«Nel principio Dio li creò maschio e femmina [...] Sicché non sono più due, ma una sola realtà vivente. L’uomo non separi quello che Dio ha congiunto» (Mc 10, 6-9).
Queste parole sono state, vengono e verranno lette da punti di vista del tutto differenti, a seconda del grado di spiritualità raggiunto da chi le legge o le ascolta.
Tenendo presente che Colui che le ha pronunciate appartiene alla suprema dimensione divina, esse hanno un significato che sarà sempre più evidente a quelle coscienze che costantemente si avvicinano e ascendono all’ultimo vertice dell’esperienza spirituale. Le parole della Bibbia, come ci insegna tutta la Tradizione, sono ricoperte da velami che vanno gradualmente tolti da chiunque voglia raggiungerne l’ultimo significato.
«Sciagura all’uomo che nei libri sacri non vede altro che eventi storici e parole del linguaggio ordinario. Ogni parola della Sacra Scrittura racchiude un significato elevato un sublime mistero. Le narrazioni storiche sono le vesti esteriori.
Sciagura all’uomo che scambia la veste esterna per la stessa Sacra Scrittura! Gli insensati, vedendo un uomo ricoperto di splendida veste, non sanno andare oltre l’abbigliamento, dimenticando che è il corpo a dare il significato alle vesti. La Bibbia ha un suo corpo: le narrazioni. Le menti ordinarie si fermano alle vesti e non vedono il corpo; quelle più penetranti vanno verso il corpo; i saggi, i servi del Re supremo, che abitano sulle altezze del Sinai, si fermano a considerare l’anima, fondamento delle espressioni della Bibbia. Nel Tempo futuro saranno preparati a contemplare l’anima di quest’anima che respira nelle parole della Bibbia» (Zohar).
Per l’ascolto della parola della Bibbia ci è più necessaria l’intensità di un’attenzione silenziosa che non la lettura di commenti esegetici; essa ci permette la disarticolazione della mente da tutte le interpretazioni che si è costruita e l’avvento della Rivelazione nell’anima.
«Nel principio Dio li creò maschio e femmina». Nel principio, non all’inizio della creazione, ma nell’istante eterno della creazione, nell’atto della creazione che non ha ancora raggiunto il suo compimento, Dio crea la biunità umana, la cui vocazione è quella di ricostituire una sola realtà vivente. L’uomo non può impedire questo cammino verso l’unità senza alterare il corso della creazione.
«È scritto: "Li creò maschio e femmina", ogni immagine che non sia maschio e femmina non assomiglia all’immagine celeste. Il Santo, benedetto sia sempre, non dimora ove il maschio e la femmina non sono uniti, colma di benedizione il luogo ove sono una cosa sola.
La Scrittura non dice: "Lo benedì e lo chiamò Adamo", ma "Li benedisse e lo chiamò Adamo". Dio benedice soltanto quando il maschio e la femmina sono uniti. Il maschio solitario non merita il nome di uomo. Lo merita quando è unito alla femmina; la Scrittura dice: "Diede loro il nome di uomo"» (Zohar).
Il richiamo di Cristo alle parole dell’« in principio » può essere inteso e interpretato sul piano dell’istituzione dell’indissolubilità matrimoniale, e tale è la prima interpretazione letterale. Possiamo domandarci se essa è l’unica, oppure se costituisca il primo passo verso un’altra lettura che ci aiuti a comprendere l’anima vivente di questa parola. In un altro testo Cristo dice: «Chi lascia la sua famiglia, la moglie, i figli, i fratelli, i genitori per amore del regno di Dio, riceverà il centuplo e la vita eterna» (Lc 18, 29).
I due, l’uomo e la donna, nel primo testo sono chiamati a costituire una sola realtà vivente, nel secondo è incoraggiata la separazione per amore del regno di Dio.
Sono in contraddizione, oppure il loro contrasto ci permette di comprendere la verità profonda contenuta in ambedue e che è oltre l’immediato senso letterale? Questa seconda ipotesi tenterò di dimostrare.
In ogni essere umano, uomo o donna che sia, esiste l’aspirazione verso l’unità e l’integrità del proprio essere che, risolvendo ogni conflitto in una sfera oltre il mondo fenomenico, dia alla mente quella pace suprema che è il segno della maturità della coscienza. Non è questa coscienza dell’unità che hanno cercato le grandi anime religiose dell’umanità e che è contenuta nella preghiera di Cristo: «Siano una sola realtà come Io e Tu, Padre, siamo una cosa sola»? (Gv 17, 21).
La reintegrazione del proprio essere personale percorre tutte le zone della realtà umana: il corpo, le emozioni, la mente, lo spirito, e le percorre come energia unificatrice e redentrice. Essa rivela l’intenzione del Creatore sulle sue creature, la forza vitale, realmente divina, che dona un senso all’ascesa dell’uomo nella sua verità: raggiungere l’unità delle origini. È la fiamma che purifica dalle scorie ogni coscienza, e distrugge le barriere di divisione che separano l’uomo dalla donna, la creatura umana dalla parte più vera del suo essere.
Ritrovare l’unità del proprio essere in Dio è la consegna che viene rivolta a tutte le creature umane, qualunque sia la loro vocazione personale. È rivolta a quelle coscienze che scelgono la via matrimoniale come la più consona per ritrovare la loro unità; ed è ugualmente indirizzata a quelle che, nella nostra Tradizione, si sentono chiamate alla via della Solitudine. Ad ambedue è richiesto di dischiudersi alla piena rivelazione cristiana, ad accogliere la presenza di Dio che si annuncia come Padre e Madre, due in uno, e che manifesta il suo vero volto, maschile e femminile insieme, e che, quando è così ricevuto, si accende in una passione ardente per tutta la razza dell’uomo e della donna terrena che non potrà ormai né essere fermata, né respinta, né ignorata.
Gesù disse: «Quando farete dei due una cosa sola, l’interno come l’esterno, l’esterno come l’interno; la mascolinità e la femminilità, farete una cosa sola, perché la mascolinità non sia solamente maschile, e la femminilità non sia solamente femminile; allora entrerete nel Regno» (Vangelo di Tommaso 22).
Giovanni Vannucci
(in Verso la luce, ed. CENS, Milano 1984. 27a domenica del tempo ordinario, Anno B, pp. 169-172).