Ecumene

Mercoledì, 02 Marzo 2005 23:23

II. Il legame tra incarnazione e creazione (Michelina Tenace)

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La divinizzazione che rimane come aspirazione nell'uomo può diventare una parola vuota, un'illusione crudele perché l'uomo si ritrova ad essere "secondo" l'immagine di ciò che ha creato, diventa a-logikós, folle e perverso perché adora ciò che non ha consistenza di vita eterna, adora la visibilità della vita creata.

La creazione "secondo l'Immagine": l'uomo logikós che contempla il Lógos

Atanasio commenta la Genesi e, contrariamente ad altri Padri prima e dopo di lui, non si ferma sulla distinzione fra immagine e somiglianza, bensì sul fatto che l'uomo è creato "secondo" l'immagine di Dio e non semplicemente come immagine di Dio. In questo senso, l'essere creato secondo l'immagine non significa somigliare a Dio, o riprodurre la forma di Dio: l'essere immagine dell'Immagine significa un qualche modo di partecipazione all'Immagine. Il Verbo è l'unica vera Immagine del Padre. Che tipo di partecipazione c'è allora fra l'immagine/uomo e l'Immagine/Verbo? Se l'uomo è stato creato secondo l'immagine del Vervo (Lógos), egli è in qualche modo logikós.

La traduzione del termine logikós con "ragionevole" non rende il senso della parentela che c'è tra il Lógos (il Verbo) e l'essere logikós (l'uomo), parentela che indica appunto la "partecipazione al Lògos divino". P. Crouzel, (2) ha proposto di tradurre logikós con "verbifié" ("verbificato") per sollecitare un senso che dicesse dell'uomo qualcosa che rimanda al Verbo, che dicesse come dal Lógos all'uomo logikós ci sia la somiglianza e l'immagine. Non si tratta ancora delle virtù, bensì della qualità supremamente teologica della relazione di partecipazione fra immagine e immagine. In quanto logikós, "può sempre contemplare l'immagine del Padre, il Verbo di Dio, ad immagine del quale egli è stato fatto" (3). È interessante che Atanasio attribuisca una tale importanza al fatto che l'umanità o il primo uomo vengano dotati della capacità di contemplazione come espressione della partecipazione. L'essenziale della "grazia" è contenuta nella grazia della contemplazione-conoscenza di Dio secondo il dinamismo che racchiude l'essere secondo l'Immagine: vedendo il Lógos, l'uomo vede il Padre nel Figlio, ed in questa visione può realizzare il suo essere secondo il Lógos, il quale è tutto orientato al Padre. Come immagine del Lógos, l'uomo è tutto teso verso la contemplazione di Dio, da cui deriva la realizzazione del suo essere secondo l'immagine, quindi la sua divinizzazione. Contemplare Dio Padre attraverso il Figlio è la caratteristica di coloro che partecipano di Lui, diventano per mezzo di Lui potenti, sapienti e logikoì (4). Nel caso contrario, l'uomo è a-logikós, è confuso, «l'anima smarrita non vede più il Dio Verbo alla somiglianza del quale è stata fatta» (5).

L'uomo a-logikós peccatore

L'uomo partecipa al Lógos ed è logikòs, o non vi partecipa ed è a-logikós. Questo è il fondamento del peccato secondo Atanasio. L'uomo creato ad immagine di Dio come creatura razionale, di "stirpe razionale" (6), l'uomo creato per contemplare il Lógos e così realizzarsi a sua immagine, rivolge lo sguardo, l'attenzione, la parola, altrove. Dal Lógos a ciò che è a-lógos, il creato. Ascolta il serpente, guarda agli alberi del giardino, usa la libertà nell'ambito del creato, valutando argomenti più che compiendo una libera scelta. Si allontana così dalla contemplazione del Lógos, e diventa a-logikós, per cui il dinamismo dell'immagine secondo l'immagine si spezza. «Privato della comunione con il Lógos, l'uomo diventa a-lógos, simile agli animali senza ragione, anzi più sragionevole di loro» (7).

Il peccatore non vede più Dio, non ha più la contemplazione-visione. La partecipazione è sostituita da un altro tipo di relazione-visione: da una relazione immediata e personale che vedeva Dio nell'immediatezza dell'amore, si passa ad una relazione mediata e oggettuale che conosce tramite la mediazione del bene e del male. Dal "vedere l'amore di Dio", l'uomo passa a "concepire un'idea di Dio". «Il paragonarsi e stimarsi simile a Dio aveva reso l'uomo ingrato verso il suo creatore, impedendogli di vedere l'amore di Dio per lui e ottenebrando la sua mente così da concepire una falsa idea di Dio» (8).

Il peccato apre così la via all'idolatria, che consiste nel ritenere divinità delle false immagini di Dio create dall'uomo stesso a partire di una falsa "idea" di Dio. La religione stessa appare come «il risultato della caduta, dell'oblio, della perdita dello stato di perfezione primordiale. Nel paradiso Adamo non conosceva né l'esperienza religiosa, né la teologia, vale a dire la dottrina su Dio. Prima del peccato non c'era re1igione» (9). Non c'era religione perché c'era la "visione dell'amore", quella stessa visione che ci è promessa nella beatitudine del paradiso: conosceremo perfettamente e non servirà più né la fede né la speranza, solo «la carità non avrà mai fine» (1 Cor 13,8), perché l'amore non ha avuto inizio, era da sempre.

La conseguenza di tale "falsa idea di Dio", o perversione dell'idea del divino, è che l'uomo non perde la sua costituzione di immagine (logikós), ma si sviluppa secondo un divino che trova nella creazione e non in Dio. E cerca inutilmente nel creato l'immagine del divino, avviando un esodo che lo porterà in valli di morte e di schiavitù, perché solo Dio è Dio e solo l'uomo, nel creato, è immagine di Dio. Una volta perduta la vera "idea" di Dio, una volta pervertita la "visione" relazionale in "conoscenza" oggettuale, la vocazione alla divinizzazione dovrà passare per queste due vie: riacquistare la vera immagine di Dio, trasformare (trasfigurare) il logikós-razionale oggettuale in logikós ad Immagine del Lógos, capacità di conoscenza-amore nella relazione.

Il peccato ha significato per l'uomo cadere nella trappola delle proprie immagini, delle false idee, dei propri pensieri non conformi al Lógos. L'uomo diventa a-razionale per mancanza di conoscenza del Lógos e del Padre. «.Come possono essere razionali se non conoscono la Ragione del Padre nella quale sono stati creati?» (10). A-logikós significa proprio questa distanza da Dio, dal Lógos, dal bene, significa "stupidità" nel conoscere e nel progettare la propria divinizzazione. Il peccato (hamartìa, non colpire nel segno) è non corrispondere alla relazione con il Verbo per non corrispondenza della visione. La questione della divinizzazione è praticamente quella della relazione-visione. Con chi l'uomo è in relazione, a chi guarda, a lui egli somiglia, tant'è vero che la relazione-visione determina poi la direzione della vita, quindi la stessa salvezza. La vita dell'uomo è la "visione" di Dio, aveva già detto il maestro di Atanasio, sant'Ireneo (11). «Venite e vedete», dice Gesù ai discepoli che gli chiedono chi e dove egli sia, compiendo così la promessa dell'Antico Testamento: «Guardate a lui e sarete raggianti» (Sal 34,6).

La divinizzazione che rimane come aspirazione nell'uomo può diventare una parola vuota, un'illusione crudele perché l'uomo si ritrova ad essere "secondo" l'immagine di ciò che ha creato, diventa a-logikós, folle e perverso perché adora ciò che non ha consistenza di vita eterna, adora la visibilità della vita creata. Tutta la percezione di se stesso si riduce all'aspetto creaturale, anche il mondo perde la sua trasparenza e si riduce alla materia creata, per cui l'orizzonte della realizzazione è confinato al qui e ora «in conformità ai [propri] pensieri» (12) o alle opinioni degli altri. Già Atenagora aveva ammonito «come sia irragionevole trascurare di credere allo spinto di Dio [...] per badare alle opinioni umane», per esempio quelle dei «poeti e filosofi [che] non fecero che congetturare, mossi ciascuno dalla propria anima per una certa conformità dell'ispirazione divina, a ricercare se mai fosse possibile trovare e intendere la verità, ma riuscirono solo a girarvi attorno, non già a trovare la realtà, non avendo voluto apprendere da Dio ciò che riguarda Dio, ma ciascuno da se stesso» (13).

Il pensiero stesso si è spostato dall'imparare da Dio come essere divino (avere la vita eterna) all'imparare dagli animali e dalla natura come sopravvivere. L'uomo, creato per dare nome, godere e coltivare l'abbondanza di vita e di bellezza donatagli dal Creatore, perde la familiarità con il Principio della Vita vera e totale, smarrisce l'accesso all'immortalità, all'incorruttibilità, e cade nella condizione naturale di creatura, ereditando la morte e la corruttibilità (14).

Dalla falsa idea di Dio alla falsa divinizzazione

Il peccato porta un cambiamento nella condizione umana: dalla contemplazione di Dio, che rende simili a Dio, alla contemplazione del creato, che mantiene la creatura nel suo stato di creatura.

L'uomo conserva il suo desiderio di divinizzazione, ma questo ormai lo assimila e lo confina sempre di più nell'ambito del creato: nell'illusione di realizzarsi come divino, si confina al creato a scapito di ciò che egli è veramente, creatura partecipe del Logós Increato grazie alla sua costituzione secondo l'Immagine. Questo danno, caduta, perdita, riassume la gravità del peccato. «Il genere umano si perdeva, l'uomo razionale e creato ad immagine di Dio scompariva e l’opera creata da Dio andava in rovina»(15). Una volta immersi nel mondo delle cose che passano e che sono corporee, gli uomini «si sono rappresentati come divinità le cose apparenti, glorificando la creatura al posto del Creatore» (16). «[...] gli uomini abbandonarono la contemplazione di Dio e immaginarono e inventarono da sé il male» (17). Il male diventa "divino" e l'uomo lo commette per realizzarsi come divino. Il peccato non segue forse l'assurdo di questa logica?

L'uomo fra creato e increato

L'uomo cerca, non in Dio, ma nel creato, l'immagine di sé come divino. E dove la trova? Nelle forze della natura, negli animali, nelle altre persone umane dotate di attributi considerati divini (forza, bellezza, poteri straordinari ecc.). Attribuisce la divinità a delle realtà create e poi si divinizza ad immagine di ciò che lui stesso ha creato e divinizzato.

Eppure non è il creato in sé a costituire il male. Occuparsi del creato è parte della vocazione originaria dell'uomo e dice la sua verità di creatura fatta di fango, di terra, di materia creata di cui è bene aver cura come parte della propria vita. Ma questa verità è appunto parziale. Nella Sacra Scrittura l'accento è messo proprio sul fatto che essere immagine significa qualcosa di più dell'essere creati. Dio, «gli uomini non si limitò a crearli, come tutti gli altri viventi irrazionali che sono sulla terra, ma li fece secondo la sua immagine, rendendoli partecipi anche della potenza del suo proprio Verbo, affinché avendo in sé alcune ombre del Verbo e divenuti razionali, potessero durare nella beatitudine, vivendo nel paradiso la vera vita, che è quella propria dei santi» (18). L'uomo è orientato per costituzione alla relazione con Dio, che creandolo ha mischiato la terra con il cielo, il fango con il soffio. L'uomo è creato "secondo" l'Immagine, teso verso il Padre, chiamato a realizzare la sua umanità nel dono della parentela divina. L'uomo creato ad immagine del Figlio ha realmente in sé un aspetto "non creato". Questo significa che l'essere spirituale dell'uomo ha le sue radici nell'eternità divina. Lo spirito creato è simile all'increato quanto all'eternità, quindi lo spirito "creato" e "non creato" si congiungono. Perciò l'uomo porta in sé la coscienza dell'eternità e della divinità insieme, perché ha memoria del suo "patrimonio genetico" increato e divino. Ogni autocoscienza spirituale è, in fondo, coscienza dell'essere divino.

L'uomo è allo stesso tempo creato (nel mondo) e non-creato (come persona), e questa doppia appartenenza della natura umana, questa divinoumanità originale che gli è tipica, rende possibile la deificazione della vita, la comunione delle due nature nell'uomo, senza divisione né confusione. Invece il possibile abisso fra le due nature è apparso dopo la caduta dell'uomo: avendo avuto lui stesso, per così dire, due centri dell'essere - quello spirituale e quello creato -, l'uomo ha scelto di rivolgersi verso il creato e di subordinare lo spirito ai richiami della materia, invece di sottomettere quest'ultima allo spirito come invece Dio ha predisposto che fosse. L'uomo da una parte è sottomesso agli "elementi del mondo", schiavo di innumerevoli causalità, ma d'altra parte, per mezzo del suo spirito che lo rende familiare di Dio, può vivere la sua relazione con Lui nella piena libertà dei figli di Dio. Come Cristo è vero Dio e vero uomo in tutto sottomesso alla terra, alla condizione umana, così l'uomo è sottomesso alla terra, alla condizione peccaminosa della carne, eppure è divino per lo Spirito che lo vivifica. Lo stesso dogma della divinoumanità che riguarda la fede in Cristo non riguarda forse anche l'uomo a sua immagine?

Ritirarsi dalla relazione con Dio e vivere non da immagine di Dio, ma da creatura, costituisce, come dice Gregorio di Nissa, un "suicidio" («il diavolo circuisce l'uomo con abilità fraudolenta, persuadendolo a darsi lui stesso la morte e a divenire suicida» -19-). Il peccato, secondo le parole di Sergej Bulgakov, ha costituito una sorta di riduzionismo ontologico, di «abuso dell'ipostasi», un tradimento della dignità conferitaci da Dio nel darci di partecipare della sua stessa vita. Il peccato originale è stato «una catastrofe ontologica nell'uomo» (20), un indebolimento della natura umana in genere. Il creato rappresenta per l'uomo l'ambito della libertà staccata dalla relazione e dei doni separati dalla persona che dona, l'ambito della autonomia dell'uomo senza Dio. Il serpente è in fondo il simbolo di tale reale autonomia della creatura nel gioco di forza, di inganno, di lotta di potere fra le creature. Chi può negare il fascino che esercita sull'uomo il dominio del mondo o semplicemente di un altro uomo? Il peccato avviene di nuovo ogni volta che l'uomo sposta il suo epicentro dalla relazione-partecipazione nei riguardi di Dio alla relazione-dominio sul creato e le creature.

La catastrofe ontologica


È utile ricordarsi che il peccato non è da considerare solo dal punto di vista morale (come disobbedienza ad una legge) o dal punto di vista religioso (il venir meno al rapporto con Dio), ma che ha anche una valenza metafisica: il peccato fa passare l'uomo dallo statuto di "simile a Dio", dotato di immortalità, allo statuto di "creatura prima fra tutte le creature" che, per quanto "prima", condivide comunque con le altre la mortalità e la corruzione. Il peccato fa spostare il nucleo dell'esistenza umana dalla vita per sempre alla vita "per tanti anni", sposta l'attenzione dalla vita che viene dallo Spirito alla vita che viene dal mangiare e dal bere, fa esplodere quell'unità tipica che nell'atto creativo è esplicitata come armonia, bellezza, amicizia ed aiuto. Il peccato significa quindi, dal punto di vista filosofico, il passaggio dall'Uno al molteplice (21), dall'unico Dio al politeismo, dall'unità uomodonna al soggiogamento sessuale, dalla fraternità all'estraneamento dei popoli, e così via. Si potrebbe dire che il peccato ha significato soprattutto per l'uomo stesso la caduta dal percepirsi unito al sentirsi come "in mille pezzi", frantumato in tanti desideri, tanti pensieri, tante sfere della personalità in lotta fra di loro, tanti bisogni e tanti padroni. Tale frantumazione è allora effettivamente un segno lasciato dal peccato.

Nel peccato è contenuto il processo della falsa divinizzazione che si alimenta di questa mentalità: per ovviare alla frantumazione bisogna trasformare il relativo in assoluto, il particolare in tutto, fino a fare di sé un dio. Una volta separate dal vero Dio, tutte le creature possono diventare dio per l'uomo: gli astri, gli elementi, gli uomini stessi, gli animali. Anzi, l'uomo è capace di divinizzare le stesse passioni, anche quelle più vergognose, in divinità o in pratiche del tutto insensate. Ma ciò che è più gradito e facile da fare è la divinizzazione degli uomini stessi - re, imperatori, eroi - che sono divinizzati come gli elementi della natura privi di lógos, da uomini privi di lógos, e che testimoniano una divinizzazione perversa: essere come Dio significherà possedere la forza, la quantità, i poteri che rendono gli altri schiavi, dal momento che a far sentire uno come dio è la distanza che lo separa dagli altri, magari i privilegi. Solo quando Dio stesso ci farà vedere cosa significhi essere come Dio, potremmo guarire dalla nostra ossessione di falsa divinizzazione, ossia saremo guariti dal peccato che crea in noi un tale immaginario.

Non è forse questo immaginario a fondare l'idolatria? La relazione personale è sostituita da una "religione idolatra", quando il riferimento al Dio Persona è sostituito da un riferimento artificiale al divino creato dall'uomo. Il paganesimo rivela da una parte che l'uomo è religioso, dall'altra dice che l'uomo, con tale religione, non può raggiungere la mèta della divinizzazione, perché gli idoli che adora, non avendo in sé la divinità, non la possono condividere. Tutt'al più l'uomo impara, attraverso le religioni naturali, a conoscere, sfruttare e rispettare le leggi della natura acquisendo una sapienza di vita, una vita che però non sfocia nella risurrezione.

Michelina Tenace

Note

(2) Cf Théologie de l'image de Dieu chez Origène, Paris, 1956, p. 3.
(3) ATANASIO, Contra gentes, 34.
(4) Cf Contra gentes, 46.
(5) Contra Gentes, 8.
(6) De incarn., 8.
(7) Contra gentes, 26.
(8) Adv. haer., III, 20, 1.
(9) M. ELIADE, Giornale, Torino 1976, p. 225.
(10) De incarn., 11.
(11) Cf. Adv. haer., III, 20, 7.
(12) De incarn., 4.
(13) E. SCHWARTZ, Athenagorae libellus pro Christianis, 7,2-3, TU 4,2.
(14) Cf. De incarn., 4 e 5.
(15) De incarn., 6.
(16) Contra gentes, 8; cf Rm 1,25.
(17) De incarn., 4.
(18) De incarn., 3.
(19) Oratio catechetica magna, 6 PG 45, 29a.
(20) S. BULGAKOV, La Sposa dell'Agnello, tr. it., Bologna 1991, p. 281.
(21) ATANASIO, Contra gentes, 39.



Letto 2055 volte Ultima modifica il Giovedì, 29 Novembre 2012 11:18
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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