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Giovedì, 29 Marzo 2007 01:36

Vladimir Solovëv alle soglie del XXI secolo (Vladimir Zelinskij)

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Vladimir Solovëv alle soglie del XXI secolo

di Vladimir Zelinskij


Il profeta della riconciliazione

Vladimir Solovëv morì un secolo fa e noi dobbiamo misurare bene questa distanza. Sembra che lui sia vissuto in un altro mondo, ma sullo stesso territorio che si chiama oggi con una pretesa un po' orgogliosa, "l'Europa dall'Atlantico agli Urali". Infatti, egli era sempre in viaggio dall'Est e dall'Ovest del continente europeo. Era il tipico pellegrino russo, ma con una schiacciante erudizione, un ex-professore itinerante, un trovatore e un interlocutore della caparbia Signora Sofia, ma anche uno spiritoso che poteva nascondere nello scherzo ciò che è più santo e ciò che è più profano, un vagabondo instancabile in ricerca della Città Celeste sulla terra, un alchimista del pensiero, uno scolastico, ma anche un poe­ta visionario che sembra venuto dal Medioevo per camminare verso quel futuro che non vediamo neanche noi.

L’Europa, però, l'area geografica del suo pellegrinaggio, come concetto sto­rico e culturale, come carta dei valori comuni, bagaglio legislativo, simbolo dei diritti umani, non era neanche in progetto. La terra dall'Atlantico agli Urali era occupata dagli stati nazionali con i loro egoismi e patriottismi sfrenati in cui fer­mentavano le due guerre mondiali, e poi c'erano il comunismo e l'olocausto, che non erano ancora giunti a maturazione, ma che tuttavia erano già stati con­cepiti nel seno della cultura e della mentalità europea.

Solovëv non si è accorto di questi fermenti del XX secolo sul finire del XIX, come non ha previsto lo sviluppo delle ideologie e dei regimi. Non ha potuto immaginare il tragico ruolo del marxismo nel destino della Russia e, nel "Blut­und Bodenromantik" tedesco non ha indovinato le cellule di cancro che già sta­vano per crescere. Solovëv, per dire la verità, non ha nemmeno sentito la fiori­tura del simbolismo russo, di cui proprio lui, come poeta mistico, è diventato il padrino a pieno diritto. Nel suo Racconto dell’Anticristo, che contiene una cer­ta previsione del futuro, la guerra si fa ancora con le armi della campagna del 1877-1878 per la liberazione dei popoli ortodossi dal dominio turco. Ma ades­so che il XX secolo è già alle nostre spalle e il dominio ideologico appartiene alla storia passata, quasi come quello turco sull'Europa, noi scopriamo di nuovo il Solovëv-profeta, il precursore o l'uomo del presentimento geniale, più spiritua­le che letterale, delle cose che noi non abbiamo ancora raggiunto, ma che im­pariamo ancora a pensare e a sperare.

E non per caso abbiamo cominciato a parlare della nuova nascita dell’Euro­pa alle soglie del XXI secolo, perché davvero questo filosofo-pellegrino, studio­so rispettabile, studente permanente, cercatore della Sofia e dell’"Ewig-Wiebliche", "pazzo in Cristo" nel senso più nobile della parola, è diventato uno dei padri spirituali della nuova unità europea, colui che "prepara la sua strada", forse, senza conoscerla e allo stesso tempo uno dei primi a denunciare il suo ani­mo secolarizzato e privo di slanci ideali. Solovëv è riuscito ad assorbire e trasfor­mare in sé quasi tutto il patrimonio dello spirito europeo, filosofico, sociale, mistico, ad esprimerlo in un grandioso tentativo di sintesi degli elementi più contraddittori e inconciliabili. Questo tentativo porta, a mio avviso, un grande ed autentico vigore profetico che noi dobbiamo leggere con gli occhi della no­stra esperienza, della memoria e della speranza comune.

Si vuole sottolineare che questa lettura, che nasce dalla comprensione e dall'incontro nella fede condivisa, è ancora davanti a noi e dipende dal nostro coinvolgimento nelle cose che "si sperano e non si vedono" (cf. Eb 11,1). È vero che durante la sua breve vita Solovëv voleva fare il profeta e sentiva dall'infanzia la sua vocazione come missione ecclesiale, ma ciò che lui considerava come pro­fezia, coincideva con la sua opera che è ancora legata o condizionata dal tempo che fa il suo. Dopo la sua morte, però, Solovëv è diventato il pensatore russo, forse più famoso in Occidente, ma non molto ricordato in Russia; in ogni caso, mi sembra che lui non abbia ancora manifestato tutto il suo spirito, quello che nasce lentamente quando noi ci apriamo al suo messaggio principale.

Nonostante le numerose pubblicazioni (nel 1999 è iniziata la 4a edizione della sua Opera omnia in russo in 20 volumi), Solovëv non è molto letto nell'ambito ecclesiale e ai nostri giorni (cioè nel primo decennio di libertà di parola dopo il comunismo) suscita un interesse più accademico che religioso. Il suo spirito, in tutti i suoi scritti di filosofo, di poeta lirico, di pubblicista, di teologo, di critico letterario, di pensatore politico ed etico, è profondamente e intrinsecamente re­ligioso nel senso cristiano ed ecclesiale, ma, forse, la sua religione, quella dello Spirito Santo che avrebbe dovuto unire in sé Oriente ed Occidente (come lui confessò una volta nella lettera privata a V. Rosanov), non è ancora nata all'in­terno delle Chiese storiche. Per questo motivo se avessi dovuto parlare su Solovëv nella Russia d'oggi, avrei potuto dire ben poco, al di là di un paio di conferenze filosofiche, sostenute materialmente dall'estero.

Quella Russia tradizionalista che cerca la sua identità nel sogno del passato, che vive nella resistenza spirituale, visibile ed invisibile, con l'Occidente-invasore, con poche eccezioni, non è una grande lettrice ed ammiratrice di Solovëv che ha una fama, pesante ed ambigua, di occidentalista militante. Per quanto riguarda l'Occi­dente, soprattutto cattolico, che manifesta la sua particolare stima, interesse, perfi­no venerazione nei confronti del filosofo russo, esso vede in lui anzitutto un grande "araldo" dell'unità cristiana, solo uno dei primi orientali che osava "respirare a due polmoni", quello russo e quello romano. (Va ricordato anche che non è per caso che il termine, o piuttosto l'immagine, dei "due polmoni" appartiene a un altro grande poeta e pensatore russo: Vjačeslav Ivanov). Ci risulta che la tendenza che domina oggi nell'Ortodossia russa rigetti o semplicemente dimentichi Solovëv per lo stesso motivo per cui il mondo cattolico lo apprezza e lo elogia. Questo fatto ci dice soltanto che lo “spirito” o il messaggio profetico di Solovëv non si è ancora liberato dalla polemica.

Questo spirito o diciamo, il centro più profondo, a volte nascosto, della sua missione, che è anche ecclesiale in senso proprio, è il servizio della riconciliazio­ne nel suo significato iniziale, filosofico, ed ecclesiale. In qualunque sezione della sua opera grandiosa, la sorgente manifestata o celata rimane sempre il messaggio" dell'unità e della ricerca di una visione sintetica nella sua versione globale, che porta il nome della "divino-umanità".

La "divino-umanità", cioè la famiglia umana nel suo cammino verso Dio e nella sua trasfigurazione in Dio, secondo tutti i ricercatori del pensiero di Solovëv, non è soltanto il suo concetto centrale, ma la sorgente stessa della sua ispi­razione. Se noi togliamo questa idea di fondo, tutte le sue splendide speculazioni, come afferma lo storico della filosofia russa V. Zenkovskij, sem­brano un “mosaico” di idee eterogenee. La "divino-umanità" è un progetto uto­pistico, un sistema teologico, un sogno, una visione profetica, una filosofia mistica, ma soprattutto la radice e il cammino del suo pensiero ecclesiale che cercava il Dio Vivente nell'edificio delle "pietre vive" (cf. 1Pt 2,5). Ma l'inizio personale di questo cammino, come ritiene lo storico della teologia russa G. Florovskij, forse, con un po' di esagerazione critica, era "la ricerca della giustizia sociale". Certo, non si può spiegare tutta l'opera di Solovëv, che mi ricorda una costruzione incompiuta di una maestosa chiesa gotica, solo partendo dalla ri­cerca della giustizia, ma tutto il suo pensiero porta l'impronta della preoccupa­zione sociale, quando "misericordia e verità s'incontreranno, giustizia e pace si baceranno" (Sal 84,11), nell'edificazione della Città di Dio. Solovëv, che era fi­glio del più grande storico della Russia, cresciuto negli anni '60 del secolo XIX, cioè nel periodo del dominio del nichilismo e del positivismo, ha ereditato tutto il bagaglio materialistico-utopistico-ateo dell'intelligencija russa. Ma egli l'ha messo al servizio della fede e della divino-umanità.

"Tutta l'originalità dell'opera cristiana di Solovëv si vuol cercare nel fatto, scrive Berdjaev, che lui si è formato alla fede dei padri e ne è diventato un di­fensore dopo esser passato attraverso l'esperienza umanistica della storia nuova, dopo l'autoconferma della libertà umana nella conoscenza e nella costruzione sociale".

il positivismo volgare contro la vita mistica, l'atei­smo scandalizzante contro la pietà rituale, la salvezza collettiva nella protesta contro l'ordine pubblico e la salvezza personale nella devozione di stampo mo­nastico; la benedizione della realtà sociale tale quale era e la rivolta contro di es­sa; il canto della distruzione che va fino ai terrorismo individuale e poi fino al terrorismo di Stato e, dall'altro lato, l'elogio come virtù principale di un buon cittadino, l'umiltà e l'ubbidienza alla volontà di Dio che agisce nella gerarchia della società. Le radici spirituali di questo conflitto degli anni 60-70 del secolo XIX sono rivelate nei romanzi di Turghenev e Dostoevskij, soprattutto nei Fratelli Karamazov.

L'intelligencija russa dalla sua origine si è presentata come ordine, con il suo proprio monachesimo a rovescio, con il suo ascetismo, la sua dottrina, i suoi ri­ti, i suoi santi martiri, la sua scrittura sacra (dal "precursore" Büchner al “mes­sia” Marx). L'adolescente Solovëv è entrato con grande entusiasmo in quest'ordine dei servitori dell'umanità e, come uno degli eroi di Turghenev, ha cercato nei riflessi delle rane la risposta a tutte le domande della sua anima in­dagatrice. Successivamente ha trovato lui stesso una formula per questa "fede" nei riflessi: "Siamo discesi dalla scimmia, dunque, amiamoci gli uni gli altri". Ma verso i 20 anni, forse anche un po' prima, si convertì all'Assoluto e dopo la Facoltà di Scienze naturali, si iscrisse alla Facoltà di Lettere e quindi all'Accademia teologica. Le "conversioni" di questo genere, le fughe da un ordine ad un altro, non erano poi così eccezionali, ma questi passaggi si accompagnavano sempre ad uno “scuotimento della polvere" (Mt 10,14), ovvero ad una rottura spettacolare ed irreversibile con il campo rigettato. Solovëv fu il primo a speri­mentare la strada della riconciliazione delle due esperienze, delle due verità fino allora inconciliabili, perché anche in un altro campo egli ha potuto scorgere il seme evangelico, ancorché rinsecchito e calpestato.

Quando, molti anni dopo, nel suo libro La Russie et l’Eglise universelle, scrit­to in francese, leggiamo che i giusti atei hanno fatto il lavoro dei credenti passivi ed ingiusti, che tutto il progresso sociale è opera della gente che cercava la verità senza Dio e spesso contro Dio, riconosciamo subito il vecchio pathos dell'intel­ligencija russa, ma inserito nella visione ecclesiale e messo nello spazio del mes­saggio evangelico. Questo pensiero, dopo Solovëv, è diventato quasi un luogo comune, come il tentativo moralistico di costruire un ponte fra i due tipi di umanesimo: quello bizantino ortodosso, che parte dalla visione dell'uomo sal­vato per la sua vita in Cristo, tramite i sacramenti della Chiesa e la disciplina ascetica, e quello secolare che ha le sue radici nella cultura europea del XVII­-XVIII secolo, ma che ha ricevuto sulla terra russa uno slancio particolarmente forte. È l'umanesimo incarnato nella lotta per la giustizia sociale all'epoca di So­lovëv; oggi se ne può riconoscere il suo discendente nel liberalismo occidentale, nella charta dei diritti umani, nel concetto dell'Europa unita. Ma egli fu anche il primo ad avvertire che l'umanesimo che perde le sue radici in Cristo presta subito il suo "volto umano" all'Anticristo che non tarda ad occupare il suo po­sto.

Sì, il conflitto e l'opposizione fra i due campi esiste anche ai nostri giorni e nelle forme non meno acute che ai tempi di Solovëv e i due campi rimangono sempre in guerra ideologica. Solovëv ha percorso la strada verso la riconciliazio­ne non con un compromesso fra idee diverse, ma nella sua personale scoperta di un "altro" Cristo, ancora poco conosciuto. Si può dire che nel Cristo della fede tradizionale, egli ha rivelato il Cristo della coscienza e del dolore di Colui che "assunse la condizione di servo” (cf Fil 2,7) e che si trova sempre davanti al nostro sguardo spirituale, come modello che vive dentro di noi (con questa immagine Solovëv finisce il suo libro I fondamenti spirituali della vita). Ma egli vede lo stesso Cristo anche come principio dinamico della storia (nelle sue Le­zioni sulla Divinoumanità) e noi possiamo indovinare alcuni tratti che saranno sviluppati da Teilhard de Chardin. La rivelazione del Cristo inizia dentro di noi, nella nostra esperienza e nella nostra coscienza e abbraccia tutta la famiglia umana nel suo cammino verso la divino-umanità. Ma nell'ambito dell'essere eterno e divino il Cristo rimane il centro eterno spirituale dell'organismo uni­versale.

Sulla strada del pensiero speculativo Solovëv cercava sempre di costruire questo organismo che più tardi riceverà il nome dell'uni-totalità. Si tratta prima di tutto della sintesi della scienza, della filosofia e della religione. "Tutte le idee, essendosi legate fra di loro, sono partecipi all'idea dell'amore incondizionale che secondo la sua propria natura contiene all'interno di sé tutto l'altro, è l'espres­sione concentrata del tutto come unità" (Lezioni sulla Divinoumanità). Il progetto di Solovëv, che può sembrare utopistico, è di vedere, in questa unità che abbraccia tutto, la dinamica intrinseca dell'amore oppure della rivelazione del Cristo, non soltanto nell'anima umana, ma anche nella storia e nella società. In questo progetto si può riconoscere l'universalismo, ma anche lo spirito sognan­te tipicamente russo che parte dall'idea dell'umanità come un essere unico, come un organismo collettivo, soggetto dello sviluppo storico.

Questo organismo deve avere una conoscenza integrale - Solovëv usa questo termine della filosofia degli slavofili, ma con scopi opposti a quelli di qualsiasi particolarismo nazionale. Egli vuole trovare una sintesi, come dice nella sua pri­ma opera filosofica I fondamenti filosofici della conoscenza integrale, fra "le con­templazioni dell'Oriente e il lavoro speculativo dell'Occidente". Per esempio, sulle tracce di Schelling, Solovëv fa distinzione fra l'essere e l'essente e prende l'essente come l'inizio di ogni essere concreto. L'essere è l'inizio della pluralità, l'essente è l'origine dell'unità di tutto ciò che esiste. L'essente in assoluto porta in sé la forza positiva dell'essere, lo possiede e va chiamato "superessente”. Rifiu­tare il superessente vuol dire negare l'esistenza delle cose e del mondo come tale. Ma questa costruzione si realizza, per il giovane Solovëv, nel tentativo delta te­ologia trinitaria quando egli riferisce l'idea del «superessente" all'ipostasi del Pa­dre che rivela l'essere tramite il Logos o il Figlio, ma tutto l'essere torna all'unità nel Padre nello Spirito Santo. Così nasce il sistema della conoscenza integrale, in cui la speculazione puramente filosofica non può essere staccata dall'intuizio­ne teologica, caso motto caratteristico proprio nel pensiero religioso russo. Le idee di Solovëv cambiano durante tutta la sua vita, ma questa confusione che io preferirei chiamare "riconciliazione" tra i due filoni del suo pensiero, quello ra­zionale e quello intuitivo-mistico, rimane la costante della sua creatività.

Da filosofo (che non ha fatto in tempo a costruire il suo sistema, ma, si può dire, lo portava sempre in sé) Solovëv cercava di trovare la sintesi fra i vari tipi di conoscenza (empirico, mistico, razionale), da uomo di vocazione universalista ha creato il primo grande ponte fra il pensiero russo nella sua ricerca della verità della ragione astratta, basata sulla verità del cuore, e tutta la ricchezza del pensiero occidentale del passato ed anche della sua epoca. Peccato che la filosofia dominante del suo tempo fosse il positivismo, un avversario che non era sempre a livello delle sue ispirazioni. Egli cercava di superare il secolarismo del pensiero positivista e metafisico nell'idea slavofila della conoscenza, che potreb­be abbracciare tutta l'esistenza umana per date la priorità alta "vivente ed auten­tica comunione con l'Assoluto”. Infatti la conoscenza integrale sboccia nella vita integrale che, secondo V. Zenkovsky, è una sorta di “trasformazione dell'idea del Regno di Dio".

Il programma filosofico di Solovëv, cioè sintesi del pensiero occidentale con il pensiero ortodosso, non è ancora realizzato. Solovëv è diventato il precursore e il maestro di una grande scuola di pensatori russi, in cui alcuni hanno apertamente adottato le sue idee. L'opera più grande di P. Serghij Bulgakov si chiama Della divinoumanità. Bulgakov, P. Florenskij, S. e E. Tiubeckoj, L. Karsavin hanno svi­luppato la sua idea di Sofia; Nicola Berdaev ha invece ereditato i temi della crea­zione della vita nuova e dello spirito creatore rivolto alla sinergia con Dio. Semion Frank, un altro grande pensatore russo, purtroppo poco conosciuto in Occidente, può essere chiamato il discepolo di Solovëv in gnoseologia perché ha dato sviluppo alla sua idea della certezza dell'Incomprensibile (da Solovëv "l'idea di Assolu­to") come premessa della nostra conoscenza. Solovëv stesso è diventato come la radice di un grande albero filosofico, i cui frutti non sono ancora stati raccolti per­ché tutte le sue idee sono rimaste come sospese dopo la rottura con la cultura in­tellettuale e spirituale nel 1917. "La filosofia di Solovëv, dice il filosofo contemporaneo S. Chorugij, ha distrutto una barriera che impediva l'espressione del pensiero russo nella sviluppata forma filosofica. Essa ha dato inizio a un grande movimento di pensiero da cui sorge una pleiade di filosofi che svilupparono le sue idee senza riconoscere di esserne discepoli".

Il suo progetto della sintesi dei due tipi di pensiero che, forse, non è più attuale alla lettera, in quanto elaborato nei termini della filosofia del XIX secolo, rimane più che mai attuale nello spirito. La grande sintesi fra le due tradizioni intellettuali rimane un compito che tocca ogni generazione di pensatori religiosi in Russia, perché il loro pensiero porta sempre in sé lo stesso disegno: la costruzione di un sistema, o piuttosto di un'immagine intuitivo-razionale, della conoscenza aperta alla realtà divina, della visione organica dell'universo e della storia sulla base della filosofia occidentale trasformata nell'esperienza spirituale ortodossa o, in altre pa­role, la fonte dei principi astratti nella "conoscenza vivente". Il pensiero russo da Solovëv in poi si rivolge al pensiero occidentale più metafisico (nel caso di Solovëv si tratta prima di tutto di Spinoza e di Schelling) e lo legge a modo suo.

La visione della divino-umanità non ha potuto non includere la ricerca ap­passionata dell'unità cristiana. A parte il caso molto particolare di Caadaev o del principe Gagarin o di Pecerin (questi ultimi nel secolo XIX hanno dovuto lasciare la Russia per diventare religiosi cattolici in Occidente) o alcuni salotti aristocratici di S. Pietroburgo, nessun tipo di ciò che si chiama oggi ecumeni­smo era all'ordine del giorno all'epoca di Solovëv. L'ortodossia e il cattolicesimo si trovavano nella situazione di "guerra fredda" che, a ben guardare, continua anche oggi, nonostante le relazioni reciproche e una sorta di armistizio diplo­matico, sempre molto fragile. Alle soglie del XX secolo non esisteva nemmeno questo. Per poter predicare la sua idea della divino-umanità Solovëv dovette fare una doppia rottura: prima uscire dell'isolazionismo intellettuale dell'intelligencija russa per entrare nell'ambito religioso; quindi uscire dell'isolazionismo spirituale della sua epoca per proclamare l'idea dell'unità cristiana.

Siamo abituati a pensare che, da teologo partigiano dell'unità Solovëv abbia proclamato un grande progetto di unione delle Chiese nella storia alla metà della sua vita e fuori della storia alla fine della vita. Ma questo è solo uno schema. Co­nosciamo la sua proposta di unire il Papa di Roma e l'imperatore russo, cioè il po­tere spirituale con quello temporale. Quando il Papa Leone XIII venne a sapere di questo progetto, esclamò: "Che bell'idea, ma sarebbe un miracolo se fosse rea­lizzata!". Ma "la lettera" di questa bell'idea è sicuramente fuori dal contesto stori­co, invece il suo “spirito” e più vivo che mai.

Rivolgiamoci per un attimo al suo Racconto dell’Anticristo, la sua opera più fa­mosa e conosciuta da tutti, per evidenziare un altro momento di cui Solovëv par­la, questa volta in modo allegorico. Egli racconta una bella storia sulla fine del mondo di cui sappiamo solo ciò che al detto nel Vangelo. Questa parabola serve non per rimandare l'incontro e l'unione delle Chiese, o delle tre grandi confessio­ni, fuori dal mondo e dalla storia umana, ma al contrario, per rendere questa unione più vicina e dentro la storia, per ricordarci che non occorre attendere l'An­ticristo in persona per trovarci in una sola Chiesa, ma dobbiamo assumere questa unione come un compito che non si può rimandare all'infinito, perché l'apoca­lisse nella spiritualità ortodossa è un avvenimento interiore. Il Racconto di Solovëv è rivolto prima di tutto agli Ortodossi, perché la figura dell'Anticristo rimane sempre attuale nella loro cultura e nella mentalità della Chiesa Orientale.

Questa figura ha in Russia una storia molto lunga. La paura dell'Anticristo, che è già venuto per distruggere la vera fede, fa una delle cause dello scisma del XVII secolo; qualche anno prima del Racconto, Constantin Leontiev, un altro brillante pensatore e intransigente oppositore di Solovëv, fece la profezia che sarà proprio la Russia che perde la fede a far nascere l'Anticristo. Il senso lette­rale del Racconto è forse opposto alla credenza dei "vecchi credenti" e di Leon­tiev, come a quella delle sette apocalittiche, ma lo spirito è lo stesso: quando la vera fede è "danneggiata", come dicevano i rascolniki, la minaccia dell'Anticri­sto diventa più attuale, poiché lui è già alle nostre porte. Ma per Solovëv la fede è danneggiata proprio dalla divisione, perciò l'unione delle Chiese non si fa per addizione di una Chiesa ad un'altra, ma per il riconoscimento reciproco fra tut­te le tradizioni apostoliche in un'unica Chiesa che, secondo lui, non è stata mai divisa nella sua essenza, nella sua origine in Cristo.

Il Racconto dell’Anticristo ha avuto una continuazione che non è ancora finita. Come è noto, nelle Tre conversazioni (il Racconto fa parte di questa opera) Solovëv ha apertamente polemizzato contro la dottrina di Tolstoj, contro il cosiddetto "tolstoismo", perché il suo Anticristo è "buono e geniale", è un gran benefattore, un amico dell'umanità. Dopo la rivoluzione, nella raccolta degli articoli dei filo­sofi russi sotto il titolo De profundis, Berdjaev, che in un certo senso è uscito dalla scuola solovioviana, nel suo saggio Gli spiriti della rivoluzione russa, ha dichiarato colpevole il moralismo tolstoiano per la follia della rivoluzione effettuata in nome del "bene dell'Anticristo". Qualche anno dopo, G. Fedotov, altro spirito brillante della cultura russa, nel suo articolo sull'Anticristo, scritto durante il periodo dell'emigrazione, contro Solovëv e contro Berdjaev, difendeva un'altra tesi: il bene dell'Anticristo è un bene-miraggio, un bene finto, un male che porta la ma­schera della beneficenza. L'esperienza della nostra epoca, soprattutto l'esperienza russa, potrebbe aggiungere che il bene dell'Anticristo è un bene puramente ideo­logico, il bene che esiste solo a parole e che fa sempre male nella realtà.

Il secolo XX, che può considerare Solovëv il suo vate, è diventato una grande fabbrica della falsificazione del bene e l'idea o l'immagine dell'Anticristo è così attuale come nel secolo XVII, all'epoca dello scisma dei vecchi credenti.

Anche ai nostri giorni nella cultura e pietà ortodossa c’è una reazione molto for­te e a volte un po' nevrotica contro l'Anticristo venuto dall'Occidente sotto la ma­schera del bene del liberalismo, permissivismo, capitalismo con i suoi numeri del codice fiscale che contiene la cifra apocalittica 666. Il Racconto di Solovëv continua, anzi include altri argomenti e riceve nuovi stimoli, ma il suo soggetto è il tema per­manente della storia russa, quella di ieri, quella di oggi, e molto probabilmente an­che quella di domani. Il problema formulato e a suo modo risolto da Solovëv è il seguente: il bene, o in altre parole tutta l'eredità dell'umanesimo secolare, staccato da Cristo, è condannato subito a diventare l'eredità dell'Anticristo; oppure il bene può essere autonomo, può servire l'uomo senza Cristo, può diventare "degno e giusto" anche nell'ambito secolare, privato della fede vera e salvifica?

Direi che questa domanda è tipicamente orientale, perché per l'Occidente di oggi il problema semplicemente non esiste. Chi, nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali, metterà in dubbio il valore in sé della democrazia, dei diritti uma­ni o della libertà di parola? La libertà come tale, cristiana o meno, è fuori discus­sione, mentre il dibattito ortodosso, che continua anche oggi, e soprattutto oggi, nell'epoca del liberalismo decaduto e peccaminoso, che è venuto per sostituire l'impero dell'Anticristo dell'utopia, fa sempre la stessa domanda quasi soloviovia­na: la libertà è il dono più avvelenato dello stesso nemico della nostra salvezza o il più difficile dono del Cristo? Questa era anche la domanda di Dostoevskij che è tornata ai nostri giorni con le profezie di Solovëv, con la polemica di Leontiev, di Berdjaev, di Fedotov fino ai pubblicisti dei nostri giorni.

La maggior parte dei lettori forse non si è accorta che il vero protagonista del Racconto non è l'Anticristo, che a me sembra una figura un po' schematica, ma proprio il Cristo, il Cristo vivo e confessato, presente nella fede dei tre grandi rappresentanti delle Chiese divise. Solovëv aveva un reale e profondo senso del Cristo durante tutta la sua attività ed egli è riuscito ad esprimere questo senso nella fede del Papa Pietro II, dello “starets" Giovanni e del professore protestan­te Pauli. Ma non è questo il punto più importante: il Racconto dell’Anticristo ci fornisce la testimonianza del suo personale incontro con Cristo, Messia e Sal­vatore, Colui che è, che era e che viene, secondo le parole dell'Apocalisse (1,4) e che era anche presente durante tutto il suo cammino. Il vero messaggio di Solovëv è il ritorno di Cristo e l'annuncio che l'umanità, per diventare divino-umanità, deve stare in guardia.

Da questo senso del Cristo apocalittico che è lo stesso Cristo storico, deriva anche “la conversione" di Solovëv a ciò che ai nostri giorni si chiama il dialogo con l'ebraismo. Si deve, a mio avviso, parlare proprio della conversione, come di un avvenimento spirituale nuovo, coraggioso e straordinario nella sua epoca. Non si tratta solo della difesa della popolazione ebrea della Russia dall'antise­mitismo, che cominciò a crescere proprio all'epoca di Alessandro III, perché la difesa dei perseguitati era come una sorta di obbligo morale per l'intelligencija russa. Ma Solovëv pone questo problema in altro modo. "Se i giudei, dice nel suo articolo Giudaismo e la questione cristiana, trattavano sempre i cristiani se­condo i principi della loro fede, i cristiani non hanno mai imparato a trattare i giudei nel modo cristiano. Perciò non esiste il problema ebreo, esiste solo il pro­blema cristiano" e la soluzione di questo problema è la conversione dei cristiani alla loro propria fede. Allora, secondo la profezia di Solovëv, gli ebrei entreran­no nella teocrazia cristiana quando i cristiani saranno uniti e così, secondo le parole di san Paolo, "tutto Israele sarà salvato" (Rm 11,26).

Si tratta non soltanto del dialogo sui “buoni rapporti", ma proprio dell'incontro religioso, dell'apertura dell'anima al confronto con tutto il patrimonio e il mistero dell'Antico Testamento. "Il trattato di Dio con Israele costituisce l'essenza della religione ebraica", dice Solovëv, un avvenimento unico nella storia religiosa dell'umanità. Il senso della storia d'Israele è la preparazione delle ani­me sante e dei corpi santi per l'incarnazione della Parola di Dio, ma questa sto­ria non può essere ridotta solo alla preparazione. Solovëv prevede la riconciliazione finale e cristiana tra il popolo d'Israele, fedele al Dio uno, e la Chiesa unita. Per questo motivo nella Russia di oggi Solovëv rimane il precur­sore del dialogo della riconciliazione che non è ancora iniziato. Il suo inizio ap­partiene, forse, al secolo futuro. Non si può dimenticare la tonalità profetica della sua morte prematura, con i Salmi recitati in ebraico negli ultimi momenti della sua vita.

ma il cen­tro della sua enorme attività intellettuale e del suo sforzo spirituale rimane sem­pre la visione, l'utopia, la costruzione o la profezia dell'unità e della riconciliazione delle cose e delle idee che sembrano più lontane. Il nucleo del suo messaggio è sempre l'incontro nel Cristo e col Cristo.

Da metafisico, Solovëv crea una grande sintesi fra la conoscenza integrale, la conoscenza che parte dal cuore che vive nella Parola di Dio, e tutta l'eredità del pensiero occidentale.

Da pensatore politico, Solovëv propone un progetto della società organica nel senso slavofilo e libero nel senso moderno ed attuale, ma fedele al Vangelo.

Da mistico, Solovëv costruisce il ponte fra la vita più intima della sua anima, ricercatrice della Sapienza di Dio, e la sua dottrina sofiologica, imbevuta dalla visione della bellezza del creato.

Da poeta, Solovëv si rivela a noi nel suo universo "notturno", che sembra così diverso dalla sua attività "diurna», rivolta alla Giustificazione del Bene nel pensiero speculativo e nella società, ma il "giorno" e la «notte" della sua anima riflettono lo stesso cielo, illuminato, come dice il suo verso, dal “Sole dell'amore”.

Da uomo del dialogo, Solovëv ha fatto il primo e grande passo intrinsecamente cristiano verso la riconciliazione con i giudei e anche con i musulmani.

Da portatore di pace, Solovëv prevede non soltanto la tanto sperata unità delle Chiese, ma anche la vittoria e il ritorno del Cristo, il mondo in cui "Dio sarà tutto in tutto".

Per tutte queste strade il pensatore russo si è mostrato il precursore che è ve­nuto per il suo paese prima del suo tempo, che fu e rimane ancora il tempo della divisione. Il secolo in cui si manifesterà la riconciliazione in Cristo, sarà anche il secolo del ritorno dei suoi profeti e dei suoi poeti e uno dei primi sarà il "pel­legrino" Vladimir Solovëv.



Letto 2265 volte Ultima modifica il Venerdì, 22 Giugno 2007 01:15
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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