Il dramma della religione
di Vladimir Zelinskij
Il Padre Alexander Schmemann, (1921-1983) (1) che con i suoi libri scritti in russo ed in inglese ha fatto crescere un’intera generazione di teologi in Russia (fra cui anche il Patriarca Alessio II, secondo le sue stesse parole), dopo la sua morte ha lasciato un “Diario”, pubblicato per la prima volta l’anno scorso. Questo libro è diventato una vera e propria scoperta non solo per le sue qualità spirituali e letterarie, ma prima di tutto per il suo “messaggio”, per il pensiero che ha tormentato l’autore durante tutta la vita: l’ambiguità della religione. Grande conoscitore della storia e della tradizione della sua Chiesa, innamorato dell’Ortodossia fin dalla prima infanzia, convintissimo della sua verità, egli usa nel suo “Diario” due “O”: una è maiuscola - quando si tratta della bellezza delle celebrazioni, della fedeltà alle radici apostoliche - e l’altra “o” è minuscola - quando parla dell’ambiente umano, della realtà parrocchiale, degli alterchi giurisdizionali, ecc. P. Schmemann ha vissuto la sua vita con questo contrasto nel cuore che egli rivelava, piuttosto con cautela, nei suoi scritti pubblicati. Una sorta di tensione fra fede e religione, percepita da ortodosso nella vita quotidiana della Chiesa come sacramento del Regno di Dio sulla terra, ma anche come confessione che vuole essere umanamente più pura, migliore delle altre.
Dall’inizio di quest’anno quasi tutta la Russia credente e pensante è diventata lettrice appassionata di questo libro. Perché? Perché tanti ortodossi, spesso senza accorgersene, vivono lo stesso conflitto interiore, per cui ciò che è di Dio e ciò che è dalla carne e dal sangue, nascostamente si contestano reciprocamente. Perché nella nostra esistenza religiosa l’eredità degli Apostoli e dei Padri può essere mescolata con l’orgoglio confessionale, la grazia della vita secondo lo Spirito con la pesantezza storica ed etnica (che chiede anche i suoi “diritti mistici”), il senso della verità col gusto del potere - almeno sulle anime. E perché in un modo o nell’altro tutti sentono o percepiscono: “la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio” (1 Cor 15,50).
(1) Teologo e liturgista ortodosso, primo decano al St. Vladimir Seminary di New-York.