Educare all'unità
di Vladimir Zelinskij
La lettura del documento di Ravenna sulle conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa riaccende una speranza quasi spenta in questi ultimi anni: che i due continenti cristiani, divisi da circa mille anni, sono ancora capaci di parlare la quasi dimenticata lingua della comunione. Se possiamo riconciliare i concetti di autorità e di conciliarità, di diversità e di cattolicità e mettere al centro l’eucarestia come manifestazione della koinonia, sembrerebbe che un accordo definitivo non possa essere così lontano. A questi 46 punti di Ravenna aggiungiamone ancora una decina (o otto per scongiurare la cifra emblematica del 1054, anno dello scisma) e le campane d’Oriente e d’Occidente annunceranno il ritorno – o la riscoperta? – dell’unità perduta. Quell’annuncio sarà accompagnato da grandi visite e da celebrazioni solenni. E poi? Temo che il giorno dopo i problemi cadranno come una valanga di pietre e potranno subito seppellire questo fragilissimo albero dell’unità, coltivato nella serra delle commissioni teologiche.
Si può ragionare insieme sulla bellezza di alcuni concetti teologici, come la responsabilità del Popolo di Dio per il patrimonio della fede, ma quel patrimonio - ahimé! - porta anche il grande peso della divisione millenaria. Il peso ha una sua dogmatica e una sua sensibilità. La Tradizione per cui il popolo è responsabile, si scrive e si vive con due t – maiuscola e minuscola – e non c’è una frontiera netta fra di loro. La resistenza all’Occidente fa parte della mentalità orientale (non di tutti, naturalmente) e questa parte è diventata molto più attiva dopo l’occidentalizzazione forzata che è seguita al crollo del comunismo all’Est. Quella mentalità non è mai invitata a firmare i documenti comuni. Forse – e questa è solo una suggestione – la delegazione russa ha lasciata il tavolo delle trattative anche per non essere coinvolta in decisioni che il popolo, dietro le sue spalle, non avrebbe accettato.
Alcuni diranno che la presa di decisioni così impegnative come il ritorno all’unità chiederebbe l’approvazione del Grande Concilio panortodosso (una bella idea, ma poco fattibile). Altri affermeranno che tutti questi ecumenisti delle commissioni miste siano degli uniati e dei criptocattolici che vanno scomunicati. I più radicali si staccheranno dalle Chiese per formarne delle proprie, quelle vere, seppure minuscole. Poiché nessuna firma ed anche nessuna autorità potrà costringere il popolo ortodosso ad accettare cose che si è abituato di considerare come inaccettabili. Ravenna ha compiuto un passo reale nel dialogo cattolico-ortodosso, ma affinché i prossimi passi siano decisivi, bisogna saper non solo formare, ma educare all’unità. Questa educazione dei cuori deve essere reciproca. La presidenza nell’amore di Roma - quando non è puramente onorifica - potrebbe fare i miracoli. Anche in Oriente.