GIORNATA DEL DIALOGO EBRAICO CRISTIANO
17 GENNAIO 2003
"Mosè parlava con DIO
e tutto il popolo rispondeva"
di Rav Umberto Piperno
Il titolo proposto dal Segretariato delle Attività Ecumeniche è una traduzione parziale.
Non solo rispondeva, ma "corrispondeva". Operava attivamente ed integra con la Parola Divina.
Desidero iniziare ringraziando sia il Segretariato per le Attività Ecumeniche sia le istituzioni della Chiesa cattolica e delle altre Chiese cristiane che vedo qui presenti a testimoniare la particolarità di questa Trieste, sempre attenta al Dialogo, non solo nella dimensione italiana ma addirittura di quella europea, di un’Europa attenta alla Parola del Signore e speriamo anche della nostra risposta a questa Parola che scende su di noi. Certamente abbiamo un certo grado di responsabilità nell'interno di ogni comunità e all'interno di ogni città, di essere non solo il Mosè di questa generazione, il Mosè del proprio culto, della propria comunità o di coloro che ci sono vicini, bensì soprattutto di coloro che per qualche motivo ancora non ci sono vicini, ancora non riescono a rispondere, o meglio a corrispondere all'invito della Parola divina.
Quindi dobbiamo in qualche modo porre il punto d'equilibrio, il difficilissimo incontro tra la dimensione sovrannaturale, e la dimensione della parola umana; ma Parola divina non è come quella umana.
La Parola divina è come un martello che spezza la roccia da cui escono settanta scintille, una Parola capace di dire contemporaneamente la stessa cosa in settanta lingue e quindi capace di parlare "secondo la forza", secondo l’attitudine a capire di chi ascolta questa Parola.
In questo incontro tra la Parola divina e la parola dell’uomo, vedremo come nell'Esodo questa discesa è una discesa graduale del Signore sul monte Sinai, è anche una salita del popolo ebraico e di Mosè verso il monte Sinai.
Il Talmud affronta questo incontro ascensionale e discensionale con una con una distanza dice “ di quattro cubiti “ che diremmo di limite, di confine tra queste due parole; ed il compito di Mosè viene ad essere proprio quello dell’intermediario tra questi” quattro cubiti “, questo spazio umano di “ quattro cubiti “ nel pensiero giuridico ebraico, è uno spazio di acquisto, lo spazio del corpo umano, sia nella dimensione della vita, sia in quella appunto in cui l'anima è staccata dal corpo.
Tutto ciò che è intorno a noi, in qualche modo viene ad essere appartenente ai suoi ” quattro cubiti di pertinenza “, quindi questi “ quattro cubiti “ che certamente non sono vuoti, ma che sono pieni di parole.
A chi appartengono queste parole: all'uomo o al Signore?
Ancora di più ci chiediamo quale sia la difficile strada, il difficile ruolo di Mosè che non vuole essere assolutamente un intermediario, che non vuole essere assolutamente un portavoce, bensì, fin dall'inizio della sua scelta dapprima della nascita, dalla sua formazione, sia nella culla presso il Nilo, sia nel momento in cui pur accolto dal Faraone, veniva allattato dalla madre, ebbene Mosè si nutre di questi sentimenti di giustizia che poi ritrova quando esce e va verso il suoi fratelli.
E vide "nelle loro sofferenze". Non vide "le sofferenze" ma vide dall'interno, con il suo sentimento con la sua interiorità
Ecco la grandezza di Mosè fino dall'inizio è di guardare all'interno e di esser capace di compartecipare all'interno di una situazione in cui la stessa divina presenza si trova in difficoltà; ed ecco come allora l'esperienza del Sinai, l'esperienza della ricezione della Parola divina e della risposta del popolo, del Patto della Legge stabilita sul Sinai, non a caso il Libro dell’Esodo lo pone come primo incontro tra Mosè e il Signore.
Il Signore non parla con Mosé bambino, non parla a Mosè quando compie questi grandi atti di giustizia nei confronti dei suoi fratelli, o ancora di più nei confronti di estranei, tra pastori che litigano, ma nel momento in cui, dice il Midrash, come sappiamo va nel deserto per correre dietro ad una pecora che si era allontanata. Solo in quel momento diremmo, la persona, il leader diviene tale proprio nella compartecipazione, nella preoccupazione per il singolo, quest'elemento pastorale dell'attività di Mosè che non è assolutamente marginale nella sua esperienza.
Mosè vive per quarant'anni negli agi della corte del Faraone, accorgendosi però nel quarantesimo anno di questa tragedia del suo popolo, ma per altri quarant'anni vive a Midian, vive una dimensione pastorale, prepara la sua figura, il suo intervento, curando il gregge come tanti altri grandi personaggi della Bibbia. Ma sono questi secondi quarant'anni che daranno a Mosè la capacità di leader, poi certamente nel ottantesimo anno avverrà questa scelta, questa chiamata dal ” Roveto “ e negli ultimi quarant'anni secondo tradizione, dagli 80 ai 120 anni, allora Mosè interverrà positivamente a favore del popolo ebraico, e parlerà con il Signore.
Parlerà con molti intervalli, come vedremo, non è un dialogo continuo, un dialogo addirittura ci dice la Bibbia con 38 anni di pausa.
Il Signore parla a Mosè nell’ottantesimo anno della sua vita, l'anno in cui si realizzano le “Piaghe”, si realizza l'uscita dall'Egitto, si realizzano i cinquanta giorni dopo il Patto del Sinai, per un anno intero vedremo le Prime e le Seconde Tavole, il massimo momento della visione profetica nella rottura delle Prime Tavole, del Perdono divino, l'inaugurazione del Santuario, l'invio degli esploratori, e poi abbiamo 38 anni di silenzio.
Fino all'ultimo anno, da Numeri (cap.13) fino al Deuteronomio in cui in sei mesi Mosè riassume tutto il suo insegnamento, quindi è un Logos (dialogo) interrotto a spezzoni, in cui abbiamo appunto questo avvicinamento solo all'ottantesimo anno per due anni e poi gli ultimi mesi.
Ma allora ci domandiamo ecco quale fosse la qualità di questa “ chiamata “, di questo discorso, di questa capacità di poter essere prescelto per riportare da Parola divina ad un popolo intero.
Abbiamo detto le qualità morali, le qualità di estrema dedizione ad ogni singolo, la guida della comunità che significa l'andare fino al deserto, nel posto dove non c'è assolutamente pascolo, per seguire una pecora. Una pecora che non solo si era allontanata dal gregge, il Midrash aggiunge qualcosa a riguardo di questa pecora, a riguardo di cosa fosse andata a fare nel deserto.
Dice il Midrash, per raccogliere qualche goccia di miele che usciva da una roccia. Sappiamo che molto probabilmente le api forse pongono il nido nelle rocce, ecco: raccogliere da una roccia dove non c'è niente, dove non c'è vita, apparentemente, ecco lì c'è il miele. Questo è il compito di Mosè: prendere il miele, raccogliere il miele dove apparentemente sembra esserci il deserto.
Se trasferiamo questo insegnamento nella attualità, grandi sembrano essere i deserti, grandi sembrano essere le rocce e molto piccole sembrano essere le gocce di miele. Un po' il compito di ognuno di noi, di ogni Mosè che affronta il deserto, senza “seccarsi spiritualmente”, di seguire questo impeto per raccogliere questo miele, fare in modo che diventi tutta una vallata, questa pecora che si è allontanata venga quindi nutrita, e santifichi in qualche modo l'intera realtà circostante.
Per questo il Signore si manifesta proprio in questo Monte del Signore che però sembra esser privo di vita, sembra essere un Roveto consumato dal fuoco.
Un Roveto che però non si consuma, l'immagine del Roveto che darà il Nome al Monte, il Monte Sinai, vuole anzitutto trasmetterci l'insegnamento che la Parola del Signore è in ogni posto, persino nel deserto e soprattutto non in un grande albero, non come dice il profeta Elia: “ Nella voce impetuosa dell'acqua, nella voce impetuosa del fuoco, bensì una voce sottile e silenziosa “.
Voce silenziosa: paradosso del testo biblico. Una voce di fuoco che non consuma, che non distrugge che non è un fuoco dell'odio né un fuoco della distruzione, bensì, come vedremo” dalla Destra del Signore una Legge di Fuoco”.
Queste Parole incise con il fuoco che vengono ad essere riportate al popolo nelle Prime Tavole per essere poi sostituite da una scrittura umana, quella di Mosè nelle Seconde Tavole.
La dimensione del Roveto vuole sottolineare ancora la compartecipazione del Signore ai dolori del suo popolo; la possibilità di stare all'interno di un Roveto, in una situazione di ristrettezza, in cui le spine vengono ancora di più a procurare dolore.
Preoccupazione e dolore, più per il Signore che non per coloro che purtroppo sembrano non accorgersi di tutto ciò.
Li dove è compressa la libertà umana, la spiritualità del singolo, di un popolo, è compressa la Parola del Signore. E quindi ecco che la preoccupazione di Mosè è proprio che il popolo non possa ricevere, recepire, credere ne a Mosè né alla sua Parola: “..Certamente non mi crederanno …”.
Mosè chiede non solo dei segni, ma un messaggio, una “parola chiave” con la quale creare un collegamento iniziale, con il quale aprire la porta del Dialogo.
E certamente questo insegnamento, questa “parola chiave”, altro non può essere che il ricordo.
“ Il Signore si è ricordato e si ricorderà di voi “.
Quelle stesse parole che ha detto Giacobbe quando ha voluto essere sepolto in Israele, quelle stesse parole che ha voluto dire Giuseppe che non ha voluto essere sepolto in Israele bensì rimanere in Egitto in sepoltura temporanea, affinché fosse come simbolo vivente, paradossalmente pur privo di vita fisica, legato al ricordo della liberazione che sarebbe arrivata.
Quindi ecco che queste due parole, questo verbo del ricordo viene ad essere il primo elemento in cui il popolo si riconosce.
Sento una voce familiare, sento un verbo familiare, forse quella parola d'ordine che porta un personaggio nuovo, un personaggio che viene da lontano. Ma soprattutto un personaggio che pratica la fratellanza.
La novità, la prima grande novità del messaggio biblico dell'Esodo, è proprio la fratellanza, la compartecipazione tra Mosè e Aronne.
Mentre nel Libro della Bibbia, nel primo Libro della Genesi da Caino e Abele, Abramo e Lot che debbono dividersi perché sono fratelli. Noi siamo fratelli. Quali fratelli! Non ci sia lite tra noi, dividiamoci perché siamo fratelli. Certamente una situazione di fratellanza ridotta ed ancora di più fratellanze imperfette tra Ismaele e di Isacco, e tra i figli di Isacco, tra Giacobbe ed Esaù. Fratellanze difficili tra Giuseppe e i sui fratelli, come tra i due figli di Giuseppe l’uno che prende il posto dell’altro, questa lotta continua per la primogenitura, quale fratellanza ci offre il Libro della Genesi.
Improvvisamente ecco che arriva Mosè con il fratello più grande che si preoccupa, prima di tutto nel messaggio del Signore di dare giusto ruolo al fratello più grande, perché appunto chiede:
“ Manda chi sei solito mandare “.
Il Signore gli indica una nuova dimensione nel quale Aronne non è solo il portavoce, certamente tutta la difficoltà del profeta balbuziente, quasi del profeta noto, colui che deve riportare la Parola e che incapace di parlare. È vero in termini umani, è incapace di dire cose sue, ma certamente è capace di essere ispirato. All'interno di questa ispirazione: “ Aronne tuo fratello sarà il tuo profeta “. Non è il suo speaker, non è suo portavoce, non è il suo addetto stampa.
Aronne viene ad avere insieme a Mosè questo ruolo di comunicazione, ma questo ruolo di comunicazione si crea proprio nel momento in cui, per la prima volta, si ri-incontrano dopo quarant'anni Mosè e Aronne dopo questa grande esperienza del Roveto Ardente.
Il Signore lo rassicura: “ Stai tranquillo, ti vedrà e gioirà in cuor suo.”
Anche qui il vedere non solo un fratello, ma il condividere a livello interiore la gioia di una missione difficile, di un compito che più che un onore certamente è un grande onere rispetto al quale Mosè e Aronne insieme rischiano più volte la lapidazione da parte del popolo ebraico.
“ Ancora un po' e mi lapideranno “.
Per la mancanza di cibo, per la mancanza d'acqua, per le scelte difficili e coraggiose che faranno Mosè ed Aronne; ebbene la gioia interna, la gioia all'interno di un cuore è ancora quella che fa pensare a un popolo, addirittura li fa inchinare quando vedono un leader che è capace di gioire assieme a suo fratello, quando egli non ha sentimenti di prevalenza, allora il popolo riesce ad accorgersi che Mosè è il leader giusto, prescelto dal Signore proprio per queste sue qualità.
Ed allora ecco che durante tutta l'uscita dall'Egitto, durante tutto il periodo di sei mesi nei quali si susseguono i segni e i miracoli, Mosè ed Aronne insieme agiscono l'uno dove non può agir l'altro: per esempio Mosè che non può colpire la sabbia perché la sabbia lo difeso quando lui ha sepolto l'egiziano ed allora è Aronne a coprire la sabbia; Mosè che non può colpire l'acqua perché l'acqua lo ha salvato quando era un bambino in fasce nel Nilo, allora è Aronne a percuoterla.
Ma soprattutto è nell'esperienza del passaggio del Mar Rosso, in cui ecco per la prima volta il popolo ebraico ebbe fiducia nel Signore è in Mosè suo servitore.
Il testo biblico dice. “… ebbe fiducia “ non dice “… ebbe fede ”.
Come sappiamo grande è la distanza tra fede e fiducia; la fiducia viene ad essere qualcosa che ha bisogno di un elemento pratico di riscontro, ebbene il popolo ebraico per la prima volta dopo sei mesi, dopo le “ Dieci Piaghe “, nel momento in cui passa il Mar Rosso, nutre questa fiducia. Certamente è la Parola del Signore, che non è più una Parola destinata alla liberazione fisica, ma che diventa immediatamente “ fattore di crescita spirituale “ così come il Signore dichiara nel suo programma di liberazione in cinque punti nel quale appunto il popolo ebraico si sarebbe dovuto liberare non solo dalla schiavitù fisica, non solo dal sentimento di dipendenza psicologica verso padrone, ma addirittura di meritare un'indipendenza di mezzi, di strutture, con le quali costituire una Nazione, meritare di essere preso come Popolo, come Sposa del Signore e quindi di avere, di meritare questo rapporto diretto con il Signore e di essere portato quindi, nella sua terra.
Per realizzare questo progetto, questo processo, la Parola del Signore certamente ha un ruolo diverso.
Un ruolo insieme di crescita, di salita, di rivelazione, ma in ogni momento, come è scritto nei Salmi, la voce del Signore è secondo la forza; la forza di chi è capace di recepire; la forza individuale, non la forza in termini divini, ma la forza in termini umani. La capacità ricettiva dell'uomo, una capacità che viene ad essere assolutamente individuale e quindi ecco che cinquanta giorni dopo l'uscita del popolo ebraico dall'Egitto nel terzo mese, si realizza questo incontro, questo incontro che non è lontano nel tempo, che come dice nel Libro dell'Esodo, cap.19, viene ad essere l'incontro odierno.
“In questo giorno arrivarono nel deserto del Sinai “. Non dice in quello, oppure arrivarono tanti anni fa. I Maestri calcolano l'anno 1313 avanti all'era volgare, ma non ci interessa. Nessuno del popolo ebraico, ne i bambini ne i Maestri si sogna mai di dire sono passati 3380 anni dalla Rivelazione. No!.
Il giorno in cui, ogni uomo, apre il libro della Parola divina, quello è il giorno del Sinai; non conta l'anno, in questo giorno, non solo, ma soprattutto si realizza quella condizione indispensabile per ricevere la Parola divina.
Apparentemente la Bibbia sembra darci dettagli di viaggio, dettagli per chi voglia ripercorrere le tracce di Mosè nel deserto del Sinai. Ma Maestri del Midrash leggono sempre questi dettagli in chiave di “elevazione spirituale”. Partirono da Refidim e arrivarono nel deserto del Sinai.
Già sapevamo nell'ultimo brano letto, da dove era partito il popolo, che bisogna c'era di ripetere questo elemento. I Maestri giocano sul significato topografico del nome “ rifidim “che è vicino ad un termine che si ottiene invertendo le lettere fino ad avere un altro termine il cui significato è quello di divisione.
L'ultimo elemento di cui appunto si era occupato il testo biblico era l'attacco di Amalec, l'attacco portato al popolo ebraico nel momento in cui era caldo di entusiasmo e pieno di fiducia nel Signore.
Ecco che arriva qualcuno che dice: “ Vediamo se il Signore è con noi oppure no “.
Nello stesso momento, nel momento del dubbio il nemico si fa strada e colpisce il popolo ebraico alle sue spalle. Numerosi sono stati gli Amalec della storia, numerosi e sempre più sanguinari.
Il dovere di ricordare quello che ci ha fatto Amalec che ti ha raffreddato nella strada, non ti ha solo attaccato, ha fatto di più. Il pericolo più grande è quello di aver raffreddato la vita di un singolo o di una comunità:
i Maestri che non ci sono più, l'entusiasmo di una vita comunitaria che prima di una Shoà poteva avere quattro sinagoghe, centri di studio attivi dalla mattina alla sera, in migliaia di luoghi in Europa che sono stati interrotti, distrutti da Ameleq.
Non è solo la distruzione fisica: è il raffreddamento di questo entusiasmo il pericolo più grande. E allora questa divisione dal Signore, questa difficoltà di percepire la presenza del Signore, che viene a portare la divisione. Ma nel momento in cui il popolo ebraico avanza all'incontro con la Parola del Signore ecco che il testo biblico ci dice: “ Si accamparono nel deserto e si accampò li Israele di fronte al monte.
Che vuol dire sia accamparono, si accampò?
Soprattutto che bisogno c'è di una ripetizione, e perché soprattutto con persone diverse prima al plurale poi al singolare. I Maestri sottolineano che non si può ascoltare la Parola del Signore se non si è uniti.
“ Si accampò Israel come un unico uomo, con un unico cuore “, dicono i commentatori.
Solo quando superano le divisioni, solo quando diventano come un'unica persona, allora il Signore può parlare.
Ecco allora che Mosè sale verso il Signore. E il Signore lo chiama dal monte dicendogli: “ Così dirai alla casa di Giacobbe e parlerai ai figli di Israele “.
Anche qui “ parlare “ e “ dire “ due verbi diversi, “ la casa “ e i ” figli “.
La Torah, il testo biblico in poche parole, in una sola parola ci vuole insegnare anche la psicologia, ci vuole insegnare il mestiere di leader, di mestiere di oratore, come parlare al popolo.
Innanzitutto parlare alle donne, la casa di Giacobbe la forza della spiritualità di un popolo, di una comunità, sono le donne.
Saper entrare nel cuore delle donne, saperle conquistare, saper fare in modo che la parola sia una parola dolce, una parola appunto capace di catturare la loro attenzione.
Purtroppo gli uomini non sono così ricettivi e quindi per i figli di Israel, per i maschi, c'è bisogno di altro.
C’è bisogno non solo di narrare, ma dice ancora il Midrash, c’è bisogno di parole "dure come nervi".
Parole che in qualche modo hanno una elasticità, che però non può essere estesa o ridotta a piacere; ma così come la funzione del nervo nell'uomo è quella di trasmettere un impulso, un comando, ma se non ci fosse la durezza dell'elemento trasmettitore, non arriverebbe il messaggio.
L'uomo ha bisogno, per ascoltare la Parola del Signore di uno strumento particolare, uno strumento duro come lo sono i nervi.
A proposito della Parola stessa in cui appunto il Signore viene a dire: “ Avete visto quello che ho fatto in Egitto, vi ho portato su ali d'aquila e vi ho fatto arrivare a me “, quindi usa una cura particolare nei confronti del viaggio, una protezione particolare, e continua “ Se ora ascolterete la mia voce e osserverete il mio Patto “. Le condizioni sono chiare: per essere un reame di sacerdoti, un popolo distinto. Queste sono le parole che porterai ai figli di Israele: ascoltare la voce, anche qui ” nella voce “, cioè l'intera gamma dei messaggi e osservare il patto. Nel Sinai si realizza un vero Patto che pone il popolo ebraico nella accettazione, e vedremo se questa accettazione è libera o no, del precetto divino, della sua norma così come per ogni persona, che si avvicina all'ebraismo.
Non basta il patto della circoncisione. La circoncisione è il patto storico, il passaggio di generazione in generazione, da Abramo ai suoi figli.
Quel Patto che lega il singolo alla spiritualità divina, che porta l'elemento corporale, fisico nella dimensione del sacro e quindi ecco che il patto della circoncisione è strettamente individuale.
Il bambino nel momento in cui viene circonciso, perfeziona attraverso questa modifica della sua dimensione corporale, appunto la dimensione in cui la materia in oggetto è proprio l'organo dedicato alla riproduzione, entra nello Spirito.
Ma la circoncisione rimane un discorso individuale non è un discorso collettivo.
Il discorso collettivo, comunitario e di popolo, si realizza per tutto il popolo ebraico nel momento in cui il popolo si prepara al Decalogo, si prepara all'incontro con il Signore. Dice il testo dell'Esodo: “ Lavando i vestiti “. Ma in effetti quell'immersione nelle acque della purità che perfezionano appunto l'ingresso del popolo ebraico, non è solo l'immersione ad essere determinante. Insieme alla circoncisione, insieme all'immersione e per la donna che non ha neanche bisogno di sacralizzare il suo corpo perché già sacro, per il quale c'e solo l'immersione, ecco che deve intervenire l'elemento fondamentale, l'elemento dell'accettazione dei precetti.
Quest'accettazione è certamente un'accettazione difficile da comprendere, e un'accettazione rispetto alla quale il popolo ebraico viene a porre il suo futuro, così come ogni persona diremmo viene a porre le sue scelte, a dare una dimensione particolare alla sua libertà, piuttosto che a sottomettere la propria libertà.
Il mondo dei precetti non è mai una sottomissione e lo vedremo nel punto in cui è scritto: “ Le Parole incise sulle Tavole non leggere “ l'inciso “ ma, libertà sulle Tavole “. Quindi la libertà quotidiana in ogni momento di dedicare la propria attenzione e il proprio orecchio alla Parola del Signore, al richiamo della coscienza a un'altra voce a un altro richiamo, alla libertà di ogni giorno di aderire o non aderire ai precetti positivi. La libertà di violare o non violare un precetto negativo. La libertà che ogni giorno l'ebreo sceglie dicendo al presente: “ Ci stai dando la Legge “.
Ma che viene ad essere santificata fino dal momento del Monte Sinai.
È questa un'esperienza a cui partecipa, secondo il Midrash, tutto il popolo ebraico, passato, presente e futuro. Tutte le anime che sarebbero nate, che nasceranno nel corso dei secoli, secondo il Midrash è li presente ai piedi, o meglio come vedremo, sotto il Monte Sinai.
Perché “ sotto “ il monte Sinai ?
Dopo questo messaggio da parte del Signore, dopo questa condizione, Mosè chiama gli anziani del popolo e gli propone quelle cose, così come gli aveva detto, ordinato il Signore.
Ed ecco ora la risposta del popolo:
Rispose tutto il popolo insieme, qui nel capitolo 19,8 e dissero: “ Tutto quello che ha detto il Signore faremo “.
Più avanti viene detto: “..Tutto quello che ha detto il Signore faremo ed ascolteremo “.
Che bisogno c'è di dire”.. faremo e ascolteremo “. Anzi, se “faremo “ non c'è bisogno di ascoltare; e che vuol dire “ ascolteremo “; non è meglio dire: “ Ascolteremo e faremo “ ?.
L'ascolto non è condizione necessaria per l'esecuzione di un’azione.
Ma come si può realizzare la volontà del Signore se non si ascolta ?.
Possiamo ascoltare, possiamo comprendere, possiamo capire solo facendo.
Quindi non vuol dire prima faremo senza capir niente e poi ascolteremo, ma vuol dire ascolteremo mettendo in pratica, ascolteremo facendo, nella contemporaneità.
Il vero ascolto non è l'ascolto passivo, come davanti a uno strumento meccanico come la radio, la televisione, il computer; ma è "l'interattività" e quindi la possibilità di rispondere, la possibilità di intervenire e modificare in qualche modo, non il programma divino che certamente non può essere modificato, ma la dimensione della propria spiritualità.
Innanzitutto il cammino della " Teshuvà " del ritorno a Dio in ogni momento della nostra vita.
L'uomo in quanto tale, non solo l'ebreo quindi, ha la possibilità di pentirsi del sue colpe, ha la possibilità di ravvedersi, un ravvedimento attivo dove deve prima di tutto correggere il suo comportamento, per incontrare di nuovo il Signore.
E quindi ecco che a proposito di questo “ faremo “ certamente il Talmud deve intervenire.
Come sappiamo, i dettagli del racconto dell'Esodo, anche dal punto di vista "metereologico" sono abbastanza importanti.
Il Signore che parla dall'interno, più che da dietro una cortina di nubi, le nubi che rappresentano un elemento non di schermo tra l'uomo e il Signore, ma un elemento di protezione per l'uomo, quasi come quegli occhiali che servono per non rimanere abbagliati.
Più avanti il testo biblico dice: “ Verrò da te nell'addensarsi delle nubi ”.
Dio parla con il suo profeta Mosè affinché il popolo ascolti e risponda.
“ Ed in te avranno fiducia per sempre “.
Solo dopo Mosè riporta le parole del Signore a tutto il popolo.
Allora il Signore gli dice di prepararsi, di dividersi tre giorni delle proprie mogli e nel terzo giorno il Signore si sarebbe manifestato.
Il Signore sarebbe sceso sul Monte, nel terzo giorno davanti agli occhi di tutto il popolo.
Ecco che questi tre giorni di limitazione, non solo nella vita familiare coniugale, ma questi confini messi intorno al Monte, vengono ad essere quegli elementi nei quali insieme al suono del Corno, al suono dello Shofar, gli avrebbero consentito poi di salire al Monte.
Ecco che Mosè deve discendere dal Monte Sinai.
Quante volte ha dovuto salire e scendere dal Monte per riportare anche questa norma al popolo, in cui appunto viene a dire quello che era richiesto dal Signore per l'incontro.
E solo nel terzo giorno, al mattino, tra "suoni e lampi".
Tuoni e lampi anche qui normalmente prima il lampo dopo il tuono, la fisica ci insegna e la luce è ben più veloce del suono.
La Bibbia ci vuole dire che questa è un'esperienza sinestetica in cui non solo l'udito viene coinvolto, ma tutte le capacità dell'uomo, quelle intellettive e quelle sensitive.
E "tremò tutto il popolo che era ai piedi del Monte" così come poi tremerà il Monte.
Immaginiamo, la paura, la sensazione di un terremoto in cui trema la terra, ma anche trema la persona, trema e vibra diremmo, anche l'anima dell'uomo.
E allora ecco che anche qui il testo usa delle “ forzature “ bellissime. “ Fece uscire Mosè il popolo incontro al Signore dall'accampamento e si fermarono ai piedi del monte “.
Che vuol dire: “ Fece uscire “.
I Maestri vedono qui quasi una “ forzatura “: come la sposa che ha paura di andare incontro allo sposo mentre l'accompagna il padre, perché appunto forse ci potrebbe ripensare, forse ha qualche esitazione. Ebbene arriva il momento in cui, malgrado la santità dell'unione, ecco sorgono i dubbi e c'è bisogno di un Mosè che spinga il popolo ebraico a questo incontro.
Un incontro in cui il popolo si ferma ed è presente sotto il Monte, mentre il Monte sta fumando, diventa un vulcano perché era sceso il Signore con il fuoco ed il fumo come appunto una fornace.
Immaginiamo questa dimensione dei vulcani nel quale la voce dello " Shofar " è sempre forte.
“ Mosè parlava “, questo è il titolo dell'incontro, e ” il Signore gli rispondeva con la voce “.
Più avanti, prima del dell'incontro, scese il Signore sul Monte Sinai, quindi continui spostamenti.
Il Signore chiede ancora a Mosè di scendere un'altra volta per prepararlo a salire gradatamente, scese verso il popolo e il Signore disse tutte queste parole, cioè i Comandamenti.
E poi il popolo che ” vedeva “ i suoni.
Anche qui un'esperienza particolare, quasi televisiva diciamo, in cui il popolo vedeva da lontano e che chiedono a Mosè di parlare con il Signore perché loro temono di morire.
E Mosè che dice al popolo di non aver paura perché proprio questa è la prova che Signore richiede:
“ che sia il Suo timore sul vostro volto, senza peccare “.
Il popolo sta lontano e Mosè si avvicina alla Nube, dove c'e il Signore.
Certamente l'esperienza del Sinai, è quell’esperienza collettiva, che dimostra la veridicità della propria fede come elemento di continuità, dice: “ Come sarebbe stato possibile trasferire ad un intero popolo, un racconto collettivo se qualcuno non ne avesse trasmessa la memoria “.
Non una memoria individuale, che passa ad un popolo, ma una memoria trasmessa da un testimone.
Se ci vengono a raccontate che i nostri nonni sono andati sulla Luna, non potremmo mai credere a questo racconto se almeno una persona che ha conosciuto il nonno non abbia ricevuto questo messaggio, non abbia ricevuto questa testimonianza.
Quindi l'elemento della fiducia nella Torah stà proprio in questa esperienza collettiva, in cui il popolo ebraico nel corso della sua storia delle sue diaspore vive questo incontro, è certamente anche storicamente almeno subito pochi secoli dopo la promulgazione del Pentateuco, il popolo ha la coscienza che c'è stato questo incontro, che c'è stato questo Patto di accettazione.
Ma come è questo Patto ?.
Il Talmud si sofferma su questo incontro, si sofferma e cerchiamo in pochi minuti di trarre qualche insegnamento da questo momento di attesa, e nello stesso momento di sosta sotto il Monte.
Perché “sotto il monte” e non “ai piedi del monte” ?.
Un altro Midrash ci dice che il Signore usò violenza nei confronti del popolo ebraico.
I Rabbini, che parlano liberamente, usano questa metafora.
Come un uomo che usa violenza ad una donna, cioè che lo ha forzato ad accettare la Legge.
“ O accettate la mia Legge o qui sarà la vostra tomba”.
Il popolo ebraico non aveva scelta; avrebbe dovuto accettare il Patto del Sinai, altrimenti il Monte sarebbe piombato su di loro e li avrebbe soffocati.
Non solo il Monte, ma addirittura tutto il mondo, quel mondo creato nel sesto giorno, sarebbe piombato nel caos.
Quindi li dove non c'è l'accettazione della Legge e lo studio della Legge, l’intero mondo torna nel caos, l'intero mondo viene distrutto.
Una responsabilità ben pesante per il popolo ebraico, una responsabilità di accettare, appunto un matrimonio forzato.
I Maestri dicono questo innanzitutto per legare il Signore al popolo ebraico; è vero che forse c'è stato un atto di violenza, vedremo poi che non è così, ma che invece c'è stata una libera scelta.
Ma se c'è stato un atto violenza, ebbene, così come un uomo che poi il decide di sposare quella donna perché la ha violentata non può più divorziare da lei, non può dire cinquant'anni dopo: “ è vecchia non mi piace “. E quindi così il popolo ebraico non può essere più abbandonato dal Signore.
Ecco perché “ costringono “ tra virgolette il Signore ad essere il marito sempre fedele al popolo d'Israele malgrado il popolo di Israele non sia sempre stato fedele. Quindi viene capovolta questa violenza, viene capovolta chiaramente con un'immagine nella quale il Talmud nel trattato di Shabbat, accetta che ci sia stata questa imposizione. Ma quale imposizione, se poi abbiamo letto nell'Esodo: “ Tutto quello che ha detto il Signore faremo e ascolteremo “.
C'è un’attitudine, nel popolo ebraico che come al solito lo porta ad essere impaziente e a non aspettare i tempi necessari.
Quindi pronunciano questa affermazione senza pensare, un'affermazione che non avrebbero poi confermato nel corso della storia.
Ma interviene un altro Maestro e dice non è così.
La Torah ci vuole dire che è vero che la sussistenza del popolo ebraico e del mondo, dipende dall'accettazione della Torah: “ O accettate o qui sarà la vostra morte “. Così come se il popolo ebraico si distaccasse della sua Legge sarebbe come un corpo senz‘anima.
Ma nello stesso momento dice: “ Ecco che tutto il popolo ebraico ha accettato la Legge e la ha accettata anche in un secondo momento, nel momento della persecuzione alla fine del pericolo “.
Nel libro di Ester è scritto: “ Tutti accettarono e riconobbero “.
Che cosa misero in pratica? Il precetto di leggere il rotolo di Ester.
Che cosa c'entra questo precetto rabbinico abbastanza facile da seguire, anzi, nel momento di massima gioia del popolo ebraico, che ci vuole ad accettare questi quattro precetti del "Purin" di ascoltare questi pochi capitoli degli agiografi e poi magari gioire, fare il banchetto, dare doni ai poveri, fare una bella festa.
No dice, perché è importante quella accettazione?
Perché è un'accettazione dopo il pericolo.
Il popolo ebraico che rimane fedele alla Legge, proprio e malgrado il nemico che lo aveva voluto colpire per la sua dimensione appunto di fede, di fiducia, di attaccamento al Signore. Ed allora ecco che la seconda accettazione quella avvenuta in Persia, ai tempi di Ester, che paradossalmente viene ad essere una accettazione più forte di quella del Monte Sinai.
Cioè come nel corso della storia il popolo ebraico ha accettato e confermato liberamente, finito il pericolo, di ritornare alla Legge del Signore; ritornare senza alcuna costrizione, ritornare senza dimensione di paura che non è immobilità, ma è appunto una paura della responsabilità.
Il Midrash continua, che cosa è avvenuto dopo che il popolo ebraico ha detto: “ Faremo ed ascolteremo” sono venuti seicentomila angeli, uno per ogni individuo, ed hanno donato a ciascuno due corone: una per il “ faremo “ un'altra per “ l'ascolteremo “.
Immaginiamoci quindi questa dimensione nella quale ogni individuo dal più semplice fino al profeta Mosè, è incoronato con questi elementi, non a caso diremo messaggi di splendore nella dimensione intellettuale, nella dimensione appunto “ sopra la testa “.
Ma poi dice quando il popolo ebraico ha fatto il vitello d'oro sono scesi un milione e duecentomila angeli ognuno a riprendere una corona, mentre prima un angelo gli aveva dato due corone, queste corone state perdute, ma questa perdita delle corone viene sostituita dai "Tifillin" dai filatteri dove c'è: “ L'ascolta Israele “.
Quindi chi ha sbagliato ha la possibilità, ogni giorno di rimettere almeno una di queste corone, dimostrando che “faremo ed ascolteremo” cioè che stiamo “ascoltando” dimostrando con il precetto dei filatteri sulla testa “di fare”, di accettare queste corone.
Il discorso delle donne è ancora più nobile; le donne hanno ancora queste due corone: non le hanno perse perché non hanno sbagliato nell’ episodio del “vitello d’oro “.
Nel fondere il vitello d'oro sono stati usati ornamenti maschili, orecchini da uomo, anelli..
Per questo motivo le donne non mettono i filatteri: perché non hanno perso le loro corone.
Non hanno bisogno di corone sostitutive, umane da mettere al posto di quelle divine. Ma verrà il momento in cui tutto il popolo ebraico si pentirà, e farà Thesuvà, e accetterà quelle Seconde Tavole che Mosè ha riportato al popolo ebraico nel giorno del Kippur, il 10 del mese di Tishrì.
Mosè scende dopo 40 giorni, sente il rumore nel campo.
Mosè pensa che si tratti di guerra, ma sente solo confusione e allora compie quel grandissimo atto nel pensiero ebraico il più alto momento di profezia, perchè anticipa l'intelletto attivo, la volontà del Signore nello spezzare le Tavole del Signore.
Spezzare quelle Tavole scritte con il fuoco del Signore perché appunto il popolo non le avrebbe potuto sopportare. L'uomo non avrebbe potuto incontrare questa Volontà, questa Parola.
Non avrebbe potuto, come ha fatto Mosè, salire, entrare in questi “ due metri “, in questi quattro cubiti di terra di nessuno.
Ed allora che fa ?
Risale sul monte Sinai, per 40 giorni e 40 notti e chiede perdono al Signore per tutto il popolo.
Quel popolo ebraico che il Signore vuole distruggere, per crearne un altro a partire da Mosè.
Rinuncia ad una sua discendenza, ad il suo onore in favore del popolo, e solo dopo nel momento in cui può vedere parte della sua Gloria, solo dopo Il Signore passa su lui e gli rivela i 13 Attributi, allora discende al popolo ebraico.
Scende con le Seconde Tavole.
Queste Seconde Tavole che certamente non sono diverse nel contenuto, nella Parola divina, se non in piccolissime differenze tra il testo dell'Esodo e quello del Deuteronomio, ma che sono fuse nel contenuto. Questa volta però sono di matrice umana, scritte dall'uomo; e solo dove sono scritte dall'uomo sono sostenibili dalle mani dell'uomo; cioè non vengono più ad essere un peso per l'uomo, ma vengono ad essere quell'elemento di libertà che si tramuta, dicono i Maestri, nella semplicità del popolo che accetta quel che ha detto il Signore:
“Faremo ed ascolteremo”.
In che modo ?. Dove i giusti ed insieme tutto il popolo, nel momento del loro ravvedimento verranno condotti verso il loro obiettivo finale, con una gioia eterna sul loro capo.
Cos'è questa gioia eterna ?
Sono queste corone recuperate. Quindi la dimensione nella quale tutto il popolo non è capace immediatamente di rispondere, oppure risponde senza pensare, o risponde impetuosamente, si impegna forse in maniera precipitosa o viene costretto a impegnarsi, ma solo nel momento in cui nella dimensione futura il popolo è capace di prendere quest'impegno, di ri-meritare queste corone perché giornalmente appunto le sostituisce con le corone dei filatteri, con le corone delle buone azioni, così come Mosè ha meritato questa corona di splendore sul suo volto, allora ecco che riusciamo a comprendere, riusciamo a capire come il popolo “risponda” o meglio “corrisponda” alla Parola del Signore.
Una ascesa verso il monte Sinai, una ascesa verso la volontà del Signore che non si ferma mai, che non ha mai malgrado la discesa del Signore sul monte, un momento di incontro.
Una ascesa che è quotidiana, un compito difficile così come quello di Mosè di prendere il miele dalle rocce desertiche, un compito però di cui non abbiamo più paura.
* Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Trieste