Ecumene

Domenica, 14 Agosto 2005 22:51

I. La gloria di Dio è l'uomo che vive, è vivo l'uomo formato dalle due mani di Dio: il Verbo e lo Spirito Santo (Michelina Tenace)

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Ireneo difende l'integrità della rivelazione perché avverte la gravità del pericolo di isolare elementi del messaggio evangelico o della Scrittura in genere, e di elaborare sulla parzialità qualche dottrina che alla fine non ha più niente di cristiano riguardo all'insieme della salvezza.

Ireneo è uno dei primi Padri ad aver suggerito una terminologia che potesse esprimere il mistero dell'uomo redento nel quadro dei dati della Sacra Scrittura letta alla luce del mistero rivelato che è Cristo, il Figlio di Dio. Eppure è fra i Padri uno dei più citati ed insieme uno dei meno conosciuti. I manoscritti delle sue opere rimasti sono in armeno, di epoca tardiva. Gli specialisti ne deducono che non dovesse essere comune la lettura di Ireneo. Ma ancor oggi, chi osa affrontare la lettura dell'Adversus haereses? Quest'opera, il cui titolo preciso è Denuncia e confutazione della falsa gnosi (conosciuta però come Contro le eresie) si presenta suddivisa in cinque libri documentatissimi su tutte le eresie diffuse nel I e Il secolo dopo Cristo. Dottrine così strane a prima vista, eppure così comuni, così attuali in alcuni aspetti. L'opera di Ireneo potrebbe figurare oggi fra la letteratura sulle sette. Superata la difficoltà dei primi libri dell’Adversus haereses, si aprono al cuore ed alla mente del lettore un mondo ed un linguaggio straordinariamente profondi, moderni, incoraggianti, ottimisti, fondati sulla Sacra Scrittura e sulla tradizione apostolica, dato che alla fine del II secolo non c'era nessun dogma stabilito e nessun concilio da citare, ma solo ciò che gli apostoli ed i testimoni della fede avevano lasciato in eredità.

Ireneo

Nato circa nel 130, originario dell'Asia minore, forse a Smirne, dove in gioventù ebbe contatti con Policarpo (discepolo di San Giovanni), di Ireneo sappiamo che nel 177 si trovava a Lione durante le persecuzioni. Dopo il martirio del vescovo Potino, Ireneo, già presbitero, divenne vescovo, trovandosi in prima linea a combattere le varie eresie che minacciavano un cristianesimo ancor povero di definizioni. Perciò Ireneo è anche uno scrittore simbolo del tentativo di mettere insieme i dati della Sacra Scrittura e dell'esperienza dei primi testimoni della fede per proporre una visione cristiana essenziale in un pullulare di nuovi gruppi religiosi nei quali tradizioni esoteriche orientali, filosofie, miti, confluivano in un miscuglio a danno della purezza del vangelo. Ma Ireneo non potrebbe essere "contro l'eresia" se non fosse un cristiano per Cristo, un cristiano che ama la Chiesa e come vescovo la protegge, la difende, la arricchisce e la fortifica con il suo insegnamento. Anche all'interno della Chiesa, come profetizza il suo nome - "uomo di pace" - Ireneo cercherà sempre di metter pace nelle questioni disciplinari. Interviene affinché sia mantenuta l'unità di fede nella diversità liturgica dibattuta a proposito della famosa questione della celebrazione della pasqua. Le Chiese d'Asia la celebravano nella ricorrenza del 14 del mese di Nisan, mentre nella Chiesa di Roma aveva preso piede la celebrazione della pasqua mobile, affinché la festa cadesse sempre di domenica. Ireneo suggerì di non litigare, ma di lasciare che ognuno facesse come era sua consuetudine, dato che l'essenza della pasqua non veniva toccata e quindi la fede rimaneva la stessa e l'unità della Chiesa non era minacciata. Persino il millenarismo di Ireneo da alcuni considerato il punto debole del suo pensiero - è solo la sua confessione di fede nella bontà di Dio e dell'uomo portata fino alle estreme conseguenze: Ireneo ha regalato alla storia la straordinaria visione che «in quel regno [di Cristo] il giusto che si trova sulla terra si dimenticherà di morire» (1). Dimenticarsi di morire, ossia dimenticarsi di peccare sarà la vita dell'uomo quando Cristo regnerà sulla terra come ci ha promesso.

L'urgenza di discernere tra vera e falsa conoscenza

L'uomo diventa immagine e somiglianza di Dio mediante la scienza del bene e del male (2). Ma «chi potrà riconoscere il rame misto all'argento se non è esperto?» (3). Ora, il pericolo è reale perché gli eretici, «con arte e con parole persuasive inducono la gente semplice a cercare [Dio] ma poi li portano alla rovina rendendoli empi e blasfemi contro il loro Creatore, poiché non sanno distinguere il falso dal vero» (4). Ma chi sono gli eretici? Sono «alcuni che rigettano la verità presentando discorsi bugiardi», che al posto della fede che edifica introducono dispute che rovinano. I loro discorsi sono rivolti alla ricerca di «qualcosa di più alto e di più grande di Dio». «Col pretesto della "gnosi" [gli eretici] allontanano da Colui i che fece e ordinò quest'universo» (5).

Alla fine, secondo Ireneo, la radice di ogni eresia sta nell'audacia orgogliosa dell'uomo che pretende di conoscere i misteri ineffabili e rifiuta di lasciare irrisolti davanti a Dio certi problemi, come ad esempio che cosa faceva Dio prima di creare il mondo? La Scrittura non risponde a questo, ma dice come Dio si relaziona all'uomo nella storia.

La teologia: crescere nell'amore

Per Ireneo la teologia è il «modo con cui ciascuno cerca di spiegare la dottrina contenuta nelle parabole, armonizza le verità della fede, espone l'azione e l"'economia" di Dio, [...] perché il Lògos si fece carne e patì, [...] perché Dio fece coeredi e concorporali e partecipi dei santi i pagani, [...] come questa carne mortale si rivestirà di immortalità e il corruttibile d'incorruzione (1 Cor 15,53)» (6). La teologia si definisce per il suo contenuto e per il suo scopo. Scopo della ricerca teologica è di «crescere nell'amore di Colui che tanto fece per noi e continuamente fa» (7). Perché «secondo la grandezza e la gloria inenarrabile nessuno vedrà Dio e vivrà perché il Padre è incomprensibile, ma secondo l'amore e la benignità verso gli uomini e la sua onnipotenza, anche questo concede a coloro che lo amano, di vedere Dio» (8). «[...]è impossibile conoscere Dio senza Dio» (9). È tutto dire. Tale conoscenza avviene per mezzo del Verbo che abitò in mezzo all'uomo divenendo fi­glio dell'uomo perché l'uomo si familiarizzasse nella conoscenza intima del Padre e Dio si familiarizzasse ad abitare in mezzo all'uomo, secondo il beneplacito del Padre»(10). Questa familiarità è la relazione da padre a figli che costituisce lo sfondo della creazione e della divinizzazione: «[...] lo Spirito Santo non chiama Dio e Signore altro che il sommo Dio, che (il simile fanno) il Verbo e quelli che ricevono dallo Spirito la figliolanza adottiva, cioè coloro che credono nell'unico vero Dio e in Cristo Gesù Figlio di Dio» (11).

La prospettiva di Ireneo è sempre profondamente storica e perciò, anche riguardo alla divinizzazione, l'approccio è quello dell'economia, del diventare figli. «Dio [...] è diventato Figlio dell'uomo affinché l'uomo divenisse figlio di Dio» (12). «Per questo appunto il Verbo si è fatto uomo e il Figlio di Dio si è fatto Figlio dell'uomo affinché l'uomo, mescolandosi a Dio e ricevendo l'adozione filiale, diventasse figlio di Dio» (13). Tutte queste economie esistono per portare l'uomo a Dio, affinché egli viva perché, se fosse privo di Dio, morirebbe. Gloria di Dio è l'uomo che vive, e la sua vita consiste nella visione di Dio (14). «E quanto più l'ameremo, tanto maggiore sarà la gloria» (15). Quale umanesimo cristiano avrebbe potuto trovare formula più bella e positiva di quella che dice gloria Dei, vivens homo, specificando che questa gloria è l'amore!

Ireneo difende l'integrità della rivelazione perché avverte la gravità del pericolo di isolare elementi del messaggio evangelico o della Scrittura in genere, e di elaborare sulla parzialità qualche dottrina che alla fine non ha più niente di cristiano riguardo all'insieme della salvezza.

Se si dovesse riassumere la teologia di Ireneo, si potrebbero usare queste parole: una teologia dell'armonia, della sinfonia, una teologia dell'unità, una teologia dell'uomo di Chiesa. Di fronte alle tendenze fondamentaliste e dualistiche dei suoi avversari, Ireneo ha delineato una teologia tutta basata sull'unità (16): unità tra il Dio creatore e il Padre; unità dei due Testamenti, perché provengono dall'unico e medesimo Dio il quale è Padre di Gesù Cristo e Creatore. Questo significa che la rivelazione si dispiega in un unico piano armonico, o economia, nella quale Dio, progressivamente, attraverso varie economie, conduce l'uomo decaduto ad accogliere la salvezza portata da Cristo nella carne; unità di Cristo, vero Dio e vero uomo; unità fra i misteri nell'economia del Figlio e dello Spirito Santo, le due mani del Creatore; unità fondamentale del genere umano a causa dell’unico Salvatore; unità fra l'umanità e Dio a causa della creazione ad immagine e somiglianza; unità fra la natura materiale e il mondo spirituale; unità delle economie nell'unica economia dell'adozione filiale che costituisce la divinizzazione; unità dell'uomo corpo, anima e spirito.

«La teologia di Ireneo è molto vicina alla poesia [...] è una teologia simbolica» ed in questo, nei suoi contenuti e nel modo di esprimersi, è una teologia molto cara alla tradizione mistica. La stessa tricotomia che vi si trova, come afferma H. De Lubac, di fatto è tramandata dagli autori più spirituali, preziosa non tanto per ciò che distingue (corpo, anima, spirito), ma per ciò che unisce (l'uomo in sé, l'uomo con Dio).

L'antropologia

L'espressione "antropologia dei Padri" non è del tutto corretta, perché presenta almeno due grandi linee di sviluppo, senza tener conto del fatto che l'antropologia cristiana nella storia è l'espressione dell'incontro tra diverse antropologie e veicola una visione dell’uomo che assume sia l'eredità indoeuropea e greca che quella biblica, a seconda delle contingenze storiche e culturali. Vi si trovano fusi insieme elementi della tradizione dell'antropologia greca - (con il testo chiave nel Timeo) fondata sul dualismo dell'anima (psyché) o spirito (noôs) da una parte e del corpo (sôma) dall'altro - e della tradizione dell'antropologia biblica (con il testo chiave in Gen 2,7) stabilita sull’unità dell'uomo creato come anima viva, per cui l'opposizione è tra la vita (Dio) e la morte (il peccato).

È interessante che, riguardo all'antropologia, Ireneo sia il rappresentante di quella linea che verrà meno sviluppata (forse perché troppo complessa, troppo nuova rispetto alla mentalità ellenistica) mentre - almeno in occidente - sarà maggiormente percorso il tracciato di Origene e di Agostino, che riflette sull'uomo salvato a partire dal binomio corpo-anima.

La visione di Ireneo esprime la linea d'ispirazione più semitica, biblica, dell'uomo come carne, vita (anima) e soffio (divino). L'uomo-carne si fa carico della meraviglia della carne chiamata a divenire conforme a Cristo. Questa è in realtà la linea del vangelo di san Giovanni. Nella struttura dell'uomo come corpo, anima e spirito, la carne è centrale per definire l'uomo nella sua unicità e grandezza. L'uomo è in questo più dell'angelo, perché creato ad immagine di Cristo risorto. Quindi è nella sua carne che è chiamato a vivere la vita divina. Questa non è solo la linea di Ireneo, ma anche quella del primo Tertulliano, secondo cui l'uomo porta nella sua carne la promessa della salvezza. L'economia è il passaggio dalla promessa (la creazione) al compimento (la trasfigurazione). Ireneo non pensa alla vita personale o alla storia dell'umanità in termini di nostalgia del passato, di ritorno al paradiso, allo stato iniziale. Egli afferma che l'uomo - creato in base ad una promessa data da Dio - con o senza il peccato, è chiamato a portare a compimento con la sua libera adesione l'amore che lo costituisce. Dal punto di vista dell'uomo, l'escatologia porta un di più riguardo alla creazione. Se c’è nostalgia, è tutta rivolta all'attesa... Il tempo è un tirocinio per la comunione, perché Dio vuole divinizzare l'uomo, ma senza distruggere la libertà. Il tempo permette all'uomo di «familiarizzarsi nella conoscenza intima del Padre» e a Dio di familiarizzarsi ad abitare in mezzo all'uomo» (18).

Nell'altra visione domina un'ispirazione più ellenista che sottolinea nell'uomo il valore dell'interiorità al di là di ogni considerazione materialistica od empirista. È frequente trovare negli autori più rappresentativi di questa linea (Clemente Alessandrino, Origene), affermazioni secondo le quali non c'è nessun elemento corporeo che entri nell'essere creato ad immagine di Dio. L'uomo deve la sua grandezza alla sua anima. La vera realtà non è empirica, ma interiore, spirituale.

Questa linea ha portato quindi, nelle sue tendenze massimaliste, al disprezzo della carne, per cui la salvezza consiste per l'uomo nel ritornare ad essere ciò che era nel paradiso: uno spirito puro, un angelo. Il peccato ha cacciato l'uomo fuori dal paradiso, dove invece gli angeli buoni sono rimasti. La salvezza è un ritorno a dove si trovano i giusti.

Questa è piuttosto la linea che ha prevalso nella cultura occidentale, tanto da costituire il modo comune di pensare l'uomo quale anima e corpo, con la convinzione che la salvezza riguardasse l'anima soltanto. È la carne il cardine della salvezza, come diceva Tertulliano, o è l'anima la protagonista della salvezza, come invece affermerebbe Agostino? Ireneo risponderebbe che nè la carne nè l'anima hanno a che fare con la salvezza, se l'una e l'altra non vengono "sposate" dallo Spirito che dà la vita, l'immortalità, l'incorruttibilità.

Che dire dell'anima? Intanto, che non è "di per sé" immortale. Il termine ebraico nèfesh è tradotto in latino con la parola anima e in greco con psyché. Il vocabolo è spesso sinonimo di "principio che mantiene la vita". L'anima potrebbe essere legata alla natura umana ed esprimere la complessità della vita che si qualifica come umana. La parola "anima" indica la gola, ossia l'organo attraverso il quale passa il respiro, l'acqua, il nutrimento e può indicare perciò i vari bisogni che l'uomo manifesta per rimanere in vita. Ma può significare anche il fondamento della personalità, la volontà, la libertà, l'intelligenza, i sentimenti ecc..., proprio ciò che oggi intendiamo per psiche, psichismo. Nell'antropologia dicotomica, la differenza anima-corpo esprime che nell'uomo il corpo, la materia, ricevono la vita da un principio estraneo alla corporeità ed alla materia e che ha affinità con il mondo sovrumano. Il definire l'uomo solo in base alla sua costituzione biologica non rende conto della sua verità. Nella struttura tricotomica, come vedremo più avanti, l'anima assume la parte intermedia tra il corpo e lo spirito.

Molte difficoltà, se non proprio eresie, sorgono dal voler rispondere alla domanda di come nell'uomo il principio materiale visibile si unisce con ciò che di lui non è visibile e che tuttavia lo esprime pienamente come uomo.

Per rispondere a queste difficoltà, le filosofie o le religioni hanno bisogno di elaborare una spiegazione dell'atto creativo che espliciti il rapporto tra realtà materiale (il corpo) e realtà immateriale (l'anima) dell'uomo. La conclusione è che il corpo è creato dalla materia, per cui, dato che il corpo è una realtà composita, anche l’uomo è composto. La decomposizione è la morte e proviene dal fatto di essere creato dalla terra. Invece l'anima, che non è composta, è facilmente detta "non mortale". Secondo questo tipo di ragionamento, se l'anima è immortale, allora ha le stesse qualità di Dio e perciò di essa si possono fare due affermazioni: che viene da Dio e che possiede, in base alla sua natura (incorporea, incomposta), l'immortalità. Coerentemente a tale pensiero, è facile concludere che l'anima è un di più rispetto al corpo, se non altro perché l'anima non muore. Se l'anima ha le caratteristiche di Dio, dire che l'uomo è creato da Dio significa che Dio dà un'anima ad un corpo che diventa uomo. Del corpo si tace, non si sa che dire, se non che, non avendo niente in comune con Dio, potrebbe essere all'origine del peccato, del male, della morte. Tutti i guai per l'uomo, desideri insoddisfatti, malattie, sofferenza, morte, sono da riferire al corpo. Nel Fedone si legge: «" È fin troppo chiaro, Socrate: l’anima assomiglia a ciò che è divino, il corpo a ciò che è mortale." "E allora, proseguì Socrate, quello che assomiglia di più a ciò che è divino, imperituro, intelligibile, che possiede l'unicità della forma, che è indissolubile, che sempre mantiene in modo identico con se stesso i medesimi rapporti. è l'anima: quello che, invece, assomiglia di più a ciò che è umano, mortale, non intelligibile che ha molteplicità di forma, che è soggetto a dissoluzione, che non mantiene mai con se stesso i medesimi rapporti, è il corpo"» (19).

Ireneo è tra i primi pensatori cristiani a rifiutare radicalmente questa filosofia che stava a fondamento dell'eresia gnostica. Ragiona a partire dal dato rivelato: Cristo e la salvezza. Il problema per lui non è il rapporto tra corpo e anima, ma tra l'anima, il corpo e Dio. La sua risposta, benché non univoca, da questo punto di vista è sconvolgente: l'anima è immortale nè più nè meno del corpo. L'anima è creata ex nihilo come la materia del corpo e perciò condivide con il corpo lo stato di essere creata. «Un conto è l'anima, cm conto è la vita» (20). Dal fatto che l'anima è immateriale non si può dedurre che sia immortale. Da nessuna caratteristica propria deriva la vita eterna, se non dal dono di Dio direttamente e concretamente fatto a noi per partecipazione. Nello stesso passo, Ireneo afferma: “l'anima è vivente per partecipazione”, altrimenti è mortale.

L'anima è altra riguardo al divino e non è altra riguardo al mondo materiale. Identificare l'anima con ciò che è divino è tipico della mentalità pagana. Per il cristiano, invece, l'anima riceve la vita come un capitale ricevuto in dono e non come sua "qualità" per sempre.

L'uomo non è una sorta di emanazione di Dio di cui l'anima sarebbe come il prolungamento. È importante affermare questo affinché sia mantenuto il principio della libertà dell'uomo di fronte a Dio e persino di fronte alla propria vita. Avere la vita come dono di Dio, ma altra da Dio, è il presupposto per poter scegliere di crescere nella vita (scegliere Dio e crescere nel Figlio), oppure di consumare il dono e morire. «[...] Sono tre gli elementi [...] che costituiscono l'uomo perfetto: carne, anima e Spirito; uno che salva e plasma, cioè lo Spirito; un altro clic è unito e formato, ossia la carne; un terzo, intermedio, che quando acconsente alla carne cade nelle passioni terrestri» (21). L'anima è intermedia fra materia e spirito, è come l'insieme delle facoltà umane (fra cui la libertà), facoltà grazie alle quali, a partire da un certo punto neutro, l'uomo può diventare terra o dio: può chiudersi nella sua "natura umana" od aprirla e diventare uomo spirituale. «Gli spiriti privi di corpo non sono uomini spirituali, ma la nostra natura, cioè l'unione dell'anima e del corpo che riceve lo Spirito di Dio, costituisce l'uomo spirituale» (22).

Come il corpo, l'anima viene dal nulla, è inserita in un divenire che ha inizio insieme al corpo e non gli è preesistente. L'anima, creata come il corpo, possiede la vita solo in quanto Dio gliela dà. «[...] tutte le creature hanno un inizio della loro esistenza ma durano finché Dio vuole che siano e durino» (23). Quindi di per sé, l'anima come il corpo è sottomessa alla morte se si dovesse separare dallo Spirito che unifica e custodisce l'uomo. È lo Spirito a dare l'unità a ciò che è separato per portare la vita: «i nostri corpi ricevettero l'unità che produce l'incorruzione mediante il lavacro (del battesimo), le nostre anime mediante lo Spirito; perciò tutte e due sono necessari, (perché) tutte e due portano la vita» (24). «Perciò è possibile, donando Dio la vita e la perpetuità, che anche le anime, le quali prima non esistevano, durino (immortali) poiché Dio ha voluto la loro esistenza e sussistenza. In tutto deve comandare e dominare la volontà di Dio; tutto il resto deve cedere, assoggettarsi e servire ad essa» (25).

Qual’è allora il legame tra anima e Spirito?

La descrizione della complessità dell'uomo non può ridursi ad una lista di elementi od aspetti. Il linguaggio è descrittivo, per evocazione, per testimonianza, per fede. Corpo e carne sono sinonimi nel linguaggio di Ireneo. L'anima è il principio in-corporeo della realtà creata che si chiama uomo. Corpo e anima costituiscono la "natura umana", la quale riceve vita tramite il soffio di Dio che è altro dall'anima. «Come il corpo animato non è l'anima, ma comunica con l'anima finché Dio vuole, così l'anima non è la vita stessa, ma ha la vita da Dio. [...] l'anima è vivente per partecipazione della vita, in modo che un conto è l'anima e un conto è la vita» (26). Altrove Ireneo precisa: «Una cosa è il soffio di vita che da l'anima all'uomo e un'altra lo Spirito vivificante che rende l'uomo spirituale» (27). Così viene data la risposta a questa domanda: com'è legato il corpo all'anima e l'anima allo Spirito? Tramite il soffio vitale, la vita è reale, ma solo in quanto relazionale. Si potrebbe parlare di "animazione vitale" e di "vita spirituale". Il legame tra anima e Spirito tramite il soffio vitale è simile a quello che intercorre tra la luminosità e la luce. L'anima è ex nihilo. Il soffio di vita non è ex nihilo, ma viene dalla vita, viene da Dio come un dono. Siccome è relazionale (come l'illuminazione che avvolge un oggetto è diversa dall'oggetto), il soffio di vita è identificabile a volte con lo Spirito Santo (la fonte della luce), a volte con l'anima (ciò che è illuminato). Ed è l'espressione più ampia per ciò che possa essere il significato di "spirito" quando è applicato all'uomo.

La sottile, eppure essenziale, differenza tra anima e soffio vitale è dunque che l'anima è creata ex nihilo, il soffio vitale è da Dio, energia non oggettivabile, grazia inafferrabile senza la quale niente esiste di ciò che è. Solo che, mentre nelle altre creature la vita data da Dio è animazione in modo esterno, nell'uomo è realtà che agisce dal di dentro e dal di fuori come una "presenza”: «Lo Spirito invece circonda l'uomo dentro e fuori, rimanendo sempre senza abbandonarlo mai», ma «come volgendosi al male l'uomo fatto persona animata perdette la vita, così volgendosi al bene e ricevendo lo Spirito vivificante, ritroverà la vita» (28).

In relazione all'anima, una volta creata, il soffio di vita fa tutt'uno con essa, al punto che il soffio vitale fa parte della sfera del creato pur essendo dono dello Spirito increato. Ma è l'apertura permanente, il ricordo vivificante della "natura divina" che nell'uomo aspetta di essere attuata. «Il Signore [...] raccomandò al suo Spirito l'uomo caduto nelle mani dei briganti [...], affinché mediante lo Spirito riceviamo l'immagine e l'iscrizione del Padre e del Figlio» (29).

«La grazia dello Spirito che Dio darà agli uomini [...] ci farà simili a Lui e perfetti per volontà del Padre; farà l'uomo a immagine e somiglianza di Dio» (30).

Su questa linea di ricerca del legame tra anima creata (soffio-vita) e spirito increato (Spirito-vita) nell'uomo riguardo al dinamismo della divinizzazione, si inseriscono le ricerche di Gregorio Palamas sulle energie divine e, negli autori russi, l'interessante sviluppo del tema della Sofia creata e Sofia increata - tema che meriterà di essere affrontato sia per una più ampia visione del mondo, della storia, sia per una più profonda spiegazione della parentela e dell'indissolubilità della relazione fra Dio Creatore e l'uomo creato.

Potremmo spingere la riflessione e chiederci se scopo della salvezza non sia l'unità totale della vita al suo principio eterno, ossia allo Spirito, per cui con la morte sparirebbe la mediazione del "soffio vitale" e quindi anche la mediazione dell'anima fra il corpo e lo Spirito. «Il respiro [...] è una cosa temporale, lo Spirito è eterno» (31). Sembra una contraddizione, ma la salvezza è rivolta alla carne più che all'anima: «frutto dell'opera dello Spirito è la salvezza della carne» (32). Per pagine intere, in cui Ireneo parla dell'escatologia, non si fa più menzione dell'anima, ma solo si legge la ripetizione di questa fondamentale convinzione: «Se la carne non dovesse salvarsi, il Verbo di Dio non si sarebbe fatto carne» (33). Invece si è incarnato e quindi «la carne santa rappacificò la carne che era tenuta nel peccato e la ricondusse all'amicizia di Dio» (34), amicizia che è salvezza.

Allora si potrebbe dire dell'anima che «la sua mediazione fra lo Spirito e il corpo durerà il tempo della dispensazione attuale della salvezza. Però finirà lasciando che l'uomo sia spirito vivificato. L'ideale dell'uomo, lo stesso in Adamo come nei suoi figli, è la Carne gloriosa di Gesù, rivestita internamente ed esternamente della Forma di Dio [...] come carne posseduta dallo Spirito» (35).

Ci vuole una sana "teologia della carne" per fondare cristianamente la teologia spirituale come anche per capire la dottrina della divinizzazione. Sono due le convinzioni che reggono insieme la visione cristiana dell'uomo: la grande considerazione della carne nell'economia della salvezza in quanto chiamata all'incorruttibilità e all'immortalità e la fede certa che «non possiamo salvarci senza lo Spirito di Dio» (36). «Badate che, se non abita in voi il Verbo di Dio e lo Spirito del Padre e se vivete [...] come foste composti solo di carne e sangue, non potrete possedere il regno di Dio» (37).

Michelina Tenace

Note

1. Adv. Haer., V,36,2.
2. Cf. Adv. Haer.,IV,38,4.
3. Adv. Haer., Introduzione, 2.
4. Adv. Haer., Introduzione, 1.
6. Adv. Haer.,I,10,3.
7. Adv. Haer.,II,28,1.
8. Adv. Haer.,IV,20,5.
9. Adv. Haer.,IV,5,1.
10. Adv. Haer.,III,20,2.
11. Adv. Haer.,IV,1,1.
12. Adv. Haer.,IV,36,5
13. Adv. Haer.,II,10,2.
14. Adv. Haer.,IV,20,7.
15. Adv. Haer.,IV,13,3.
16. Cf. Adv. Haer.,v,36,3.
17. F.M. LETHEL, Connaître l’amour du Christ qui dèpasse toute connaissance, Vénasque 1989, p. 61.
18. Adv. Haer.,III,20,2.
19. Fedone 28.
20. Adv. Haer., II,34,4.
21. Adv. Haer., V,9,1.
22. Adv. Haer., V,8,2.
23. Adv. Haer., II,34,3.
24. Adv. Haer., III,17,2.
25. Adv. Haer., II,34,3.
26. Adv. Haer., II,34,4.
27. Adv. Haer., V,12,2.
28. Adv. Haer., V,12,2.
29. Adv. Haer., III,17,3.
30. Adv. Haer., V,8,1.
31. Adv. Haer., V,12,2.
32. Adv. Haer., V,12,4.
33. Adv. Haer., V,14,1.
34. Adv. Haer., V,14,2.
35. A. ORBE, Antropologia de San Ireneo, Madrid 1969, pp. 527-528.
36. Adv. Haer., V,9,3.
37. Adv. Haer., V,9,4.

 

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
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