Sukkoth
La festa di Sukkoth inizia il 15 del mese di Tishrì.
Nella lingua ebraica, Sukkoth significa "capanne" e sono appunto le capanne a caratterizzare questa festa che ricorda la permanenza degli ebrei nel deserto dopo la liberazione dalla schiavitù dall’Egitto. Per quaranta anni gli ebrei hanno abitato in tende, in dimore precarie, accompagnati secondo il racconto biblico, dalla nube della presenza di Dio.
Nella Torà (Levitico, 23, 41-43) troviamo scritto: "E celebrerete questa ricorrenza come festa in onore del Signore per sette giorni all’anno; legge per tutti i tempi, per tutte le vostre generazioni: la festeggerete nel settimo mese. Nelle capanne risiederete per sette giorni; ogni cittadino in Israele risieda nelle capanne, affinché sappiano le vostre generazioni che in capanne ho fatto stare i figli di Israele quando li ho tratti dalla terra d’Egitto".
La festa delle capanne è una delle tre feste di pellegrinaggio prescritte nella Torà, feste durante le quali gli ebrei si dovevano recare al Santuario a Gerusalemme (fino a quando esso non fu distrutto dalle armate di Tito durante la Guerra giudaica). La festa viene anche chiamata "Festa del raccolto" e "Festa della nostra gioia". Infatti cade proprio in coincidenza con la fine del raccolto, periodo che nel mondo contadino veniva accompagnato da grandi manifestazioni di gioia.
Questa festa è detta anche "festa dei tabernacoli" e il precetto che la caratterizza è quello di abitare in capanne durante tutti i giorni della festa. Se per il clima o per altri motivi non è possibile soggiornare nelle capanne, c’è comunque l’obbligo di consumarvi i pasti principali.
La capanna deve essere costruita secondo particolari dimensioni e deve avere come tetto del fogliame disposto in modo tale che permetta ci sia più ombra che luce, ma attraverso il quale si possano comunque vedere le stelle. E’ abitudine adornare la sukkà, la capanna, con frutta, fiori, disegni, ecc.
La sukkà non è valida se non è sotto il cielo. Il significato di ciò viene è che l’uomo deve avere la mente e lo spirito rivolti verso l’alto.
Un altro precetto fondamentale della festa è il lulàv. Si tratta di un fascio di vegetali composto da un ramo di palma, due di salice, tre di mirto e da un cedro che va agitato durante le preghiere. Il significato simbolico del lulàv: la palma è senza profumo, ma il suo frutto è saporito; il salice non ha né sapore né profumo; il mirto ha profumo, ma non sapore ed infine il cedro ha sapore e profumo. Con ciò vengono simbolicamente rappresentati tutti i tipi di uomo: tutti insieme sotto la sukkà. Ma esiste anche un’altra interpretazione simbolica: la palma significherebbe la colonna vertebrale dell’uomo, il salice la bocca, il mirto l’occhio ed il cedro il cuore. L’uomo rende grazie a Dio con tutte le parti del suo essere.
L’uomo – che ha appena raccolto i frutti della terra – abbandona, anche se per pochi giorni, la sua dimora abituale per soggiornare in una capanna. Con questo vuole dare un segno della sua disponibilità a mettersi al servizio di Dio, confidando nella provvidenza divina, proprio nel momento in cui potrebbe essere invece tentato a badare a se stesso e a non dipendere dalla bontà divina.
La capanna rappresenta un simbolo di protezione, ma anche di pace fra gli uomini. "E poni su di noi una sukkà di pace" riecheggiano i testi di numerose preghiere.
Esistono dettagliate regole che stabiliscono l’altezza massima e minima che deve avere una sukkà; per quanto concerne la larghezza viene stabilita solo la dimensione minima: la tradizione vuole che nei tempi messianici verrà costruita un’unica, grande sukkà nella quale potrà soggiornare l’umanità intera.