Ecumene

Sabato, 06 Maggio 2006 20:08

S. Giovanni Crisostomo ed il suo tempo (Tomas Špidlík)

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S. Giovanni Crisostomo ed il suo tempo
Conferenza di S. Em.card. Špidlík





Don Sergio Mercanzin:

Quando un nostro collaboratore ha invitato padre Špidlík a tenere qui una conferenza su Giovanni Crisostomo, ha risposto: “Volentieri, ma ad una condizione: che io sia ancora vivo!”. Non solo è vivo, ma nel frattempo è diventato cardinale! La porpora non gli ha tolto lo humour. Sembra che a qualcuno lui abbia detto: “Che vuoi, c'è chi cade dal motorino e chi diventa cardinale”. Ho incontrato questa mattina un sacerdote greco il quale ha detto che il cardinalato dato al padre Špidlík è un grande riconoscimento all'Oriente cristiano e a tutti coloro che, come lui, lo hanno fatto conoscere ed amare all'Occidente. Mi diceva prima padre Špidlík che alcune chiese ortodosse proprio ufficialmente, ad esempio il patriarca ecumenico Bartolomeo, hanno esultato - glielo hanno detto - per questa nomina, perché hanno visto in questo un riconoscimento altissimo della spiritualità orientale. Padre Špidlík ha insegnato per mezzo secolo a discepoli in tutto il mondo, tra i quali anche il sottoscritto. Ha ricevuto premi da cattolici e da ortodossi, i suoi libri sono tradotti in tantissime lingue, compreso l'arabo. Per presentarlo preferisco, però, citare una intervista che ha dato alla rivista 30giorni. Chiedono a Sua Eminenza: “Lei ama spesso ricordare Serafino di Sarov, forse il più grande mistico russo dell'800”. Risposta: “Il più grande? Meglio non dare premi. Davanti a Dio chi è più grande? Può darsi una mamma che ha educato cinque figli”.

P. Špidlík questa sera ci parla di S. Giovanni Crisostomo.



S. Em.card. Špidlík:

Allora dobbiamo parlare di Giovanni Crisostomo. Una volta ho comprato alla vecchia sede della Libreria Russia Ecumenica una piccola icona dei “Tre gerarchi” che raffigurava S. Giovanni Crisostomo, S. Gregorio Nazianzieno e S. Basilio, tre vescovi, senza iscrizioni che indicassero chi era ognuno dei tre; però si potevano riconoscere. Secondo le regole iconografiche S. Basilio deve avere la barba nera a punta, S. Gregorio Nazianzieno deve avere la barba quadrata e S. Giovanni Crisostomo deve avere una barbetta ed essere semicalvo. Era davvero così?

Beh, le icone lo dicono - o lo ricordano o lo sanno per rivelazione - dunque io non lo metto in dubbio.

Brevi cenni sulla vita di S. Giovanni Crisostomo

Della vita diciamo solo molto brevemente che Giovanni Crisostomo è nato ad Antiochia fra il 345 e il 350, a metà del secolo. In quel tempo c'erano ancora due mondi cristiani, greco e semitico, ma cominciavano a fondersi gli influssi dell'uno e dell'altro. S. Giovanni Crisostomo che è nato ad Antiochia è diventato poi Patriarca di Costantinopoli ed anche la sua educazione in certo senso ha risentito della mescolanza di due atteggiamenti qualche volta abbastanza diversi verso le cose. Gli antiocheni, come semiti, conoscevano meglio la Bibbia perché la leggevano nello spirito, nella mentalità semitica, nella quale era stata scritta. La mamma era vedova ed educava questo figlio che aveva però anche un altro educatore, greco, Libanio, sofista. Giovanni è andato a scuola della Scrittura da questi autori di cultura semitica, tra i quali il futuro vescovo Teodoro di Mopsuestia, uno di questi “duri”. Fu ordinato lettore, ma pensava all'ascesi - questi antiocheni avevano queste montagne, questi asceti, stiliti, reclusi, ecc. Il ragazzo è andato a fare l'ascesi e si è ammalato. Dunque tornò in città e fu ordinato diacono e sacerdote e predicò nella grande chiesa di Antiochia con grande successo - da ciò viene il suo nome Crisostomo (bocca d'oro)! Nel 397 morì il Patriarca di Costantinopoli e lui fu eletto nuovo Patriarca e l'anno seguente consacrato, ma un asceta e un semita a Costantinopoli, non poteva non creare dei conflitti, diciamo come un napoletano a Torino, o un piemontese in Sicilia. Tutto va bene spiritualmente, in spostamenti come questi, ma ci sarà qualche problema! Lui, asceta, arriva in una grande città e comincia a picchiare in testa a tutti i vizi, soprattutto all'imperatrice Eudossia, la quale ha poi convocato il sinodo che ha deposto Giovanni Crisostomo. Ma tutto era stato fatto troppo in fretta, era troppo scandaloso e la deposizione fu ritirata. Ma lui picchiava di più. Dunque arrivò il decreto di esilio, prima in Armenia. Ma là riceveva ancora troppe lettere, troppe visite. Dunque vollero mandare nel Ponto, ma morì sulla strada.

La sua vita non sembra così lunga come si pensa, quando si vede tutto ciò che si è scritto di lui. Quante prediche, quanti trattati - c'è anche lo pseudocrisostomo; chissà chi lo imitava o copiava.

I temi da lui affrontati sono diversissimi e io ne approfittavo sempre molto. Perché nella collezione dei Padri, curata dal Migne, ci sono gli indici. Allora quando si cercava un bel testo si trovava più facilmente che negli altri Padri.

Vivere per imitare Dio

Cominciamo dal primo principio che, allora, si cercava: quale è la fondamentale legge morale?

Sappiamo che c'erano due diverse tendenze. Gli stoici dicevano: “vivere secondo natura”, i platonici dicevano: “imitare Dio secondo le possibilità”. Vivere secondo natura è passato fino a S. Tommaso, a Dante, ecc., nella morale cristiana. Ma i primi cristiani avevano un po' paura di questo termine. Questa natura, questo destino! Contro il destino scrivevano molti autori, perché avevano paura del destino. Così come oggi, quando parliamo di diritti naturali, abbiamo anche paura di cosa ci mettono dentro. I platonici dicevano: “imitare Dio secondo la possibilità”. Aristotele all'inizio della sua morale distingue tre tipi di uomini. Prima categoria: gli uomini che vivono la vita utilitaria, mangiano per lavorare e lavorano per mangiare. Non sono mai felici! Il secondo tipo è di coloro che vivono la “vita politica”: i politici che lavorano per gli altri - in quel tempo ancora si credeva che i politici lavorassero per gli altri! Vita apostolica, fanno felici gli altri. Ma la vita più felice è la vita contemplativa: elevare la mente a Dio. Allora la contemplazione è la vita più perfetta. Allora la vita contemplativa. Questo è certo, ma Crisostomo non era così meccanico come altri. Si domanda: chi è quel Dio che vogliamo imitare? Questo è il problema secondo me anche oggi, quando si imitano queste contemplazioni del lontano Oriente. Chi è quel Dio? Per i platonici è un'idea, per i cristiani Dio è Padre, non un'idea, ma una persona. Io ho detto altre volte - devo stare attento per non dire qualche eresia! - che noi latini abbiamo un po' falsificato il Credo. Sapete perché? Abbiamo messo una virgola. Perché noi cantiamo “Credo in unum Deum” e poi “Padre, Figlio e Spirito Santo”. Ma in quel tempo non c'era nessuno che dubitasse dell'esistenza di Dio. La professione di fede era: “Credo in un solo Dio Padre, che è onnipotente e creatore del cielo e della terra”. Dunque Dio è Padre e Crisostomo insiste “imitare Dio”, Dio è philantropos, amante degli uomini. Lo si può dire degli dei pagani e dei platonici che amano gli uomini? No, non si può dire, mai.

Eros e agape. Amare Dio nel prossimo in S. Giovanni Crisostomo

Voi sapete qual è il trattato classico sull'amore prima del Cristianesimo? Il Symposium di Platone. Symposium: bevono un po' insieme e discutono; questo è la vera teologia, no? Discutono: come si dice “amore” in greco? EroS. Eros è nato dal padre cielo e dalla madre indigenza. Cosa significa questo? Io non ho soldi (indigenza della tasca), ma vedo il padre economo che ne ha la cassa piena, comincio ad amare quella cassa! Cioè l'uomo ama ciò che vede e non ha. Se ho lo stomaco vuoto amo la pastasciutta, se amo il movimento seguo il calcio, la Juve, la Roma ecc. Se amo la musica sono musicista, se amo la filosofia sono filosofo e se amo Dio sono l'uomo più divino che possa esistere. Dunque l'uomo secondo Platone è tanto grande quanto grande è il suo amore. Questo suona molto bene, questo testo poteva essere preso dai cristiani come tale. S. Agostino ha copiato parecchie di queste cose, però qualche cosa non va. L'uomo ama ciò che non ha. Ma che cosa Dio non ha? Ha tutto. Può desiderare allora qualcosa? No! Dunque il dio platonico non può amare gli uomini, non è philantropos, è un'Idea in alto, come se diciamo: “noi amiamo il sole e il sole non ama noi”. Siamo solo noi, da una sola parte, ad amare. Voi sapete quando si usa l'espressione amore platonico, quando un ragazzino ama una diva del cinema e questa non ne sa niente. C'è amore solo da parte del ragazzo. Dunque noi amiamo Dio, ma Dio non ama noi.

Ma noi amiamo Dio perché, come dice S. Giovanni, Lui ci ha amati per primo. Allora queste cose non vanno. S. Paolo e S. Giovanni dicono che Dio è amore; si può dire allora che Dio è eros, desiderio?

No, non si può dire, perciò hanno trovato un'altra parola greca: agape. Dunque abbiamo due nomi diversi per l'amore: eros e agape. Uno significa desiderare e l'altro avere e dare. Il Vangelo spiega questo molto bene con un testo in cui Gesù dice: “Se amate i vostri amici e parenti in cosa siete diversi dai pagani? Anch'essi amano gli amici perché li desiderano. Amate i nemici perché nessuno desidera avere nemici. Se amate i vostri nemici sarete come il Padre vostro in cielo che dà la pioggia per i buoni e per i cattivi”. Dunque “amare” in senso cristiano significa regalare. Allora eros e agape. C'è un vescovo protestante scandinavo, A.Nygren, che ha scritto un libro su questo, “Eros e agape”, e la sua sentenza è più o meno questa, (ha fatto una buona raccolta di testi). Dice: “All'inizio il Vangelo distingue molto bene questi due amori, ma la gente non ha capito bene, ha mescolato tutto insieme e così sono nate la Chiesa cattolica e quella ortodossa. Hanno mescolato questi due amori, senza rendersene conto. Per fortuna è venuta la Riforma che ha detto di non desiderare la beatitudine in cielo, di non cercare i meriti e tutte queste cose - questo è eros. Bisogna avere agape, regalare e non cercare di ricevere qualcosa da Dio”. Cosa dite voi? Qual è il vostro illuminato parere?

Diciamo che distinguere è bene, separare no. Dio è agape, ma noi siamo sia eros che agape. Se non desidero mangiare vado dal medico per curarmi, se non desidero studiare sarò bocciato. Dobbiamo desiderare, ma, inoltre, siamo capaci anche di amare, cioè dare. Dunque Dio ci ama e noi, secondo il suo esempio, dobbiamo essere capaci di questo amore divino. Questo amore divino a chi si rivolge? Si rivolge a chi incontro. Ma possiamo amare Dio? Era tanto difficile affrontare questi temi che poi i Padri non volevano mai scrivere sull'amore. Dicevano: “E' troppo difficile”. Climaco dice “Chi parla d'amore parla di Dio”, meglio lasciar stare. Solo S. Basilio all'inizio della sua Regola dice quattro motivi per i quali amiamo Dio.

Ognuno ama la luce, Dio è la luce infinita. Che cosa è, eros o agape? Ognuno ama la luce e Dio è la luce infinita. E' eroS.

Ognuno ama la bellezza, Dio è la bellezza infinita. Che cos'è? Eros.

Ognuno ama i benefattori, Dio è il nostro più grande benefattore, io amo Dio. che cos'è? Eros.

A questo punto, Basilio dice il quarto argomento. Io ve lo dirò, voi riderete, ma io non so come dirlo altrimenti. Immaginatevi il giudizio finale, a sinistra sono i dannati, a destra gli eletti e Basilio si trova tra i dannati. Viene il diavolo davanti a Gesù Cristo e dice: “Vedi quel Basilio? Tu l'hai creato, io no, ma lui ha seguito me. Tu gli hai dato tanti benefici, io gli ho dato soltanto guai, ma lui ha seguito me. Tu gli hai promesso beatitudine, io l'inferno, ma lui ha seguito me”. Basilio dice: “Va bene finire all'inferno, ma che quel diavolo possa vantarsi così davanti a Gesù Cristo io non lo sopporterei!”. Che cos'è questo? Che l'uomo può dimenticare se stesso e dire che l'interesse di Dio è superiore al mio. Questa noi la chiamiamo “contrizione perfetta” e quella purifica l'anima da tutti i peccati, perché solo Dio è capace di darcela. E' un po' difficile.

S. Giovanni Crisostomo è più concreto e dice: “Possiamo amare Dio? Sì, nel prossimo”. Perché Cristo ha detto “ciò che avete fatto a lui l'avete fatto a me”, e così Dio è philantropos, ama noi. E noi possiamo amare Dio. Allora ha fatto una bella sintesi della cultura greca con un precetto del Vangelo. Questa filantropia divina è una cosa molto importante. Allora, più che l'amore di Dio comincia a parlare dell'amore cristiano. Parla sempre dell'amore cristiano. Ma qual è l'amore cristiano? Lui dice che è soprattutto agape, perché eros è sempre un po' passionale. Amo, amo, amo, poi la passione passa e ti odio! Il vero amore non può passare, è stabile, perché è regalare. Se accetti, bene! Se non accetti, non importa.

Un proverbio tedesco dice: “L'amore che poteva passare non era amore”. Era una passione. Eros è passionale. E' sempre particolare, verso una ragazza e non verso l'altra. “Io amo Gina, non te!”. I monaci dicevano che bisogna amare tutti gli uomini senza distinzione, chi ama uno più dell'altro non è un vero cristiano. Come principio va bene, ma non è facile applicarlo. E' strano quando leggiamo le regole monastiche: è sempre vietato severamente l'amore particolare. S. Basilio dice: “Se c'è tuo fratello nel monastero, devi dimenticare che è tuo fratello. E' un fratello come gli altri”. Tutti uguali.

Anche in seminario si perseguitavano gli amori particolari. Quando due stavano tanto insieme, il Rettore diceva: “Mescolatevi, mescolatevi”. Più tardi, l'unica prudente era S. Teresa d'Avila che diceva: “Nei piccoli monasteri l'amore è uguale, ma nei grandi monasteri se non hai qualche amore particolare non hai amicizia con nessuno”. Questo vale per il mondo che è un monastero troppo grande! Se voglio amare americani e africani, ma dimentico che sto a Roma... Il principio formulato è: amore uguale per tutti. Poi Giovanni Crisostomo dice, l'amore passionale è facilmente attratto dal corpo, mentre l'amore spirituale è più concentrato sul bene dell'anima. Il bene dell'anima è dare il buon esempio, non dare scandalo. Una cosa che i monaci consideravano come grande beneficio dell'amore era rimproverare i difetti, la “correzione fraterna”. Sapete che nei monasteri c'era il capitolo, il monaco si inginocchiava in mezzo e tutti dicevano: “Tu fai questo, tu non hai pulito questo”, e lui: “Ringrazio per il vostro amore”. Più tardi dicevano con più prudenza Teodoro lo Studita: “Deve farlo chi sa farlo con carità, altrimenti succedono guai”, perché è come curare una ferita con il coltello. Non va bene!

L'amore particolare del matrimonio in S. Giovanni Crisostomo

Adesso vorrei trattare un argomento sul quale ho fatto un articolo. Lo consideravano come una scoperta, ma poi hanno detto: “Sì, è vero!” L'amore matrimoniale, qual è? Cade in questi termini monastici o no? E' amore “particolare”: si ama la moglie più della vicina, ecc. L'obiezione qual è? Questi monaci, con questi principi, hanno sempre parlato della verginità, mentre della spiritualità del matrimonio non scrivevano niente. Mancava totalmente. Beh, totalmente no. Agostino aveva scritto varie cose ed io ne ho cercato i testi. S. Giovanni Crisostomo che stava in mezzo alla gente, a Costantinopoli, si rendeva conto che doveva esserci una posizione della Chiesa verso il matrimonio. Crisostomo parte dal problema del tempo. Il problema del tempo era in un certo senso simile a quello di oggi. C'erano molti schiavi che alla fine ricevevano la libertà, perché nell'Impero cristiano a questi schiavi, divenuti vecchi, davano cristianamente la libertà. Ma cosa potevano fare questi poveri vecchi? Si radunavano insieme, alcuni dicevano che dovevano avere anche la cittadinanza, perché tutti gli uomini sono uguali. E' interessante che anche Marco Aurelio, che perseguitava i cristiani, diceva questo, ma lo diceva in questo senso: “Siamo tutti della stessa natura e nell'Impero romano tutti devono avere gli stessi diritti”. Questo piaceva anche ai Padri della Chiesa: siamo tutti uguali, prendiamo parte all'uguaglianza degli uomini. Ma quando Crisostomo era ancora studente, c'era Giuliano l'apostata, portatore di una reazione di nazionalismo romano: “Noi siamo romani, non come questi extracomunitari. Non è vero che tutti gli uomini sono uguali. Perché i cristiani dicono che discendiamo tutti da Adamo? Come è possibile se uno è bianco e l'altro è nero, uno è intelligente, l'altro stupido? Tante differenze. Gli uomini sono tutti differenti, è inutile dire che sono uguali”.

Cosa rispondevano i Padri della Chiesa? Hanno preso un principio: Dio ci ha creati tutti uguali, le differenze vengono dal peccato. Dunque se ci sono ricchi e poveri è colpa del peccato, dell'avarizia. Noi dobbiamo superare la differenza tra ricchi e poveri; questo è un obbligo per i cristiani. Stupidi ed intelligenti devono avere diritto all'istruzione, come ai tempi moderni.

C'è però un'altra differenza: ci sono l'uomo e la donna. Da dove viene questa differenza? Dal peccato? L'unico che ha avuto il coraggio di sostenerlo era Gregorio di Nissa. Diceva che dopo essere stati scacciati dal Paradiso hanno ricevuto un vestito di pelle e questo era il sesso. Il sesso sarebbe stato solo dopo il peccato, ma nessuno poteva accettare questo. Dio stesso ha creato l'uomo e la donna. Perché Dio ha fatto questa differenza, per procurare guai? Tutte le guerre cominciano nella famiglia, perché Dio ha fatto questa differenza? La maggior parte dei Padri è “femminista”. Affermavano: “Tutte le differenze sono nel corpo, ma l'anima è uguale. L'anima è l'immagine di Dio e nell'anima l'uomo e la donna sono uguali per la vita spirituale”. Infatti le Regole per le benedettine e i benedettini, basiliani e basiliane, sono uguali, per la donna e per l'uomo, perché la vita spirituale non conosce differenza tra uomini e donne. C'è una biografia, se non vera è molto ben trovata, di S. Marina. S. Marina voleva entrare nel monastero, ma i monasteri femminili erano troppo pieni e non l'hanno accettata, così è entrata in un monastero maschile e nessuno si accorse che era una donna. E' successo però che nel villaggio una donna doveva partorire e gli impiegati dello Stato volevano sapere chi fosse il padre del nascituro. Uno di quei monaci era salito là. Allora li misero tutti in fila e fu indicata proprio Marina. Lei non disse nulla, lavorò il doppio per nutrire il bambino e solo alla sua morte si è scoperto che era vittima di calunnie.

Si sosteneva che la spiritualità maschile e femminile è uguale. Solo S. Giovanni Crisostomo dice: “Hanno lo stesso valore, ma non sono uguali”. La matematica non è né maschile né femminile, ma l'atteggiamento verso la matematica può essere differente nell'uomo e nella donna. Così la vita spirituale: è dello Spirito Santo, ma l'atteggiamento verso di essa può essere differente. Sono dunque diversi! E si chiede: “Perché Dio ha fatto questa differenza?” Secondo l'antica mitologia greca, i giganti si erano ribellati a Giove il quale li aveva tagliati in due e da allora una metà cerca l'altra. Va bene, ma tutte queste sono favole! La risposta di S. Giovanni Crisostomo secondo me è bellissima. Non è ancora abbastanza apprezzata, ma è bellissima: “Affinché l'unione fosse non della natura, ma per mezzo dell'amore, l'amore che unisce due persone differenti”. Quindi il matrimonio è sacramento dell'amore. E' imitazione della SS. Trinità, come il Padre ama il Figlio, così il marito ama la moglie e per mezzo dell'amore si trasferisce sulla terra il grande sacramento del matrimonio. E' bellissimo.

L'amicizia spirituale, il celibato e la verginità

Adesso però potreste dire: “Va' e sposati!” Per me sarebbe facile, perché sono ancora giovane, ma per gli altri non lo so! (Il cardinale ride). Perché non andate in tutti i monasteri dalle suore e dai monaci a dire “Sposatevi perché questo è il sacramento dell'amore”? Offro 50 euro per una buona risposta. Di nuovo Crisostomo ha una bellissima risposta “L'amore è partecipazione di Dio e deve crescere”. E come cresce? Come la Bibbia: dall'AT al NT, dal corporale allo spirituale. All'inizio l'amore è piuttosto corporale, ma deve crescere nella spiritualità e quelli che capiscono che possono amare gli altri spiritualmente, scelgono il celibato. La Bibbia dice: “Chi lo può capire, capisca”.

Dunque verginità e matrimonio sono opposti ma, in un certo senso, la verginità è, in un certo senso, continuazione del matrimonio. Alla fine dei secoli non ci si sposerà più perché tutti avranno l'amore spirituale. Voi sapete che lo stesso pensiero si trova in pensatori moderni che dicono: “All'inizio è attrazione sessuale, ma questa deve svilupparsi in vera amicizia”. Se fra marito e moglie non cresce l'amicizia, il matrimonio fallisce. E' una bella cosa. Una volta dovevo tenere a Milano una conferenza all'Università. L'hanno annunciata: padre Špidlík parlerà della teologia del sesso. Era così pieno che quasi non riuscivo ad entrare! Ma alla fine molti ragazzi mi hanno chiesto: “Ma perché non ci dicono queste cose? Ci dicono solo: questo si può, questo non si può!” Bisogna capire che qui c'è un dinamismo, che se si blocca questa evoluzione è una tragedia. Crisostomo aveva capito molto bene questo, ma non aveva molto tempo per svilupparlo. Soltanto, agli eretici che criticavano il matrimonio rispondeva: “Perché calunni il nido dal quale sei uscito?” Infatti nel rito bizantino c'è la festa della concezione della beata Anna. Dal santo matrimonio di Gioacchino e Anna nasce la Vergine. Questo è amore fra gli uomini.

Il valore del lavoro: Adamo lavorava, prima del peccato, per sviluppare la sua personalità

C'è un altro aspetto moderno che Crisostomo ha sviluppato molto bene: il lavoro. La manifestazione dell'amore è il lavoro. In quel tempo evidentemente il lavoro, soprattutto quello manuale, si stimava poco, erano le opere “servili”, dei servi - per questo di domenica sono proibite. Se zappo la terra per più di tre ore è peccato mortale, se studio fino a diventare matto, questo è bene, di domenica si può fare! C'è distinzione. Ma i cristiani cercavano di riabilitare il lavoro manuale. Crisostomo dice: “Siamo figli di un operaio. S. Paolo lavorava per non essere di peso agli altri. L'uomo è stato posto nel Paradiso per coltivarlo, il mondo è per noi, ma affinché si sviluppi, l'uomo deve lavorare”. La questione è sempre stata: Adamo, nel Paradiso, lavorava? Ma c'era già tutto, perché doveva lavorare? La risposta di Crisostomo è: “Lavorava, perché altrimenti non avrebbe sviluppato la sua personalità”. Il lavoro è necessario per sviluppare la propria personalità. Adamo lavorava e coltivava il Paradiso. Dopo il peccato cosa è successo? Al lavoro si è aggiunta la fatica, e questo è il guaio. La fatica viene dal peccato. Allora dobbiamo scappare da ogni fatica? Crisostomo dice che anche questa è medicinale, ci aiuta a superare le nostre cattive inclinazioni. Uno che lavora vince tutti i vizi. Dunque anche la fatica è molto utile. Chi non lavora non deve mangiare. L'istituzione degli schiavi era il problema del tempo. I Padri non osavano dire – e neanche S. Paolo - che non era giusta, perché tutto il sistema economico era basato su questo. Abolire la schiavitù avrebbe causato il crollo totale dell'economia. Possiamo vedere nella vita di S. Melania, che voleva dare la libertà a tutti i suoi schiavi, che questi si ribellavano. Sarebbe stato come chiudere la FIAT, una grande azienda. Non si potevano lasciare gli schiavi. Quindi si ponevano solo dei limiti: trattateli bene, trattateli come fratelli. Ma la schiavitù non era in discussione. Invece Giovanni Crisostomo, come anche Gregorio di Nissa, dice: “E' contro la natura. Dio ci ha dato due mani, non ci ha dato gli schiavi, gli schiavi ci sono stati dati dalla società corrotta”. Allora sarebbe molto bello che ognuno lavorasse tutte le cose da solo. Le donne che lavorano sono più belle di quelle che mangiano soltanto, gli uomini che lavorano sono più sani. Dunque il lavoro è una cosa molto nobile. E Crisostomo loda ciò che qualche tempo fa ci ha creato problemi, i preti-operai. C'erano molti contadini ordinati sacerdoti, non come oggi il prete che va in fabbrica, ma semplicemente nel villaggio ordinavano prete un contadino. Crisostomo in un'orazione dice: “Quando vedo questi fratelli, che un giorno arano la terra con i buoi e la domenica fanno la liturgia celeste, sono sempre molto commosso nel vedere questi semplici sacerdoti che lavorano con le mani”. I monaci cosa devono fare? C'erano i messaliani che dicevano: “Il lavoro è per i secolari, i monaci devono solo pregare”. Certi schiavi si rifugiavano nei monasteri perché è più facile cantare che zappare la terra. Questi messaliani furono condannati. Conoscete S. Benedetto che ha insegnato: “Ora et labora”. Molti messaliani scappavano anche in Occidente, anche in Italia. Sembra che a Trento ci siano questi martiri che erano arrivati, chissà come, dalla Cappadocia. Rovinarono il tempio dei pagani con grande zelo. Uno di questi vide un monaco ortodosso che lavorava dei cestini. Gli disse: “Io non lavoro”. Il monaco gli diede un libro spirituale, ma la sera, quando fu il momento di mangiare, nessuno lo chiamò. Allora lui tornò e disse: “Padre, oggi non si è mangiato?” “Sì, si è mangiato, ma noi che siamo corporali; tu che sei come un angelo di Dio, pensavamo che non ne avessi bisogno”.

Dunque - “ora et labora” - i monaci lavoravano. E non solo per se stessi, perché non hanno bisogno di tanto. Tutto quello che producono in più è a favore dei poveri. I monasteri sono diventati istituti di beneficenza. Orfanotrofi, ospedali per vecchi, scuole, tutto era opera dei monaci. C'era un grande patrologo, padre Gribomont, ha fatto fare ad uno a Bologna una tesi sul lavoro dei monaci. Il risultato era: qualche volta i monaci erano corrotti, ma i monaci corrotti cosa facevano? Mangiavano più del necessario, bevevano, ma quando l'opera dei monaci passava allo Stato, i “giusti” impiegati statali consumavano molto di più, con tutta l'onesta amministrazione! Che differenza passa tra la vita monastica e quella cristiana? I monaci non sono diversi, vogliono solo osservare tutti i comandamenti. La vita monastica è esempio della vita cristiana e la chiesa orientale è molto monastica. Non si distinguono ordini apostolici e contemplativi. Gli orientali dicono che tutti devono essere contemplativi. Il vescovo non deve perdere la contemplazione, se lo fa deve ancora stare nel monastero. Dunque si potrebbero dire ancora tante cose, ma speriamo che adesso finiamo qui e voi andate a lavorare invece di fare questa contemplazione!

Domanda

Innanzi tutto un grazie per l'esposizione chiara, provocante e luminosa. Avrei una piccola osservazione. Quando lei ha detto, molto giustamente, che Dio è pienezza e non ci può essere desiderio, indigenza, quindi eroS. Cosa che non è vera per noi creature che non abbiamo questa pienezza di essere. Tutto a posto, secondo le categorie di Atene: Dio è immutabile e anche santo, Dio non muta. Tuttavia Dio ha deciso di mandarci suo Figlio, di farsi uomo, di confrontarsi con gli uomini, di permettere che gli uomini lo rifiutino, di aspettare con amore. In questo senso, non per sua innata indigenza, ma per una sua decisione, pur essendo sovrano di tutto, lui dipende dalla cooperazione, dall'atteggiamento dell'uomo, quindi soffre finché l'uomo non lo accetta pienamente. In questo senso, un po' di desiderio c'è anche in Dio che vorrebbe che io fossi meglio di quel che sono. A proposito dell'eresia di cui lei parlava, quando stavo in Zambia c'erano dei gruppi che attendevano alle pulizie, c'era un gruppo che puliva solo la Chiesa. “Noi siamo spirituali”, dicevano, ma anche loro usavano i servizi igienici!

Risposta

Qui ci sono due problemi molto seri: come Dio può ascoltarci quando preghiamo? Filone di Alessandria, grande filosofo ebreo, ha portato all'università la traduzione dell'Antico Testamento in greco, per mostrare ai filosofi che anche noi abbiamo la saggezza. I filosofi ridevano: “Che ridicolo! Dio promette una cosa, gli Ebrei sono cattivi e lui si arrabbia; gli offrono dei buoi e lui si pacifica; dice: va bene, lo farò”. Ma Dio è immutabile! Come è possibile questo?”

Filone, buon ebreo devoto, non sapeva però cosa rispondere, diceva solo: “Se Dio non è libero, neanche noi lo siamo; siamo una macchina”. E' una risposta ad hominem. Ad Alessandria viveva Origene che diceva: “Tutto questo proviene dal nostro modo di pensare. Noi siamo nel tempo; qualcosa è prima, qualcosa è dopo, ma Dio vede tutto presente. Per lui questa cosa del prima e del dopo non esiste”. C'è un libro spirituale italiano che si chiama “Don Camillo”. Lì c'è questo problema, esposto in modo semplice. Gesù dice a don Camillo: “Senti, don Camillo, tu cammini spensierato, attraversi il binario e cadi in terra. Arriva il treno, tu preghi: oh Signore, fa che il treno passi sull'altro binario. Il treno passa là e tu ringrazi il Signore che ti ha salvato. Ma non poteva saltare da un binario all'altro, era già partito sull'altro binario!” Don Camillo non sa cosa rispondere e Gesù gli dice: “Sei tanto stupido? Non sai che prima che il treno partisse io ho visto la caduta, ho sentito la tua preghiera e ho arrangiato le cose in questo modo, sia secondo l'orario che secondo questo dialogo fra di noi”. E' una bella risposta.

Conferenza tenuta presso la Libreria Russia ecumenica, il 9 dicembre 2003.

a cura del Centro Russia Ecumenica
00193 Roma – Vicolo del Farinone, 30
tel 06-6896637


Letto 5447 volte Ultima modifica il Martedì, 07 Novembre 2006 00:24
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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