L’immersione nella cultura e nel lavoro della banca prima che si lasciasse mettere in discussione dal Vangelo è stato un bagaglio che Franco ha condiviso con molti. Di certo, l’idea di uscire dall’accomodante cultura borghese nella quale tutti noi in diverso modo ci troviamo, cultura che guarda tutto con distacco, che pensa alla solidarietà occasionale ma non alla condivisione, che ha paura di provocare e gestire conflitti (dentro e fuori di noi), ha fatto parte della sua quotidianità. Per questo in tutti cercava di tirare fuori quella sensibilità psicologica senza la quale, diceva, non capiamo gli altri e soprattutto non impariamo a convivere con i nostri limiti. Ma diciamo la verità: l’espressione «ex bancario» sembra anche alludere oggi a un cambiamento politico collettivo e di stili di vita individuali non più rinviabili, come dimostra la crisi economica/finanziaria e di civiltà (ma anche di Chiesa) precipitata negli ultimi anni.
Prete. Già, Franco è stato un bel prete. Di quelli che in una mano stringono il Vangelo e nell’altra un giornale (in verità lui preferiva i periodici), perché l’esperienza di fede è tale solo se immersa nelle contraddizioni e nelle ricchezze, spesso poco visibili, della vita. Un prete di domande più che di certezze, consapevole come pochi che le distinzioni tra credenti e non, e tra cristiani, si basano in parte su montagne di argilla. Prima di tutto siamo uomini e donne, perfino prima di essere credenti. Insomma, un prete dal pensiero critico, un pastore curioso, esploratore, colto, amante della preghiera ma non dei dogmi. E testardo, come solo gli uomini di montagna (queste in fondo erano le sue origini) sanno essere. Per questo da alcuni è stato mal sopportato, anche tra i suoi confratelli. Nasconderlo adesso lo farebbe diventare rosso di rabbia, come quando quei maledetti colpi di tosse lo aggredivano per qualche secondo. Franco è stato sopratutto un prete cresciuto sotto le aperture del Concilio Vaticano II che, tanto per non essere più ipocriti (categoria verso la quale Franco era incapace di nascondere la sua allergia), buona parte del clero ha oggi dimenticato. Per questo, ad esempio, ti parlava spesso del catechismo olandese. Ma già lo vediamo Franco sorridere di fronte a tutto questo: figurati se la Chiesa, ci avrebbe ammonito, possiamo ridurla a pochi preti. La Chiesa siamo noi. E lo siamo quando impariamo a riconoscere le tracce di Speranza presenti nella complessa quotidianità.
Eccola la Speranza, al centro di quel percorso non solo virtuale che è stato finora il sito e la vita dell’associazione Dimensione Speranza. Ricerca della fraternità, superamento della paura, messa in discussione di abitudini e linguaggi, muoversi con e verso l’altro, capacità di osservare e favorire i cambiamenti individuali e sociali (politici e religiosi), ecco la Speranza che, insieme a Franco, molti di noi hanno imparato a cercare. Una speranza da alimentare ogni giorno con tenerezza e stupore, con determinazione e leggerezza.
Ci mancherai molto, pretaccio. Hai avvolto di affetto, stima e fiducia la vita di molti. E non hai smesso di prenderci in giro mai. Fa sorridere leggere su facebook la tua situazione sentimentale: «Single». Ci mancheranno la tua ironia e le tue sigarette sottili. No, non ti facciamo «santo subito», non preoccuparti, però lasciacelo dire: essere stati tuoi compagni e compagne di strada è stato un privilegio. Ci mancherai, porca miseria, se ci mancherai. Grazie per tutto.
Un bacio forte, buona strada
Gianluca