Due ecclesiologie a confronto
di Mauro Pizzighini
Oggi tutti i teologi ortodossi, insieme a quelli cattolici, affermano che la chiesa è il corpo di Cristo, intendendo con quest’ espressione «la realizzazione del disegno di Dio di “ricapitolare in Cristo tutte le cose”». Ad esempio, il teologo ortodosso Florovskij afferma che «la teologia della chiesa non è altro che un capitolo, e un capitolo di importanza capitale, della cristologia. E senza questo capitolo la stessa cristologia non sarebbe completa».
Questa è una delle affermazioni principali contenute nel volume che il teologo cappuccino, attuale arcivescovo di Corfù-Zante-Cefalonia e vicario apostolico di Tessalonica, Y. Spiteris ha pubblicato recentemente, mettendo a confronto sia alcune concezioni teologiche di fondo sia alcuni temi specifici, come il primato petrino e l'ecclesiologia ortodossa con quella cattolica. Nel 1992 lo stesso autore aveva scritto La teologia ortodossa neo-greca (EDB, Bologna) insistendo sul contesto storico che aveva condizionato da secoli la vitalità dell’ortodossia greca.
A detta di Spiteris, «il legame con il monachesimo del monte Athos e la peculiare vicinanza strutturale con il patriarca di Costantinopoli hanno qualificato da secoli la chiesa ortodossa greca quanto al ruolo di rappresentanza legittima e privilegiata dell’ortodossia».
Nel volume, l’arcivescovo di Corfù ci fa conoscere le linee sulle quali si muove oggi la riflessione dei teologi greci, quanto all’ecclesiologia. Il tema risulta assai “nuovo” per i teologi ortodossi, da sempre abituati a trattare di Dio, della vita trinitaria, dell’ azione dello Spirito Santo, della divinizzazione e trasfigurazione del cosmo e dell’uomo: Spiteris “scopre” e “disvela” la teologia “sulla chiesa" nella riflessione dei teologi greci di oggi, in un contesto di narrazione storica. Di fatto sono pochi i teologi greci che offrono contributi al rinnovamento dell’ecclesiologia: vengono citati in particolare Nissiotis, Matsoukas e soprattutto Zizioulas, qualificato come un “teologo ortodosso dialogante".
I criteri di ecclesialità
In questo saggio teologico, la novità di particolare interesse è la seconda parte, quella relativa all’esame dei criteri di ecclesialità, così come vengono enunciati e argomentati nelle due tradizioni. Una breve introduzione richiama i tre principi che sottostanno al tema sulla chiesa, sia nella prospettiva russo-slava (Spiteris guarda a questa teologia – afferma il teologo Sartori nell’introduzione al volume – «solo come a uno specchio che aiuta a misurare la "novità” concessa alla grande tradizione ortodossa del pensiero greco»), sia in quella greca: la dimensione trinitaria, quella cristologica e quella pneumatologica.
La seconda parte è la più decisiva s e indica le due principali linee di tendenza specifiche dell’ecclesiologia greca moderna: quella che si radica maggiormente nella Tradizione e contempla la forma "protologica” di chiesa (la “chiesa preesistente") secondo tappe di esistenza "storica" (dalla chiesa degli angeli, a quella dell’ Eden, a quella del Verbo incarnato); la seconda, la più nuova e promettente, che fissa invece l'icona della chiesa nella dimensione “escatologica", proponendo una chiesa che deve ‘svolgersi" nella storia e perciò deve affrontare i problemi della sua organizzazione, in particolare la sua “struttura sinodale" e i suoi ministeri.
Spiteris sottolinea che oggi si dà per scontato che tutte le chiese siano convinte dell’esistenza di una certa "unità fondamentale", derivante dal possedere almeno lo stesso battesimo, che introduce il cristiano nel corpo ecclesiale. Sembrerebbe acquisito nella chiesa occidentale che tale unità esista specialmente con le “chiese sorelle” dell'oriente, mentre invece uno dei motivi della crisi dell’ecumenismo, secondo Spiteris, sta proprio nel fatto che ancora non sia chiarito questo punto fondamentale. Il primo e indispensabile presupposto affinché si possa parlare di dialogo tra la chiesa cattolica e quella ortodossa sta proprio nel grado di ecclesialità che una confessione riconosce all’altra. Si tratta a questo proposito di rispondere ad alcune domande: che cosa rappresenta per la chiesa cattolica la chiesa ortodossa, e viceversa? I fedeli dell'altra chiesa sono in realtà e a pieno titolo cristiani? I sacramenti amministrati nell' altra chiesa sono validi? Quali sono i criteri di appartenenza alla chiesa nelle due tradizioni?
In Oriente l'appartenenza alla vera chiesa ha sempre avuto un aspetto giuridico e un aspetto teologico. In genere il primo scaturiva dal secondo, sebbene nella prassi i due aspetti non siano andati sempre d'accordo. Si deve notare che la maggior parte dei teologi ortodossi attuali di lingua greca sostiene che solo i sacramenti della chiesa ortodossa siano validi. Essi – scrive Spiteris – fanno coincidere in modo “rigidamente” esclusivo i confini della chiesa ‘una” e “santa” con quelli della chiesa visibile e canonica ortodossa. Il criterio di ecclesialità, per i teologi greci, rimane sempre quello della “piena conformità alla fede”: il canone della fede sono i primi sette concili ecumenici, mentre qualsiasi aggiunta o diminuzione a quanto da essi definito è considerata “eresia”, e quindi la chiesa che professa tale “eresia" non possiede sacramenti validi. Tuttavia, sebbene i sacramenti degli eretici e degli scismatici siano di per sé invalidi, secondo le situazioni, le singole chiese possono, "per economia (= disegno di salvezza)”, non ripetere il battesimo in caso di conversione.
Di fronte a questo fatto si constata una diversità di comportamenti nelle varie chiese e anche nella stessa chiesa ortodossa, tant’ è vero che l’applicazione e l'interpretazione dell’ economia hanno spesso occupato teologi, canonisti e storici greci. Si sa che le chiese ortodosse non possiedono un organo di magistero ordinario che le rappresenti tutte e, di conseguenza, esse si rifanno ai primi sette concili ecumenici, alla tradizione, ai padri, ai sinodi locali e ai cosiddetti “libri simbolici”, quelli cioè che contengono le varie dichiarazioni di fede di diverse provenienze.
Cosa dice il Vaticano II?
In Occidente, il criterio di ecclesialità che scaturisce dal Vaticano II si può così descrivere in sintesi: la chiesa di Cristo è una e unica, ad essa sono pienamente incorporati i fedeli cattolici perché possiedono tutti quegli elementi che costituiscono la chiesa come è stata voluta da Cristo. I non cattolici sono più o meno in comunione con la chiesa una e unica a seconda degli elementi ecclesiali da essi posseduti. Questi elementi danno oggettività storica alla chiesa una e santa, sono la ricchezza concreta della chiesa. Indispensabili e centrali sono la fede in Gesù Cristo e il battesimo. Quando poi esiste la successione apostolica e l’eucaristia – com'è il caso degli ortodossi – allora l'ecclesialità, a livello locale, diventa più visibile e vera. L'eucaristia, infatti, costituisce la chiesa come sacramento. Tuttavia queste chiese sono tali non indipendentemente, ma solo in quanto sono in "comunione”, anche se parziale, con l'una sancta nella quale sussiste la chiesa cattolica.
Dov’è la chiesa di Cristo?
Quindi i criteri di ecclesialità suscitano ancora interrogativi, in quanto ogni chiesa, specialmente la chiesa cattolica e quella ortodossa, è convinta di incarnare nella sua totalità l’una e unica chiesa. Il problema ecumenico non risolto è dunque sempre il medesimo, dice Spiteris: come è possibile che esista contemporaneamente la chiesa universale “una” e “unica” nella chiesa cattolica romana e nelle altre comunità «non in pie-na comunione con essa»? Secondo il card. Ratzinger, la differenza tra est e subsistit sta nel fatto che est riguarda solo la coscienza della chiesa cattolica romana di essere la "vera” chiesa di Cristo, mentre il subsistit ha valore ecumenico aprendosi anche verso le altre confessioni cristiane nelle quali riconosce l’esistenza di elementi di ecclesialità appartenenti alla vera chiesa di Cristo.
Dunque il problema oggi è il rapporto tra la chiesa universale e le chiese particolari, soprattutto quelle non cattoliche. Qui non si tratta della salvezza escatologica (“Dio nella sua liberalità e nella sua misericordia può trovare i mezzi per salvare tutti gli uomini”), ma si tratta della salvezza intesa come ‘comunione con Dio’ espressa esistenzialmente col fare parte di una comunità com'è stata voluta da Gesù Cristo. Le varie confessioni cristiane non sono sempre d’accordo nel determinare cosa fa sì che «si aggiungano alla comunità quelli che sono salvati», dal momento che intanto ciascuno crede che la sua comunità sia quella che salva.
Sarebbe auspicabile – afferma Spiteris – che, in questa non reciprocità tra chiesa cattolica e chiesa ortodossa, gli ortodossi potessero almeno ripetere le parole del loro teologo P. Evdokimov (1901-1970): «I non ortodossi, per la loro stessa denominazione, non sono più nella chiesa ortodossa, ma è la chiesa, al di sopra del loro distacco, che continua a essere presente e ad agire in presenza della fede e della retta intenzione della salvezza. Noi sappiamo dov’è la chiesa, ma non è dato di portare il giudizio e di dire dove la chiesa non è».
L'interesse della quarta parte del volume sta nella ripresa storica degli “scontri” decisivi dei secoli che hanno sancito la divisione tra le due chiese, scontri anche teologici ma sempre più di tipo "politico”, perché toccano il ruolo del papato. L’autore del volume in questa parte non chiama più in causa teologi attuali, ma ritorna indietro nel tempo ai momenti in cui si sono formati e sono cresciuti i contrasti che oggi pregiudicano, in negativo, l’eventuale dibattito sul papato. Emerge una precomprensione della chiesa ortodossa contro il papato molto rigida: verrebbe da pensare che sia più facile dialogare con i protestanti che non con i fratelli ortodossi. Comunque si deve tener conto che qui si tratta dell’ortodossia greca, che di fatto è più legata al passato e più conservatrice delle altre.
Spiteris conclude quest’ultima parte affermando che si tratta del confronto tra due “universalismi”. Nella prospettiva ecumenica occorre essere consapevoli che «l’ideologia non può essere teologia e molto meno annuncio di salvezza». Noi cattolici siamo chiamati a distinguere il “servizio di Pietro” dal “papato” caricato da ideologie medioevali utili per quell’epoca, mentre ai fratelli ortodossi si potrebbe chiedere: non è forse giunto il momento di rivedere la loro posizione sul papato, liberandola dall’ideologia politico-imperiale che aveva spinto i loro antenati a rinnegarlo? Direbbe Congar: «Dov’è oggi il potere del “basileus”?».
(da Settimana, 1, 2004, p. 12)