Ecumene

Mercoledì, 15 Febbraio 2006 21:47

L’”anima violenta” dell’islam (Giuseppe Scattolin)

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Anche l'islam storico (alla pari di altre religioni, tra cui il cristianesimo) ha conosciuto la "strumentalizzazione" della religione da parte della politica. Ma questo è l'islam "politico", che fa a pugni con la coscienza moderna dei diritti della persona umana.

L’”anima violenta” dell’islam

di Giuseppe Scattolin



Ho letto l’articolo di Angela Lano (“Gli italo-musulmani”, Nigrizia 7-8/04, 18) con interesse. A lettura finita, però, sono rimasto male. L’autrice sembra voler, a tutti i costi, coprire quella fascia di islam fondamentalista, radicale e militante che sappiamo esiste. È vero che ci sono diverse “anime” dell’islam. Ma definire semplicemente come una di queste anime l’islam-ideologia (apertamente violento) proposto dai terroristi significa voler minimizzare la sua presenza (se non proprio occultarla). Perchè non dire le cose come stanno?
(Giuseppe Nascimbene - Trento)


Il rapporto religione-violenza è un problema che riguarda ogni religione e l’islam in particolare, date le manifestazioni eclatanti che tale rapporto trova nel mondo musulmano. È l’islam in se stesso violento o no? La violenza fa parte della sua costituzione o è un puro accidente storico che può (e deve) essere escluso dal credo e dalla pratica di un vero musulmano?

Angela Lano, nell'articolo citato, mette in luce come all'interno dell'islam esista un certo "pluralismo", per cui, accanto a musulmani integralisti ed estremisti, agenti di violenza, si trovano moderati e perfino "laici". Nascimbene, da parte sua, sottolinea il fatto che la violenza islamica è perpetrata dai suoi autori «proprio in nome dell'islam», basandosi sui suoi testi sacri; l'islam, quindi, sarebbe in sé stesso violento, che lo mostri o no; non bisogna pertanto farci ingannare da una propaganda fatta di show sentimentali sui media...

Su questo ultimo punto non posso che essere d'accordo. L'ignoranza in materia dimostrata dai nostri showmen delle varie pizze serali è sorprendente. Da tale ignoranza dobbiamo stare sempre in guardia.

Ma una risposta ai due interrogativi che ho posto richiede un esame attento e critico del rapporto "islam-violenza". Occorre distinguere le radici interne della violenza dai suoi fattori esterni, quali le condizioni sociali di miseria e ingiustizia, ecc. ecc. Le radici interne della violenza islamica nascono dall'unione del binomio religione-politica, che è una caratteristica fondamentale dell'islam storico. Maometto è stato il fondatore del primo stato islamico, e i suoi successori (i califfi) hanno continuato sulla stessa linea, elaborando una legge, definita "divina" (la shari'a), che garantisce al musulmani l'assoluto dominio nella società. Le minoranze non-islamiche ("i protetti" o dhimmi) venivano "tollerate entro stretti limiti, in modo da non mettere in discussione il dominio sociale islamico. Questo è l'ideale cui i cosiddetti "integralisti estremisti" vorrebbero tornare.

Non si vuole negare che l'islam storico abbia conosciuto momenti di tolleranza superiori anche a quello dimostrato dalle società cristiane del tempo (nel medioevo, tanto per intenderci). Tuttavia, la miscela religione-politica rimane un composto altamente esplosivo, capace di scatenare ogni tipo di violenza. La politica, infatti, si allea molto facilmente con quanto vi è di più basso nell'animo umano, ambizioni, prepotenza, dominio, ricchezza...

Anche l'islam storico (alla pari di altre religioni, tra cui il cristianesimo) ha conosciuto la "strumentalizzazione" della religione da parte della politica. Ma questo è l'islam "politico", che fa a pugni con la coscienza moderna dei diritti della persona umana. Ad esempio, nella maggior parte delle società islamiche vige ancora la legge dell'apostasia, per cui un musulmano che abbandoni l'islam è passibile della pena di morte. Ed è strano che tale punto di capitale importanza per la libertà di coscienza non venga messo in discussione nei vari dibattiti interreligiosi.

Su questo punto, i musulmani sono chiamati a un serio riesame critico della propria storia, per aprire la loro religione a nuovi orizzonti di convivenza con le altre religioni e società. Tale nuovo atteggiamento fa, però, fatica a essere accettato nelle comunità islamiche, anche in Occidente. Le molte parole sbandierate non bastano a cambiare la mentalità di fondo. Per fare ciò occorre che sorgano pensatori seri e impegnati, pronti a essere testimoni chiari di questa serietà e di questo impegno anche con la loro stessa vita.

Uno di questi pensatori, che considero serio e impegnato, è Muhammad Said Al Ashmawyr, ex giudice della Corte suprema egiziana. In un suo saggio scriveva: «Dio ha voluto che l'islam fosse una religione, ma gli uomini l'hanno voluto rendere un fatto politico. La religione è generale, universale, totalizzante. La politica è parziale, tribale, limitata nello spazio e nel tempo. Limitare la religione nell'ambito politico significa ridurla a uno spazio ristretto, a una sola collettività, a un’area e a un periodo determinati». Proseguiva, quindi, con una serrata critica dell'islam storico.

Solo sulla base di una seria riflessione critica l'islam potrà liberarsi della sua "violenza storica", valorizzare gli elementi di giustizia, fratellanza e misericordia, che fanno parte del suo messaggio religioso, e diventare un fattore positivo nell'attuale villaggio globale. Ed è a questo che deve portare un vero dialogo interreligioso e interculturale.

(da Nigrizia, dicembre, 2004)

Letto 3413 volte Ultima modifica il Mercoledì, 02 Giugno 2010 14:10
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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