Ecumene

Martedì, 24 Ottobre 2006 02:44

Fasi della cultura europea d'oltralpe. L'attualità di Ugo Grozio (1583- 1645) (Renzo Bertalot)

Vota questo articolo
(0 Voti)

Fasi della cultura europea d'oltralpe

L'attualità di Ugo Grozio (1583- 1645) *

di Renzo Bertalot

Premessa

Nel 1991 si riuniva a Canberra la settima assemblea del Consiglio Ecumenico delle Chiese. Il tema dell'incontro riguardava i Segni dello Spirito. Venne alla ribalta una delle affermazioni molto forti: senza lo Spirito la nostra libertà è anarchia. È un'affermazione che fa riflettere e che richiama alcuni punti fondamentali della Riforma del XVI secolo. Va ricordato il Servo Arbitrio di Lutero contro Erasmo, il suo Piccolo Catechismo e anche i primi passi del suo commento al Magnificat in cui è detto che senza lo Spirito si fanno solo "chiacchiere"; il dono della grazia è una creazione dal nulla (ex nihilo). Così ancora va ricordato Calvino, il suo insegna­mento sulla predestinazione e sulla testimonianza interiore dello Spirito Santo. Tuttavia nella seconda metà del XVI secolo le posizioni, che sembravano irrinunciabili, subirono delle sfumature e delle attenuazioni; si risente l'eco del semi­pelagianesimo, di Erasmo e anche di Tommaso d'Aquino. (1) I Riformatori veneti opposero resistenza; tra questi Mattia Flacio Illirico, tacciato di semi-manicheismo. (2)

Il Sinodo di Dordrecht (13 Novembre 1618-9 Maggio 1619)

Con l'arrivo del secolo XVII si infittirono i contrasti tra le varie posizioni che stavano guadagnando terreno. Due correnti si consolidarono, fin dal 1603, attorno ad Arminio e a Gamarus. Arminio morì nel 1609, ma il suo pensiero fu raccolto in cinque articoli messi in circolazione nel 1610 dai suoi seguaci: i Rimostranti. Sostanzialmente si afferma che Cristo è morto per tutti e non solo per gli eletti, la pre­destinazione diventa prescienza in quanto Dio conosce in anticipo quelli che accoglieranno la salvezza: per credere l'uomo ha bisogno dello Spirito Santo, ma la grazia non è irresistibile.

Il Sinodo di Dordrecht si riunì per far luce sulle discus­sioni in corso e per giungere ad un chiarimento. Sotto l'oc­chio vigile di Maurizio d'Orange e dei principi tedeschi si costituì una assemblea che vedeva insieme i rappresentanti di quasi tutte le chiese emerse dalla Riforma. (3) L’attenzione ruotò intorno al Decreto Assoluto secondo il quale Cristo è morto solo per gli eletti: Dio dà la fede agli uni e agli altri (i reprobi) no. La decisione divina è stata presa da sempre cioè prima della caduta secondo la tesi dei gomaristi supralapsa­ri mentre per i rimostranti infralapsari la decisione di Dio è stata presa dopo la caduta prevedendo come avrebbero rea­gito gli uomini alla sua offerta di grazia. Per i primi la gra­zia è irresistibile, per gli altri è invece resistibile. (4)

I rimostranti ebbero la peggio. Le loro idee dovettero emigrare e trovarsi altri spazi di sopravvivenza. Il deismo inglese e la filosofia della religione sul continente affon­dano le loro radici e la loro fortuna nei richiami degli sconfitti del sinodo di Dordrecht.

Nel frattempo si affacciano altre prospettive che sti­molano riflessioni e ripensamenti intorno alle affermazio­ni dei vincitori. Si pone il problema della certezza della propria salvezza. Se Dio benedice i prescelti quali sono i segni che confermano la loro elezione? Per Calvino la sicurezza non la si può ottenere considerando le opere: sarebbe un'autogiustificazione. Barth rileva un forte avvi­cinamento dei riformati al Concilio di Trento per cui i frutti della fede danno la certezza dell'elezione (dimenti­cando così l'albero, cioè il Cristo). In tal senso anche le decisioni di Dordrecht sono "poco accettabili" e “poco convincenti". Cristo passa in secondo piano mentre in primo piano rimane la testimonianza personale dell'uomo eletto, testimone di se stesso. Si confondono le opere della fede con la fede delle opere. L'insistenza sul decreto asso­luto si rivela un "cattivo punto dì partenza". Alla fine l'in­teresse per i teologumeni diventa contraddittorio e cade. (5)

Ugo Grozio (1583 -1645)

Ugo Grozio era un famoso giurista olandese, fortemen­te impegnato nella Riforma. Al sinodo di Dordrecht sostenne la corrente arminiana in contrapposizione al radi­calismo calvinista di Gomar. Si trovò dalla parte perdente e venne condannato al carcere perpetuo, (6) ma la moglie riuscì a farlo evadere. Accolto a Parigi da Luigi XIII ebbe l'incarico di ambasciatore svedese presso la corte di Francia. Era un credente e un teologo, ma il libro che lo rivelò all'attenzione mondiale fu il De jure pacis ac helli del 1625. È considerato il fondatore del diritto internazionale e padre del diritto naturale in opposizione alla scolastica aristotelica e in assonanza con le tesi della Riforma. Con lui si affermano il " laicismo giuridico", la secolarizzazione come “giusnaturalismo laico" e la "scuola di diritto naturale laico". Con Grozio, secondo Nicola Abbagnano, abbiamo la più matura e perfetta formulazione del diritto naturale: un'autentica nascita della filosofia del diritto.

Grozio aveva un forte senso della responsabilità indi­viduale, derivante dalla fede, ma passando dalla teologia al laicismo riteneva necessaria una variazione del vocabo­lario. I termini "fede", "salvezza", "peccato" non vanno certamente dimenticati, ma non hanno spazio nell'area dei valori penultimi che impegnano credenti e non cre­denti indistintamente. Bisogna imparare a ragionare Etsi Deus non daretur, cioè come se Dio non ci fosse (per Grozio è quasi un orrore dirlo). Occorre pertanto tra­sporre i modelli teologici in modelli laici e attuare una secolarizzazione del sacro. Si tratta di fare un passo al di là di ogni confessionalismo e delle formule coraggiose già discusse al tempo della Riforma: "religione civile" o "reli­gione pubblica" o “uso civile della legge”.

Presso tutte le genti (apud omnes gentes) l'incontro con l'altro, il diritto naturale, trova il suo fondamento nella società e nella ragione. V'è per tutti un appetitus societatis che cerca di stabilire un consenso in vista della vita asso­ciata e che di conseguenza impegna a stare ai patti.

L’organizzazione della vita sociale è l'opera dell'uomo basata sulla sola ragione. Il diritto naturale è indipendente dalla teologia, dalla politica e dalla morale. Ciò che è giusto in sé non va confuso con ciò che è giusto davanti a Dio. (7)

Con Grozio ci troviamo ad un nuovo inizio della rifles­sione sul diritto naturale. Tra la vecchia scolastica e la nuova via intrapresa v'è una rottura che semmai richiama l'Umanesimo, il Rinascimento, con il suo ritorno a Platone, e la Riforma.

Rinvii

Con Grozio ci troviamo ad una svolta decisiva della filosofia del diritto contemporaneo. Sulla sua scia si muo­veranno i nomi più prestigiosi del protestantesimo imme­diatamente successivo. La nozione di natura e quella del bene tendono a ricadere nel vago o nell'assolutismo dell'eteronomia. Il libro della natura ognuno lo legge come vuole e la nozione del bene non trova d'accordo il pesce grande e il pesce piccolo.

Ogni cultura dà una forma alla sostanza della religio­sità fatta di significati per i quali si può essere pronti a dare la propria vita. Alla fine del processo ci troviamo ad un punto irrazionale (per E. Fromm una devozione) che invano si cerca di ridurre alla razionalità. La cultura ha un aspetto dinamico e fluttua del continuo. È l'ambito del diritto naturale che si evolve tra ciò che è giusto per l'oggi e ciò che non lo è più. Il legislatore vi attinge per tradurlo in lettere di alfabeto (il diritto positivo, da positum). Possiamo quindi dire che il diritto naturale è la culla del diritto positivo, ma ne è anche la bara perché appena formulato è già vecchio: non riesce a stare al passo con la dinamicità dell'evoluzione storica. È decisi­vo poter gestire la diversità che deriva dall'incontro con l'altro. Il diritto naturale è un concetto limite, un'esi­genza di giustizia, un segno della libertà interiore che sempre precede quella esteriore. Si fa presente nelle soluzioni negoziate e nel dialogo. In sua assenza il dirit­to positivo è completamente nelle mani del legislatore e può facilmente cedere alle tentazioni dittatoriali o inte­griste.

Il discorso riguarda anche le chiese. Per questo Kant, il filosofo del protestantesimo e assertore della sola gratia, ha ritenuto che la chiesa visibile è "repellente" perché impone i suoi dogmi. (8) E. Troeltsch ricorda Grozio: ha avuto il merito di liberarci dall'invadenza delle chiese. (9)

Va inoltre ricordato in modo particolare Dietrich Bonhoeffer e la sua interpretazione non religiosa del cri­stianesimo. La religione è “carne" mentre la fede è "Spirito"; la religione non è altro che una «forma espres­siva dell'uomo». Il linguaggio religioso va abbandonato perché i tempi sono cambiati ed occorre una terminolo­gia diversa, una traduzione adeguata ad un cristianesi­mo adulto per parlare del Regnum Christi; del Cristo l’uo­mo per gli altri. Occorre una forte dialettica tra identità e identificazione, una lettura cristologica della realtà per evitare che la necessaria identificazione diventi idolatria o utopia. «Viviamo nelle penultime cose, e crediamo nelle ultime", secondo la ben nota formula di Ugo Grozio: Deut non daretur. (10)

Non si può trascurare l'apporto significativo di K. Barth, uno degli esponenti più significativi della teologia protestante del XX secolo. (11) Nel suo scritto Communauté chrétienne et communauté civile troviamo molte assonan­ze significative con il pensiero di Grozio.

Lo Stato non sa nulla del Regno di Dio e perciò va affrontato senza appellarsi a Dio o alle Sacre Scritture. I cittadini sono tali indipendentemente dalla loro fede in Dio o nella rivelazione. La comunità civile non ha altro punto di riferimento che il diritto naturale e le sue utopie, rimane nel vago, orientata verso il giuspositivismo. Lo Stato non sa quale sia il vero criterio della giustizia; può agire e discutere solo entro i limiti dell'intelligenza. A questa discussione partecipa anche la chiesa facendosi corresponsabile e rallegrandosi degli eventuali paralleli­smi con il diritto naturale (parabola del Regno di Dio sco­nosciuto).

Il cammino ecumenico

Il primo millennio ci lascia in eredità alcune difficoltà con l'oriente cristiano che ancora stentano ad essere supe­rate. Pensiamo alla discussione sul Filioque e alla data della Pasqua. Certo il 1054 ha rappresentato un momen­to, difficile per l'occidente escluso dalla vera chiesa (orto­dossa), che negli ultimi tempi, con Paolo VI, tende al superamento dello scisma tra Roma e Costantinopoli. La presenza degli ortodossi nel movimento ecumenico del XX secolo ha contribuito a riportare all'attenzione delle chiese la nozione di conciliarità, la necessità di un ecume­nismo temporale (rileggere la storia cristiana insieme) in sostituzione di un ecumenismo spaziale basato sul con­fronto odierno delle varie posizioni confessionali. Ultimamente si è però registrato un malessere crescente per quanto riguarda il funzionamento del Consiglio Ecumenico delle Chiese. Le questioni pratiche oscurava­no eccessivamente l'obbiettivo comune della ricerca dell'unità visibile della chiesa per cui lo stesso modo di sten­dere le dichiarazioni finali delle assemblee metteva a disa­gio la componente orientale. La presenza di un così gran numero di chiese membro riduceva a forte minoranza la componente ortodossa. Si rendeva quindi necessaria una ristrutturazione del funzionamento tradizionale del Consiglio Ecumenico delle Chiese.

Le commissioni stabilite in vista di questo scopo hanno cominciato a preparare i documenti necessari ad una soluzione soddisfacente che sarà presa in considera­zione dal Comitato Centrale. Saranno esaminate le que­stioni ecclesiologiche, la preghiera comune, il modo di prendere le decisioni e le qualità necessarie per essere accolti come membri del CEC. Intanto si può organizzare un forum su un qualsiasi argomento particolare in via di consultazione.

Interessante al nostro scopo è mettere in rilievo la pro­posta di un metodo di consenso per vagliare l'opinione prevalente tra i partecipanti senza dovere ricorrere ad una votazione. Il metodo si dispiega in cinque possibilità: 1 - l'unanimità, 2 - La discussione riflette esaurientemente l'opinione generale dei presenti il che è riconosciuto dalla minoranza, 3 - le divergenze vengono segnalate nella pro­posta finale, 4 - i partecipanti rinviano la discussione, 5- i partecipanti sono d'accordo nel non prendere alcuna decisione.

A cavallo del terzo millennio ci si rende conto che la tradizionale votazione democratica non rende giustizia alle attese comuni (Hitler era stato votato al 75% !).

Siamo così giunti all'attualità del pensiero di Ugo Grozio: un forte appello alla pace e alla tolleranza all'epoca dell'inquisizione e delle guerre di religione Occorre trovare il consenso (internazionale) più ampio possibile e lasciarlo attentamente allargarsi e correggersi in quanto tutti (apud omnes gentes) sanno cos’è ingiusto e ripu­gnante. Nel contesto della filosofia del diritto, dei valori penultimi, del cristianesimo adulto di Bonhoeffer, del diritto naturale (parabola del Regno di Dio) di Barth, possiamo usufruire dei suggerimenti anche per il cammi­no ecumenico e la comunione reale già vigente nonostan­te le imperfezioni reciproche. Intanto il discorso sui valo­ri di mezzo tra l'invariabilità dell'Evangelo e il continuo fluttuare della situazione storica (middle axioms), dall'in­contro di Seul (1990) si allarga a tutte le religioni e tocca la pace, la giustizia, la salvaguardia del creato, la dignità umana, la libertà religiosa, la reciprocità. Lo stesso pon­tefice Giovanni Paolo II nel rivolgersi al mondo islamico si richiama a temi di comune interesse.

Ugo Grozio ci lascia il suo messaggio e aggiunge una prospettiva alla quale dovremmo prestare la massima attenzione: al consenso segue lo stare ai patti. Forse que­sto è il punto più difficile. È una sfida che ci precede nella nostra marcia e che ci giunge da tempi lontani, molto tri­sti e spesso molto duri. È il cielo sereno dopo la tempesta.

Note

* Cf. R. Bertalot, La prospettiva protestante, in Rivista di teologia morale, n.134, (2002), pp. 185-190.

(1) K. Barth, Dogmatique, vol. VIII, Labor et Fides, Ginevra, 1958, pp.149, 334 ss.

(2) P. Tillich, Teologia sistematica, vol .II, Claudiana, Torino, 2001, p. 49.

(3) Barth, Dogmatique, vol. VIII, p. 69

(4) J. L. Neve, A History of Chistian Thought, vol. 2, The Muhlenburg Press, Filadelfia, 1946, pp. 16-26.

(5) Barth, Dogmatique, vol. VIII, pp. 61, 117, 332-339.

(6) G. Spini, Storia dell’età moderna, Torino, 1965, vol.3, p. 520.

(7) R. Bertalot, Dalla Teocrazia al laicismo. Propedeutica alla filosofia del diritto, Università di Sassari, Sassari, 1993, pp. 83-89.

(8) R. Bertalot, Per una chiesa aperta. L'eco di Kant nel mondo moderno, Ed. Fedeltà, Firenze, 1999, p. 16.

(9) Neve, A History, p. 26.

(10) R. Bertalot, Fasi della cultura europea d’oltralpe, ISE, Venezia, 2002, p. 48.

(11) R. Bertalot, Dalla Teocrazia al laicismo, p. 89.

* (in R. Bertalot, Fasi della cultura europea d’oltralpe, ISE, Venezia, 2002, pp. 37-45)

Letto 2369 volte Ultima modifica il Sabato, 27 Gennaio 2007 20:06
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search