L’aggravarsi di una malattia o l’approssimarsi della morte suscita nei protagonisti un ventaglio di paure, che si possono collocare attorno ai tre tempi della vita:
* Paure legate al passato: il moribondo rivisita la propria storia e ne avverte la sua incompletezza e sa che non c'è più tempo per rimediare. Di conseguenza, sperimenta il rammarico per le opportunità perdute, l'insoddisfazione per gli appuntamenti mancati nella vita, l'amarezza per i torti subiti, il disagio per ferite causate.
* Paure legate al presente: queste includono il timore di essere considerato come patologia più che come persona. Io sperimentare l'isolamento a causa dell'aggravarsi della malattia, il sentirsi di peso ai familiari, il graduale degrado fisico, il timore che la malattia produca dolori insopportabili, l'inutilità del soffrire, l'angoscia di una logorante attesa.
* Paure legate al futuro: il graduale peggioramento della propria condizione fa emergere l'angoscia legata al domani, quali la preoccupazione di perdere il controllo mentale e / o fisico, il disagio per le difficoltà pratiche o economiche causate alla famiglia, il timore di morire soli o in un'istituzione, il distacco dai propri cari, la paura del giudizio di Dio o degli altri, la morte come fine di tutto.
Le tre speranze
Le paure hanno bisogno di essere accolte, comprese e accompagnate, non giudicate o negate. Non ci sono formule magiche o preconfezionate per dissipare le diverse paure che abitano le persone.
Talvolta esse favoriscono la riflessione e l'introspezione o schiudono alla trascendenza. C'è chi le allevia ricorrendo alla preghiera e alla meditazione, chi trae beneficio dal condividerle con altri, chi le trasforma in forme di solidarietà.
In genere, la paura si ridimensiona attraverso il potenziamento della speranza. Anche questa, come la paura, si presenta sotto una varietà di espressioni, che si possono raggruppare attorno a tre nuclei principali: le speranze mediche, umane e spirituali.
La maggior parte delle persone privilegia l'attenzione all'orizzonte delle speranze mediche, miranti alla guarigione fisica. Costoro si affidano ai progressi della scienza, alla disponibilità di nuovi farmaci e terapie, alla fiducia nei medici o nelle medicine alternative, ai viaggi della speranza.
Altri coltivano maggiormente le speranze umane, legate alla voglia di vivere e al bisogno di una comunicazione aperta con i propri cari e amici. Costoro cercano di far tesoro del tempo, fissando traguardi verso cui dirigere le proprie energie, quali abbracciare il primo nipotino, celebrare un altro Natale in famiglia, poter essere presente al matrimonio della figlia, portare a termine un progetto.
Alcuni sono in grado di esprimere le ultime volontà e di congedarsi dai propri cari. Altri ancora fanno maggiormente appello alle speranze spirituali, che includono il rapporto con Dio, la scoperta del trascendente nel quotidiano, la fede nell'aldilà.
Costoro si aprono all'esperienza del perdono e della riconciliazione con il proprio passato, si affidano alla misericordia di Dio e trasmettono serenità.
Chi visita i morenti è chiamato a praticare l'ascolto e l'accoglienza delle paure, ma anche a identificare il patrimonio di speranze presenti negli interlocutori.
Dal tempo all'eternità
Ogni viaggio, dal tempo all'eternità, è lastricato di sfide e il modo di interpretarlo dipende dal contatto del morente con le proprie risorse interiori.
L'angoscia del morire si supera collocando la propria vita al di là di sé stessi.
Per alcuni il senso d'immortalità si realizza nella continuità della specie, attraverso i figli o i nipoti; per altri attraverso un'opera d'arte, la realizzazione di un progetto, l'eredità materiale o morale, la fiducia nell'aldilà e nell'incontro con i propri cari.
Nella tradizione cattolica la preghiera e i sacramenti dell'Eucaristia, della Riconciliazione e dell'Unzione dei malati rivestono un posto di rilievo nel conforto religioso dei morenti.
La vicinanza della comunità cristiana e la sensibilità di operatori sanitari e pastorali può consentire che l'ultimo capitolo della vita si trasformi in un viaggio interiore che aiuta il morente a fare pace con il proprio passato, ad approfondire il rapporto con Dio, a rendere feconda la sofferenza e a schiudersi alla promessa di Cristo: «Io sono la risurrezione e la vita, chi crede in me anche se è morto vivrà» (Gv 1,25).
Arnaldo Pangrazzi
(da Missione e Salute, n. 5, 2016, p. 64)