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Giovedì, 21 Dicembre 2023 11:12

Dalla crepa entra la luce (Faustino Ferrari)

Esiste una "broken art" giapponese. Si tratta della tecnica di riparare il vasellame di ceramica. Il nome di quest'arte è kintsugi (o anche kintsukuroi) e letteralmente significa «riparare con l’oro». I frammenti dell’oggetto rotto vengono aggiustati usando una mistura di lacca e oro in polvere. Un oggetto, anche se rotto, può così continuare ad essere usato. Anzi, i segni della rottura vengono impreziositi. Dal danno si ricava un oggetto ancor più prezioso, considerato esteticamente migliore, raffinato. La conservazione si salda alla memoria. Avere davanti agli occhi l'oggetto riparato farà ricordare la circostanza in cui è stata causata la rottura. La cultura occidentale è portata a vedere in ciò un'attenzione per ciò che può essere riusato. Si può, invece, ricavare una lezione simbolica: non bisogna vergognarsi delle ferite subite nella propria esistenza. Le cicatrici delle ferite – fisiche e/o spirituali – non sono da nascondersi. Accettandole in tutta la loro visibilità, possono rivelarsi preziose. Per una nuova vita.
 
«Ring the bells that still can ring / Forget your perfect offering / There is a crack, a crack in everything / That’s how the light gets in». È il ritornello della canzone Anthem, del canadese Leonard Cohen. Perché la luce possa passare attraverso una crepa è necessario che la crepa sia ampia a sufficienza – e maggiore è la crepa, maggiore è la luce che l’attraversa.
 
Michel de Certeau ha parlato di «fratture». Abbiamo una concezione della storia che si svolge in un continuo progresso. Per Certeau questo modo di intendere, però, non è corretto. L’attuale crisi contemporanea non è unica né nuova. La storia umana e spirituale presenta una continua serie di fratture. Ciò è visibile soprattutto nell’esperienza delle persone mistiche. La loro vita spirituale resta incomunicabile. Ma, al tempo stesso, non può non essere comunicata. C’è un indicibile divino che va trasportato nella parola umana. In questa frattura si colloca la vita spirituale più profonda.
Il filosofo Martin Heidegger ha usato un’immagine di altro genere. Ha parlato di segnavia, di sentieri interrotti e di radure. I segnavia sono le tracce che permettono di percorrere un sentiero che si inoltra nel bosco. Ma si tratta di sentieri che s’interrompono, all’improvviso. S’interrompono nella radura dell’essere. Teniamo qui soltanto l’immagine del sentiero che si spezza nella radura. La radura può essere vista come una sorta di ferita, di cicatrice del bosco – il luogo ove, non si sa perché, gli alberi non crescono. A prima vista sembrerebbe che il cammino sia stato smarrito. In realtà, la radura è il solo luogo del bosco ove sia possibile vedere un tratto del cielo.
 
Il pittore di icone è colui che, avendo sperimentato il mistero divino, cerca di comunicare la propria esperienza spirituale attraverso le immagini sante. Non cerca di esprimere la bellezza attraverso una rappresentazione attraente. Spesso le icone, secondo i nostri gusti estetici, non sono belle. La bellezza estetica non ci deve distrarre dal contemplare il mistero divino. L’icona, dal punto di vista simbolico, rappresenta una sorta di piccola finestra, una frattura che ci permette di scorgere qualcosa della luce divina. Rappresenta la crepa che ci apre al mistero divino.
Nella tradizione rabbinica si legge: «È un disonore per un uomo comune servirsi di un vaso rotto. Ma per il Santo – sia benedetto – non è così. Al contrario, egli si serve soltanto di vasi rotti: ‘il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato’ (Sal 34,19); ‘egli guarisce i cuori spezzati’ (Sal 147,3); ‘Dio non disprezza un cuore spezzato e abbattuto’ (Sal 51,20)».
 
Ad un giovane che chiedeva consigli per la preghiera, Jean Claude Colin diede vari suggerimenti. Tra gli altri consigli leggiamo: «Bisogna anche apprendere a gustare Dio. Eh sì, gustare Dio… Gustare Dio è avere il cuore ferito». Perché Colin parla di un cuore ferito?
 
Il profeta Ezechiele annuncia un nuovo tempo, nel quale il cuore di pietra sarà sostituito da un cuore di carne (36,22-32). E per Geremia è un tempo in cui la legge non sarà più scritta sulla pietra delle tavole, ma nel cuore stesso (32,36-41). La trasformazione di questo cuore di pietra non avviene per sostituzione, ma attraverso una lacerazione. Il cuore di pietra può essere sanato nel momento in cui inizia a rompersi. Il profeta Gioele invita a lacerare il proprio cuore e non le vesti (2,16).
 
La ferita del cuore è l’immagine paradossale che svela un’opera in corso di risanamento! Il cuore corrotto è un cuore di pietra, gelido, immobile e rinchiuso in se stesso. Dio si rivela il medico che cura questo cuore di pietra facendovi breccia – una crepa – e lasciandovi il segno di una ferita. Una ferita non più rimarginabile, ma che diventa il farmaco per la guarigione del cuore. Il cuore ferito è il segno dell’azione e della vicinanza di Dio.
 
La vicinanza di Dio a chi ha il cuore ferito non si chiude in un rapporto intimistico, ma interpella all'apertura e alla solidarietà con i tanti cuori feriti della storia e del mondo. Preghiera e solidarietà costituiscono i due modi per attuare l'accoglienza della vicinanza di Dio in noi. Scrive Agostino: «Ama ed egli si avvicinerà; ama ed egli abiterà in te». Il profeta Isaia annuncia un tempo in cui «ti chiameranno riparatore di brecce, restauratore di case in rovina per abitarvi» (58,12). Come nell’arte giapponese, si tratterà di brecce riparate con l’oro?
 
Nella bibbia ogni immagine assume anche il significato opposto. Così è per l’immagine della crepa. Geremia ricorda: «Due sono le colpe che ha commesso il mio popolo: ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è scavato cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l'acqua» (2,13). Per ogni cosa si rende così necessario il discernimento.
 
Nel vangelo di Matteo, nel racconto della risurrezione di Gesù viene usata l’immagine del terremoto (28,2). Si tratta di un immagine che non significa castigo né è solo simbolo di distruzione, ma è spesso associata con le teofanie. Attraverso il terremoto, Dio si manifesta. Il forte terremoto crea solchi nel terreno, apre crepe e fratture nelle costruzioni. Sconvolge. Il terremoto del racconto di pasqua apre le crepe attraverso cui è possibile vedere la luce della risurrezione di Cristo. Soltanto i riverberi di quella luce – poiché non è dato di poter scorgere pienamente la gloria di Dio, la gloria della risurrezione.
 
E poi, il racconto di Tommaso. Nella richiesta di toccare la carne ferita del Cristo siamo posti di fronte a ben altro che allo scetticismo di una persona nutrita dal dubbio. Perché la professione di fede di Tommaso, quel «Mio Signore e mio Dio!» non può più essere disgiunta dal riconoscimento della passione e della morte del Signore. Tommaso riconosce il suo Signore, ferito nel corpo e nella carne. Sono proprio le ferite del corpo a svelare la divinità del Cristo! Il vangelo di Giovanni – il più spirituale dei quattro vangeli – a riguardo non lascia dubbi ed è radicale. Il momento dell’elevazione in croce – momento culminante della morte con la consegna al Padre dello Spirito da parte del Figlio – è al pari il momento della massima glorificazione. Ed i discepoli incontrano nel Risorto non un fantasma, ma l’Uomo dei dolori e delle ferite.
 
Quali sono le crepe – le fratture, le ferite – attraverso cui possiamo scorgere la luce della risurrezione penetrare nella nostra vita?
 
Faustino Ferrari
 
Pubblicato in Bailamme

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