La rovina di Kiev, la spaccatura dell’antica Rus’ (il suo Nord, pur salvandosi dall’invasione militare mongola, come tutti gli altri territori doveva pagare il grande tributo ai nuovi padroni della Russia) contribuirono allo sviluppo di Mosca che avvenne prima di tutto grazie alla chiesa. Mosca era il piccolo villaggio dove nel 1147 il principe Jurij Dolgorukij incontrò, secondo la documentazione scritta, il principe Sviatoslav. Alessandro Nevskij lasciò Mosca a suo figlio minore Daniele, che dopo una vita da guerriero morì nel 1303 nel monastero da lui stesso costruito. Canonizzato come santo monaco, fu venerato fino ai nostri giorni come protettore della capitale russa ed il suo monastero, rinnovato negli ultimi anni dello XX secolo, oggi è un centro amministrativo della Chiesa russa.
Il figlio di Daniele, Ivan, soprannominato Kalita, che vuol dire "borsa", continuò la politica del consolidamento di Mosca. Il Kalita era conosciuto per la capacità che mostrò raccogliendo le terre russe intorno al suo piccolo principato che, decennio dopo decennio, nel XIV secolo diventa il più esteso e il più potente. Ma il fattore decisivo per lo sviluppo di Mosca fu il trasferimento del capo della Chiesa russa; infatti, il metropolita lasciò Kiev per la capitale nuova. Kiev, dopo il suo saccheggio da parte dei mongoli, di nuovo si risollevò, ma perdette il suo ruolo di centro politico, culturale ed ecclesiale dell'antica Rus’. Nel XIV secolo Kiev fu presa dai principi lituani e per più di due secoli (dal XV sec.) la Rus’, e la sua Chiesa fu divisa in due parte: la Rus’ lituana e la Rus’ di Mosca.
Il primo vescovo della Chiesa russa, il metropolita di Kiev lasciò all'inizio del XIV secolo la sua città e si trasferì nella città di Vladimir. Il santo metropolita Pietro (1308-1326) costruì a Mosca una cattedrale maestosa dedicata alla "Dormizione della Madre di Dio" e la sua tomba nella nuova chiesa è diventata pietra d'angolo della crescente grandezza della nuova capitale ecclesiastica. La scelta di san Pietro era confermata e sviluppata nella politica dei metropoliti di Mosca Feognost e soprattutto in sant'Alessio (1353-1378). Alla sua epoca Mosca ha vinto il suo ultimo rivale Tver’, è riuscita a superare i conflitti intestini tra i principati russi e si è confermata come centro del potere dei gran principi. Contemporaneamente, anche la Chiesa russa fu riunita sotto il potere di Mosca. Un potere non soltanto temporale, ma anche spirituale. Vicino a Mosca sorse un gran santo, Sergio di Radonej (1312-1391) (Radonej è una piccola città nella regione di Mosca) che raccolse ed espresse in sé tutto il cammino spirituale del cosìddetto "Tebaide del Nord" come sono stati chiamati più tardi i numerosi eremiti e monaci disseminati nei fitti boschi russi che all’esempio dei monaci del deserto egiziano dedicavano tutta la loro vita alla preghiera permanente. Questo contributo spirituale ha avuto il gran ruolo nella formazione del carattere della Chiesa russa; il monastero era e rimane anche ai nostri giorni il centro della vita ecclesiale e spirituale in Ortodossia per il semplice motivo che l’abito monastico era per gli ortodossi una via più breve e più diretta alla salvezza dell’anima ed una norma santa della vita umana. La storia interiore di qualsiasi chiesa è il suo rapporto particolare con Dio e in questo rapporto si forma anche il volto della santità. Esaminiamo con maggior profondità i tratti di questo volto.
6. LA CHIESA RUSSA NEL XV SECOLO. LA NASCITA DELL'AUTOCEFALIA
A quel tempo, la santità poteva fiancheggiare la vita politica. Così san Sergio di Radonej ha dato la sua benedizione al gran principe di Mosca Dimitrij Donskoj (+1389) per la battaglia vittoriosa sul campo Kulikovo (1380), dalla quale ha cominciato la lunga liberazione dal giogo mongolo, anche se la liberazione definitiva avverrà solo 100 anni dopo (1480).
Nel 1395 un’altra minaccia terribile si avventò sulla Russia, che si dimostrò assai più grande dell’invasione mongola di un secolo e mezzo prima, quando l’armata colossale di Tamerlan si avvicinò ai confini del Sud-Est. L’icona di Vladimir, chiamata in Occidente "La tenerezza", che in Russia invece ha un altro nome, "La Madre di Dio", fu portata nella cattedrale di Mosca per la preghiera incessante della protezione. E successe il miracolo: Tamerlan, se ne andò dalle frontiere della Russia con tutto il suo esercito, per cui l’icona della Madre di Dio di Vladimir è diventata miracolosa, come decine e decine di altre icone mariane esistenti in Russia.
Ma questo miracolo non fu unico; tutta la storia della Russia; abbastanza tragica e sanguinosa, era penetrata dalle protezioni mariane e materne, e da ogni miracolo nacque un’immagine particolare, che ricevette una venerazione locale o nazionale.
A quell’epoca la Chiesa Russa era ancora la più grande, ma anche più lontana diocesi della Chiesa di Bisanzio da cui essa ricevette nel 988 il suo battesimo. I capi di questa diocesi a volte erano russi, ma si trovavano alla stretta dipendenza di Costantinopoli, ma verso la metà del XV secolo accadde l’avvenimento che portò alla rottura di questa dipendenza canonica.
Negli anni 30 il patriarca greco mandò in Russia il nuovo metropolita Isidoro che partecipò negli anni 1438-39 nel Concilio di Firenze-Ferrara che fu organizzato per unire le Chiese dell’Oriente e dell'Occidente. Isidoro firmò l’atto del Concilio che riconosceva il papa di Roma (all’epoca Eugenio IV) come capo supremo della Chiesa ortodossa e includeva i dogmi latini (il filioque, il purgatorio, ecc.), dogmi che gli ortodossi rifiutavano. A quell’epoca i greci cercavano la difesa del paese contro le orde turche ed erano disposti a qualsiasi compromesso con l’Occidente, ma questa tendenza fu inaccettabile per i russi. Dopo il suo ritorno a Mosca Isidoro fu subito arrestato per il tradimento dell'ortodossia, ma fuggì dalla prigione e finì i suoi giorni a Roma. Quest’avvenimento, però, ebbe un grande impatto sulla coscienza dei russi; per loro la fede giusta era quella dei greci che erano sempre i modelli della giusta fede.
Dopo il caso del metropolita Isidoro i vescovi russi hanno eletto per la prima volta, il metropolita di Riasan’ Giona, come capo della loro Chiesa, senza chiedere la conferma dalla parte di Costantinopoli, compromessa negli occhi russi dall'unione con gli eretici dell’Occidente. Così nel 1448 nacque l’autocefalia della Chiesa Russa.
Nello stesso tempo avvenne una scissione definitiva, politica e territoriale, all’interno della Chiesa Russa; infatti, la sua metropolia occidentale sotto il potere dei principi lituani, si staccò nel 1458 dalla metropolia di Mosca che si trovò quindi isolata dall'Occidente.
7. LA "TERZA ROMA". IL CONFLITTO FRA "ACCUMULATORI" E "NON ACCUMULATORI"
Nel contesto della polemica antioccidentale ed antigreca nasce in questo periodo la teoria della Terza Roma. Secondo questa teoria, la prima Roma cadde per l'errore dell’eresia latina, la seconda Roma, Costantinopoli, cadde per l'invasione dei turchi infedeli, tanto che di essa è rimasta solo Mosca, considerata come la Terza Roma, vale a dire l’unica capitale della fede buona e giusta, che non cadrà mai. Il principe russo oramai deve prendere il posto dell’imperatore bizantino perché, secondo questa teoria, non si può avere la Chiesa e non avere lo zar come protettore della vera fede. La figura dello zar è sacra, affermava il monaco Filofeo, l’autore di questa teoria, per la natura lo zar è simile agli uomini, ma per il potere assomiglia Dio.
Però, in nome della giusta fede, i russi capivano spesso il rito corretto, ereditato dai padri, perché nella concessione medievale della religione c’era sempre la confusione tra il rito e il contenuto della fede. Fuori dalla vita monastica, dalla vita nella preghiera, c'era anche un ritualismo pesante ed intransigente, perché una delle malattie della Chiesa russa era la religiosità esteriore, ridotta al ritualismo. Una malattia provocava un'altra, cioè la diffusione delle eresie, fra le quali la più conosciuta e pericolosa per la chiesa era il movimento degli judaizanti. Gli eretici cominciavano con la critica dei costumi e delle usanze della Chiesa e finivano con la negazione quasi totale della tradizione ecclesiale. Il movimento degli judaizanti diffuso al Nord della Russia, soprattutto a Novgorod, fu schiacciato con i metodi simili a quelli dell’Inquisizione cattolica.
La persecuzione degli eretici ha provocato un altro scontro di tipo teologico e spirituale all'interno della Chiesa stessa, il conflitto fra i cosiddetti "accumulatori" e i "non-accumulatori". La causa del conflitto era il diritto all’acquisizione dei beni dei monasteri. L’igumeno Iosif di Volokolamsk (1440-1515), un monaco severo ed ascetico, insisteva sulla necessità per la vita monastica di avere le ricchezze, le terre e i servi della gleba, perché il monastero ricco potesse accogliere anche nobili che avrebbero potuto accedere a cariche come quella di vescovo, ma anche potesse aiutare il popolo nei periodi di carestia (Iosif era famoso anche per la sua carità). Il movimento dei "non-accumulatori", rappresentato da san Nilo di Sora (1433-1508), uno dei primi maestri in Russia della preghiera di Gesù, insisteva: ogni monaco dovrebbe vivere solo con il lavoro delle sue mani: il monastero infatti, esiste per pregare e lavorare e non può avere nessuna ricchezza, nessun servo. Iosif era anche implacabile nei confronti degli eretici; l’opinione propria è la madre di tutte le passioni, diceva lui, gli eretici devono essere puniti con la morte anche nel caso che rinunciassero all’eresia. Nilo, nemico delle eresie anche lui, rifiutava il diritto della Chiesa alla persecuzione e la punizione fisica delle persone. La vittoria andò agli "iosfliani" grazie al sostegno del gran principe, perché gli accumulatori erano anche i primi sostenitori dell'assolutismo del potere. I discepoli di san Nilo furono allontanati e perseguitati e il trionfo degli "accumulatori" ebbe conseguenze fatali per due secoli successivi.
Devono essere ricordati anche gli altri due avvenimenti della storia ecclesiale e politica della Russia nel XV secolo: la costruzione del Cremlino da parte dell’architetto Aristotele Fioravanti, con le sue cattedrali maestose e la vittoria definiva di Mosca su tutte le sue città rivali, prima di tutto sulla libera Novgorod. All’inizio del XVI secolo comincia dunque l’epoca della Rus’ di Mosca.
8. LA RUS’ DI MOSCA
Quest’epoca comprende il periodo fra il regno d’Ivan, il Terribile e Pietro il Grande, il tempo degli zar moscoviti, dei quali Ivan fu il primo, e Pietro l’ultimo, cioè, dall’inizio del XVI fino alla fine del XVII secolo. Questo periodo, secondo l’analisi dei migliori storici della Chiesa russa, fu un periodo piuttosto tragico, perché l’icona della "Santa Rus’" come immagine della vita spirituale era sostituita dal sogno teocratico, dal trionfo statale della teocrazia. I vescovi russi perdono la loro libertà e il coraggio di intercedere per gli offesi e i "perseguitati per la causa della giustizia". La debolezza della Chiesa si mostrò, per esempio, nella storia del divorzio del gran principe Basilio III con sua moglie Solomonia che non aveva figli. Con il consenso del metropolita Daniele sposò un’altra moglie: Elena, e da quel matrimonio nacque il futuro Ivan il Terribile (1530-1584).
Il regno di Ivan, però, aveva un inizio molto promettente. Nel 1547, a diciassette anni, Ivan, fu coronato primo zar russo e secondo l’esempio degli imperatori greci, "per la grazia di Dio". All’inzio egli si circondò di consiglieri saggi e devoti fra i quali emergeva anche un prete di nome Silvestro. Nel 1551 Ivan convocò il primo Concilio, chiamato il Concilio dei Cento Capitoli, che sotto la presidenza del metropolita Macario (1542-1563, canonizzato nel 1990) ha cercato di purificare i costumi e organizzare meglio la vita ecclesiale in Russia. Il Concilio portò in sé il germoglio della riforma, ma la riforma come ritorno alla fede (in pratica il rito e la celebrazione) della vecchia Rus’. Ha canonizzato poi molti santi, ma il dramma di questo periodo è che la santità russa si è trasferita nei boschi, negli eremitaggi, nei monasteri lontani, in un'epoca in cui la Chiesa divenne un unico corpo sacro con il regno. E il capo di questo regno, dopo la giovinezza saggia diventò un mostro, un mostro intelligente, cosciente delle proprie prerogative divine.
Tutta la crudeltà di Ivan nei confronti dei propri sudditi (fra l’altro uccise i suoi primi maestri, schiacciò la classe nobile, annegò nel sangue tutta la città di Novgorod), organizzata come sempre per scongiurare il tradimento, proveniva anche dalla confusione del ruolo di sovrano con quello di Dio sulla terra. Da quest’epoca sorge la grande figura del santo martire, il metropolita Filippo (1566-1568) che protestò apertamente contro le esecuzioni degli innocenti, tanto che fu cacciato dalla sua carica e poi ucciso.
Alla fine del XVI sec., nel 1587 durante la visita del patriarca di Costantinopoli Geremia fu eletto il primo patriarca russo Giobbe, un asceta, un uomo di gran cuore. Il processo della liberazione della Chiesa russa da quella di Bisanzio che all’epoca ha perso lo stato e la forza, ma ha salvato la sua posizione canonica (il patriarca di Costantinopoli anche oggi ha un primato d’onore tramite gli altri patriarchi ortodossi) terminò. Il patriarcato di Mosca occupò il quinto posto nella pentarchia delle Chiese ortodosse (dopo i patriarcati di Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, Gerusalemme che hanno le cattedre apostoliche).
9. L’UNIONE DI BREST. IL TEMPO DEI TORBIDI
Una gran parte della Chiesa Russa si trovava già più di un secolo sul territorio dello stato lituano. Questa parte della Chiesa aveva la sua amministrazione indipendente e il suo metropolita che abitava a Kiev. Dopo l’unione di Lublin (1569) che trasformò la Russia lituana e la Polonia in uno stato unico sotto il potere del re polacco, la situazione della Chiesa Russa divenne più complicata. Verso la fine del XVI secolo la maggior parte della gerarchia della Chiesa Russa in Polonia era attirata all'unione con Roma, perché essere "scismatico" in Polonia del XVI secolo non era una posizione invidiabile. Ai vescovi si opponevano le fraternità ortodosse di base, organizzate dal popolo. Così nel 1596 nello stesso tempo nella città di Brest (all’Ovest dell'Ucraina moderna) sono stati convocati due concili ortodossi, uno per concludere ufficialmente l’unione con Roma, un altro per rifiutarla. Da questa spaccatura iniziò la catena delle violenze reciproche, delle inimicizie e dell'odio da le due parti che non si sono spenti fino ai nostri giorni. A volte il potere politico apparteneva alla Polonia (dal 1596 fino alla prima metà dello XVIII secolo), e allora gli ortodossi erano nella posizione dei perseguitati; a volte il potere andava all’impero russo (fine XVIII –inizio del XX sec.), e successivamente all’Unione Sovietica (1946-1989), con i greco-cattolici o gli uniati isolati e cacciati nelle catacombe.
Alla Chiesa russa in Lituania appartiene l’onore della prima edizione della Bibbia in lingua slavo-ecclesiastica nel 1581.
All’inizio del XVII secolo, la Russia passò tempi foschi. Boris Godunov, eletto zar, dopo la morte di Feodor, figlio d’Ivan il Terribile (che in pratica aveva soltanto il potere simbolico durante la sua vita) fu considerato sempre uno zar impostore. Dopo qualche anno del suo regno infatti, Boris fu contestato e rovesciato da un altro impostore, Dimitrij, che si dichiarò un successivo figlio legittimo di Ivan il Terribile (che sarebbe stato ucciso da piccolo). Così iniziò la catena delle guerre e dei disordini, in cui solo la Chiesa è rimasta l’ultimo fermento dell’unità e della forza dello spirito. Quando Mosca fu nelle mani dell’esercito polacco che è venuto con il pseudo-Dimitrij (a quell’epoca un Dimitrij seguiva l’altro) la chiesa ha dato il suo grande martire della resistenza spirituale, cioè il patriarca Germogene.
I tempi torpidi sono finiti con la convocazione del Concilio che ha eletto nel 1613 il sedicenne Michail Romanov zar legale, "per la grazia di Dio", di tutta la Russia. Il padre di Michail, Filaret, che dopo il suo vedovato diventa monaco, poi metropolita, dopo il suo ritorno dalla prigionia polacca fu eletto patriarca di tutta la Russia. Così inizia il nuovo periodo della sua storia che durerà più di 300 anni e finirà con la Rivoluzione del 1917.
10. LO SCISMA DEI VECCHI CREDENTI
All’inizio del XVII secolo, la Russia aveva due capi della famiglia Romanov: il giovane zar e il suo padre naturale e spirituale, il patriarca, che spesso anche governava su tutto il paese. Sembrava che non si potesse immaginare un’alleanza più stretta. Ma quest’alleanza, che portò alla confusione fra il potere dello stato e quello della chiesa, nascondeva già i semi del conflitto futuro che sorse ai tempi del patriarca Nicon (1652-1658) e il figlio di Michail, lo zar Alessio (1646-1676).
Nicon era un uomo di forte e brusco carattere. Sacerdote sposato, perdette tre figli e prese, nello stesso tempo con la moglie l’abito monastico. Da monaco leggeva il salterio ogni giorno e faceva 1000 inchini a terra, e dopo l’incontro casuale con il giovane zar Alessio, Nicon divenne suo padre spirituale, e poi fu eletto patriarca. Dopo l’elezione, Nicon mostrò subito le sue intenzioni: di riformare la chiesa, liberandola dal potere dello stato, e di vincere il carattere laico del regno. Questi due progetti erano strettamente legati fra di loro. Nicon ebbe il sogno di un regno universale ortodosso in Russia e con questo scopo costruì anche il monastero "La nuova Gerusalemme" vicino a Mosca. Ma per creare questo regno, Nicon aveva bisogno dell’unificazione del rito russo con quello greco e della correzione dei libri liturgici. La riforma ha provocato una forte resistenza, perché per la coscienza ecclesiale russa il più piccolo cambiamento del rito era uguale al danneggiamento della fede stessa e di conseguenza la rovina della salvezza. La resistenza ha provocato la repressione, tanto che nacque lo scisma dei vecchi credenti, i sostenitori dei vecchi riti. La Chiesa ortodossa, dopo Nicon divenne la chiesa senza grazia, addirittura la Chiesa dell’Anticristo. Il patriarca si sforzò di andare contro il fanatismo religioso della Rus’ tradizionale, per la quale fare il segno della croce con tre dita al posto di due aveva il significato di tradimento della vera fede. Ma il reale motivo dello scisma era il motivo escatologico, la fine del mondo che si avvicinava.
Nicon si è appropriato del titolo di Grande Sovrano perché la sua idea del sacerdozio era più alta di quella del regno. Lo zar non accettò l’intransigenza e la visione del patriarca. Per la totale mancanza di flessibilità, Nicon non potè sopportare il conflitto con lo zar e quando vide che il suo sogno teocratico sarebbe fallito, lasciò il suo posto. Ma lo scisma, nato delle sue riforme, continuò fino ai nostri giorni. La logica dello scisma, come succede spesso, lo portò ad altre divisioni interne fra i gruppi che si staccarono dalla Chiesa ufficiale, e tuttora esiste una decina di piccole chiese che pretendono di rappresentare l’unica e vera ortodossia russa. La più grande fra di loro (i cosiddetti "popovtsy", cioè "con i preti") riuscì a restituire la sua struttura gerarchica e si distinse dal patriarcato di Mosca soltanto per il rito (ancora più lungo e più solenne); gli altri (i "bespopovtsy" cioè "senza preti" che non riconoscono il sacerdozio), non hanno nessun sacramento oltre il battesimo.
Nella metà del XVII secolo l’Ucraina, presieduta dal getman dei cosacchi Bogdan Chmelnistky che viveva nello stato della semi-indipendenza, in conflitto permanente con la Polonia e la Turchia, decise di unirsi con la Russia Orientale. Così la metropolia di Kiev è diventata una parte del patriarcato di Mosca.
11. PIETRO IL GRANDE E IL PERIODO SINODALE
Lo zar Pietro, divenuto imperatore (1672-1725) è conosciuto nella storia come autore dell'occidentalizzazione forzata della Russia, anche nell’ambito ecclesiale. Egli ha fatto il brusco cambiamento non soltanto nelle istituzioni, ma anche nella mentalità, nelle abitudini, nei costumi. Se all'inizio dell'epoca di Pietro i nobili portavano ancora le grandi barbe e i caffettani, rimanevano in piedi per le lunghissime celebrazioni ortodosse, i nobili un secolo più tardi, vestiti secondo le ultime mode europee, erano per la maggior parte volteriani che a volte faticavano ad esprimersi bene nella loro lingua, perché la loro madrelingua, imparata dai governanti e dai genitori, era il francese (i più raffinati conoscevano anche l’italiano). Se per la Russia le riforme di Pietro, imposte con grande energia e con gran violenza, hanno un impatto piuttosto positivo, per la Chiesa non era così.
Figlio della vecchia Russia, con la sua pietà, sincera ma molto ritualistica, a volte bigotta e pesante, Pietro, dall’inizio del suo regno, era letteralmente posseduto dall’odio verso tutto ciò che questa Russia portava in sé di più o meno buono (il comportamento, peraltro tipico russo che sarà moltiplicato in modo grottesco e tragico dopo la Rivoluzione 1917). Uno di suoi divertimenti preferiti era lo scherno sulla chiesa, per esempio le sedute del Concilio "ubriachissimo e buffonissimo", o le parodie all'elezione del papa, anche se egli era personalmente credente. La novità principale di Pietro nel campo ecclesiale era la sostituzione del patriarcato con il sinodo dei vescovi sotto la supervisione dell'alto funzionario dello stato, un laico nominato dallo zar in persona. Questo sistema di amministrazione della chiesa, secondo lo schema protestante, che durò dal 1721 fino a 1917 (l’ultimo patriarca Adriano morì nel 1700, ma Pietro ha atteso 21 anni prima di imporre la sua riforma alla chiesa che era in contraddizione con la sua tradizione e i suoi canoni) è noto come "sistema del periodo sinodale".
Le più ardue resistenze alle riforme di Pietro venivano dai "Vecchi credenti", per i quali Pietro era l'incarnazione dell’Anticristo in persona, essendo stati perseguitati da lui in modo implacabile. Migliaia di loro preferirono la morte nel fuoco, l’autoincendiamento, alla vita sotto il potere della bestia apocalittica… Le riforme di Pietro, discusse nel pensiero e nella storiografia russa fino ad oggi, hanno provocato anche la polarizzazione della coscienza russa. La vita spirituale in qualche modo si è staccata dalla vita ecclesiale, controllata dallo stato. L’assolutismo di tipo occidentale (ma imposto con i metodi barbarici) ha ridotto la Chiesa alla funzione del servizio dei bisogni spirituali. L’impero è diventato il valore supremo e lo stato ha preso su di sé alcuni compiti della chiesa. Negli anni 20-30 del XVIII secolo, l’arcivescovo Feofan Procopovic, assai influente nel Sinodo, vedeva la chiesa come proiezione dello stato e lo zar come sovrano assoluto anche sulla vita ecclesiale. Ma da questa Russia imperiale se ne andavano sempre i profughi: i santi, gli eremiti, i pellegrini, i "pazzi in Cristo".
Quando lo stato era ancora confessionale, fra esso e la Chiesa non sorsero mai grandi contraddizioni, almeno visibili. Il periodo sinodale è segnato dalla grande crescita del monachesimo russo, nonostante la secolarizzazione delle terre monastiche nel periodo del regno della Caterina II (1762-1796) e la costruzione delle chiese. Se sotto l’impero di Pietro il Grande la Russia aveva 21 milioni di abitanti e 20 diocesi ortodosse, alla fine dell'impero russo, nel 1915, la Russia aveva 182 milioni di abitanti, 100 vescovi, più di 1000 monasteri, 4 Accademie Teologiche, 55 seminari, 100 scuole teologiche e quasi 7800 parrocchie e cappelle ortodosse. Per fare il paragone: nel 1939, su tutto il territorio dell’Unione Sovietica non c’era nessun monastero, nessun seminario, nessun’accademia, nessuna scuola di teologia e solo qualche centinaio di parrocchie ancore aperte al culto.
Il periodo sinodale è finito con la Rivoluzione di ottobre del 1917 e con l'elezione del nuovo patriarca Tichon dal Concilio di Mosca qualche giorno dopo. Questo periodo finì con la vittoria dello spirito ecclesiale e conciliare sul principio dell’assolutismo imperiale, ma la vittoria, tanto aspettata è avvenuta nel momento della rovina dell’impero seguita dalla persecuzione, mai prima conosciuta, di qualsiasi fede religiosa. Questa rovina fu dovuta in parte anche alla debolezza sociale della Chiesa Ortodossa incatenata dall'assolutismo dello stato, imposto dal potere imperiale, quando lo zar rimaneva sempre un'icona del re celeste, ma faceva solo il più alto funzionario dell'impero. Questa situazione nel XIX secolo ha suscitato la fuga a tanti seminaristi nell'abbraccio del nichilismo e terrorismo, la "conversione" di Tolstoj dalla fede tradizionale al cosiddetto "tolstoismo", ha fatto dire a Dostoevsky, un ortodosso devoto, che "La Chiesa Russa è in una paralisi dopo Pietro il Grande", perché questa paralisi era anche scaturita dal frutto delle sue riforme.
È necessario però constatare che la grande cultura russa è stata il frutto dell'incontro fra l’eredità spirituale dell'Ortodossia e la cultura europea. "Tutto il meglio che ha creato la Russia - dice lo storico e teologo Alexander Schmeman - fu un risultato della riconciliazione degli elementi "orientali" ed "occidentali"; in altre parole di tutto autentico e immortale che cresceva dai semi bizantini, ma hanno potuto germogliare solo sul sole della storia generale dell'umanità cristiana". (2)
NOTA
(2) A. Schmeman, Il cammino storico dell'Ortodossia, Paris, 1985, p. 384.